Mi Chiamo Maya locandina bassa - Copia

Abbandono e smarrimento: Tommaso Agnese descrive il disagio giovanile in Mi Chiamo Maya

Da giovedì 7 maggio è al cinema Mi Chiamo Maya l’opera prima di Tommaso Agnese incentrato su una vicenda di adolescenza metropolitana ispirata da tutti quei fatti di cronaca che accadono sempre più spesso. In particolare si parla del tema della fuga. Il cast vede protagoniste le giovani Matilda Lutz e Melissa Monti, affiancate dalle più mature Carlotta Natoli e Valeria Solarino. Infine c’è anche Giovanni Anzaldo, attore già apprezzato ne Il Capitale Umano di Paolo Virzì.

In seguito ad un tragico evento, Niki (Matilda Lutz), 16 anni, decide di fuggire dalla casa famiglia cui è stata affidata, portando con se la sorellina Alice (Melissa Monti) di soli 8 anni. Insieme affrontano un viaggio alla ricerca di un’utopica libertà, attraverso la Roma conosciuta e quella sconosciuta, incontrando persone molto diverse tra loro: punk, artisti di strada, cubiste. Una “traversata iniziatica” che, tra mille difficoltà, traghetterà Niki e Alice verso una nuova vita.

Tommaso Agnese ha scritto il film insieme a Massimo Bavastro osservando l’attualità e i fatti di cronaca di questi tempi difficili. Il tema principale, quello della fuga, si basa su dati reali che mostrano come in Italia la tendenza degli adolescenti a scappare sia in continuo aumento, più del 30% dei giovani sotto i 20 anni, è, infatti, scappato di casa almeno una volta nella propria vita e numerose sono anche le fughe dalle case-famiglia di giovani con realtà familiari complesse e difficili. Queste fughe durano spesso poco tempo o pochi giorni e così anche quella della protagonista del film, Niki, che si svolge nell’arco di tre notti.

Mi chiamo Maya 4

Tommaso Agnese presenta così il tema del suo film: “spesso i giovani hanno un piano di fuga utopico che s’infrange ben presto con la realtà e i sogni d’indipendenza si trasformano in progetti irrealizzabili, così, per fortuna, quasi tutti tornano a casa o vengono ritrovati”. Un fenomeno dalle innumerevoli cause, ma con un minimo comune denominatore: l’incomunicabilità tra genitori e figli, tra adulti e ragazzi.

Ed è proprio il tema dell’incomunicabilità è un altro fondamentale elemento che contraddistingue la dimensione sociale del film. All’interno della storia non ci sono personaggi adulti di rilievo (l’unico che tenta un dialogo è l’assistente sociale – interpretata da Valeria Solarino – nel difficile compito di convincere la protagonista a tornare sui propri passi) e il mondo degli adolescenti è descritto come un macrocosmo a se stante fatto di proprie regole, che spesso tende ad imitare quello degli adulti ma con meno responsabilità e più superficialità.

Mi chiamo Maya 1

Quello a cui si assiste è un vero e proprio stato di abbandono degli adolescenti, l’assenza di dialogo e di comunicazione tra adulti (che rappresentano anche la società nel suo complesso) e ragazzi. Nel film, “i genitori semplicemente non esistono, e alla fine tutte le diverse sfumature con cui gli adolescenti si divertono o si ribellano sembrano essere nientemeno che richiami per sottolineare tale mancanza” sottolinea il regista.

Gli adolescenti vivono il cambiamento in modo molto più traumatico degli adulti, e la fuga, anche se di pochi giorni, può rappresentare un processo di maturazione interiore importante. Una maturazione che passa attraverso delle infrazioni e delle rotture di schemi. Nel film vediamo l’ambiente delle discoteche pomeridiane in cui lo sballo e l’emancipazione sono padroni. Ma la ribellione giovanile è tradotta anche in distruzione e sfascio della proprietà privata, come accade nel film durante una festa in casa che viene devastata. Mi chiamo Maya 3

Tutte dimostrazioni di un grande disagio in cui si avverte la mancanza di punti di riferimento, di esempi positivi,  capaci di far crescere i giovani nella società contemporanea, dove gli unici modelli, quelli mediatici, appaiono privi di ideali e valori. Tutto questo viene raccontato nel film attraverso gli occhi adolescenziali della protagonista che, come spiega Tommaso Agnese, “non ha il tempo di riflettere sulla complessità di queste tematiche, ma si limita a passarci attraverso, assorbendole e poi abbandonandole, nel suo cammino alla ricerca della propria identità”.

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