(ph. di Massimo Righetti)

Ariane Ascaride è Isabelle, un’anima nel vento d’estate – Intervista a Mirko Locatelli

(ph. di Massimo Righetti)

Ariane Ascaride è l’indimenticabile protagonista di Isabelle, il film diretto da Mirko Locatelli, per la sceneggiatura di Giuditta Tarantelli (premiata con il Prix du Meilleur Scénario alla 42/esima edizione del Montreal World Film Festival) che sarà al cinema dal 29 novembre distribuito da Strani Film in collaborazione con Mariposa Cinematografica.

Il film

Isabelle (Ariane Ascaride) è un’astronoma di origini francesi, vive in Italia in una grande casa immersa tra i vigneti sulle colline nei pressi di Trieste. Il sole splende sulla campagna, il mare a pochi chilometri si infrange sulla costa rocciosa, il paesaggio è un paradiso e come tutte le estati suo figlio Jérôme (Robinson Stévenin) passerà qualche tempo con lei. Isabelle lo ama molto, è pronta a fare qualsiasi cosa per lui, ma l’incontro con Davide (Samuele Vessio), un giovane che sta attraversando un momento di grande difficoltà, stravolgerà le loro vite e Isabelle dovrà compiere una scelta che porterà inevitabilmente a un epilogo doloroso.

Un’estate intensa

Un epilogo che scoprirete andando a vederlo al cinema e, un consiglio, andateci davvero perché Isabelle è un film da vedere. Nel film, dominato da una grande tensione di fondo, palpabile, i mesi estivi – che scandiscono la trama e rappresentano capitoli distinti – diventano essi stessi personaggi, come i protagonisti in carne ed ossa. Contengono tutte le emozioni umane (la paura, il desiderio, la passione, la disperazione, la desolazione, la rabbia…) e i due estremi della vita (una morte, quella di una ragazza di 22 anni, vittima di un incidente causato da Jérôme; la nascita della figlia dello stesso Jérôme, portatrice di una gioia fugace).

Ariana Ascaride è Isabelle (ph. di Massimo Righetti)

Ariana Ascaride è Isabelle (ph. di Massimo Righetti)

Isabelle

Sole e pioggia scaldano e bagnano Isabelle, la protagonista a tratti inafferrabile del film. Una madre, un’astronoma, una insegnante, una donna. Rappresenta tutte queste cose insieme, andando anche (e spesso) incontro al pericolo, tra senso di colpa e sfacciata esuberanza. E menzogne, talvolta innocenti, e omissioni o leggerezze, forse imperdonabili. Isabelle crede di avere tutto sotto controllo e non si accorge di avvicinarsi oltremisura al precipizio. Cammina sul filo, in equilibrio precario. Davide per lei rappresenta ancora l’estate dell’esistenza.

L’occhio di Mirko Locatelli

Quella che riporto qui sotto è un estratto dell’intervista rilasciata da Mirko Locatelli, contenuta nei materiali ufficiali del film. Ad aprire e chiudere sono però due domande che ho posto io stesso al regista che ho contattato e che mi ha gentilmente risposto.

Prima di tutto un paio di considerazioni. Riguardo all’ipocrisia della borghesia, nel rapporto madre-figlio ho trovato qualcosa di Haneke (penso, ad esempio, anche all’ultimo Happy End con Isabelle Huppert), il regista austriaco può considerarsi un punto di riferimento per te? 
Conosco molto bene e amo il cinema di Haneke, la sua concretezza, e ti ringrazio per l’accostamento, ma devo confessarti che fatico sempre a ravvisare nei miei lavori i precisi riferimenti. Di certo Isabelle è una donna pronta a tutto per il figlio, persino a rinnegare la propria etica, e l’incontro con Davide le provoca una dicotomia di sentimenti, in un gioco di ruolo di vittime e persecutori. Questo mi fa pensare anche a Chabrol, Polański, Visconti, Antonioni, ma quando scrivo insieme a Giuditta (Tarantelli, la cosceneggiatrice di tutti i miei film) dall’idea alla messa in scena trascorre un tempo così lungo da perdere traccia di tutti gli autori che ci hanno influenzato. Decine di film, suggestioni dal teatro di ricerca, mostre d’arte, letture, incontri. Ricordo chiaramente ad esempio che per l’approccio alla rappresentazione dei personaggi e degli ambienti, mi sono imbattuto nelle atmosfere dei dipinti di Henry Scott Tuke e di Konstantin Somov, che in un solo “fotogramma” hanno saputo far emergere gli stati d’animo e il mondo interiore dei soggetti riprodotti, ho voluto immaginarli così, con una “nobiltà estetica” e un’interiorità tormentata, che poi è il vero castigo al quale sono sottoposti.
Isabelle e Jérome (ph. di Massimo Righetti)

Isabelle e Jérome (ph. di Massimo Righetti)

Isabelle è un film orgogliosamente intimo, quasi famigliare…

Nonostante la storia avesse le caratteristiche per poter sfruttare gli stereotipi del cinema di genere, ho concentrato l’attenzione sull’ascolto della coscienza dei singoli personaggi e la rappresentazione dell’intensità dei loro rapporti attraverso uno scontro tra i corpi. Quello di Isabelle, una donna matura che lo tiene al sicuro; il corpo adolescente di un eroe sopravvissuto, Davide, che si mostra senza pensare; e quello inquieto di Jérôme, a metà strada tra i due, per raccontare un dramma famigliare in cui i confini tra il bene e il male si sfumano e le paure trasformano i rapporti.

Definiresti Isabelle un “dramma borghese”?

Ho organizzato la messa in scena del dolore come da un palcoscenico, con gli attori confinati in piani sequenza, entro quadri ben definiti e privi di frammentazione interna alle scene. Ogni momento si svolge tutto d’un fiato, con la “teoria di Isabelle” che fa da traccia nello sviluppo della storia. Come nel teatro ottocentesco Isabelle porta la rappresentazione dell’egoismo e dell’ipocrisia della classe borghese sul palcoscenico, ad un ritmo tale da trascinare se stessa e gli altri nel baratro, quindi direi di sì.

Isabelle e Davide (ph. di Massimo Righetti)

Isabelle e Davide (ph. di Massimo Righetti)

Isabelle e Davide hanno modi di fare molto civili, borghesi, ma dietro la facciata sono come animali feriti in difesa del proprio territorio…

La violenza e la fragilità sono gli elementi su cui si incardinano i ruoli dei due personaggi: vivono il dolore nella totalità e si trasformano fino a raggiungere quasi un’inversione delle parti.

La storia di Isabelle, ma anche dei personaggi che la circondano, è ricca di non detti, di sospesi. Come si filma il “non detto”?

Si costruisce in scrittura e si filma cercando di rispettare il ruolo di ogni singolo personaggio, nella sua essenza più intima. Durante la messa in scena Isabelle parla in continuazione, ma è nella differenza tra ciò che dice e ciò che realmente fa che cogliamo le sue debolezze, la sua umanità; in molti casi quello che noi registi scegliamo di escludere alla visione assume maggiore importanza di quello che mostriamo chiaramente, un gesto o un’azione interrotta destano curiosità, è così anche nella vita reale: quello che non riusciamo a comprendere con chiarezza nelle persone è ciò che ci spinge ad avvicinarci e spesso ciò che non mostriamo nasconde la nostra vera essenza.

Isabelle (ph. di Massimo Righetti)

Isabelle (ph. di Massimo Righetti)

Mirko, ti chiederei una descrizione della sequenza finale. Cosa sussurra quel vento ad Isabelle? Ho trovato quella brezza davvero assordante…

È un respiro primordiale che investe quel bosco di un’energia soprannaturale; quegli alberi sono totem e quel soffio che attraversa Isabelle non ha nulla a che vedere con il respiro affannato dei mortali, si tratta piuttosto una forza capace di scuotere le coscienze, di una risposta animista alla domanda “perché ho fatto questo?”.
Giacomo Aricò

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