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Alfonso Cuarón, Oscar per la regia di Gravity

La forza di gravità ha fatto meritatamente cadere tra le mani del messicano Alfonso Cuarón l’Oscar per la Miglior Regia, oltre a quello per il Miglior Montaggio, di Gravity (in tutto sette statuette), pellicola fantascientifica (ma nemmeno tanto) con Sandra Bullock e George Clooney.

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Due astronauti, in seguito ad un incidente, rimangono bloccati nello spazio; sotto di loro è la Terra: la possono vedere, ma potranno ancora raggiungerla? Gravity è la storia di una donna (Bullock), una madre che non fa altro che lavorare (come medico) dopo aver perso la figlia e di un uomo (Clooney), marito abbandonato, che ama raccontare aneddoti sulla sua vita mentre fluttua leggiadro a 600 chilometri di altezza. Avvolti nel silenzio siderale, dovranno lottare per non perdersi tra le stelle, aggrappandosi ad una maniglia, ad un filo volante o a un bullone pur di non precipitare verso il punto di non ritorno.

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Nella pellicola di Cuarón, la tecnologia si frantuma e sovrasta il suo stesso inventore (l’uomo) che fatica a non soccombere, e questa volta non ci sono vie di fuga. Non si può scappare dallo shuttle sgretolato, colpito dai detriti di un satellite (forse spia), attraverso una stradina secondaria, perché è proprio lo shuttle l’unica salvezza: non ci sono altri posti dove rifugiarsi se non il solitario, assurdo e sconquassato mezzo per il rientro.

Scappare dal pericolo significa tornarsene a casa: riscoprire la gravità.

Ma per la protagonista, il ritorno diventa autentica nostalgia, nel vero senso della parola, che racchiude in sé (come vuole l’etimologia greca) un desiderio malinconico di fare ritorno alla terra natìa. E questo dolore, nel film, si sdoppia: da una parte, c’è l’impossibilità materiale di ritornare, dall’altra, l’amara consapevolezza che rientrare in possesso della propria quotidianità significa ricordare costantemente la morte della figlia e trascorrere ancora giornate vuote (più vuote e silenziose dello Spazio).

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Combattendo la sofferenza, la dottoressa Stone sceglie di continuare a vivere e di usare le sue capacità fisiche e intellettuali (come fosse un novello Robinson Crusoe) per non andare definitivamente alla deriva, anche morale, perdendo qualsiasi forma di volontà e sprofondando nell’apatia. Decide di essere ancora una volta umana, di superare l’isolamento e riprendersi i propri spazi, comunque angusti se confrontati con l’universo in cui è immersa; di imparare di nuovo, passo dopo passo, a camminare, eretta, sulla Terra, come i suoi antenati fecero prima di lei.

Tommaso Montagna