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Coming Out, la vitale importanza di dire chi si è veramente

Lunedì 17 maggio, in occasione della Giornata internazionale contro l’omofobia, arriva al cinema Coming Out, il documentario di Denis Parrot che racconta il coraggio dei ragazzi che in questi anni hanno deciso di rivelare in diretta su internet la loro omosessualità. Attraverso un montaggio di video girati da giovani di tutto il mondo, il documentario ci avvicina a questo momento di cambiamento intimo e sociale che è il coming out. Un film oggi di grandissima attualità la cui uscita si inserisce nei giorni in cui infiamma il dibattito sul DDL Zan contro l’omotransfobia.

Il documentario

Una frazione di secondo. Qualche parola balbettata. Di nuovo quella paura che prende lo stomaco, violenta, tenace. Faccia a faccia con la telecamera, da solo(a) o al telefono, con un membro della famiglia, le parole escono dalle labbra poco a poco, aspettando la temuta reazione dell’altra persona. E poi accettazione, rifiuto, negazione, persino violenza. Negli ultimi anni, sempre più giovani gay, lesbiche, bisessuali o transessuali di tutto il mondo hanno deciso di fare coming out tramite video su Internet. Attraverso un montaggio di 19 video commoventi, postati sul Web tra il 2012 e il 2018 da giovani di tutto il mondo, Coming Out ci avvicina a quel momento di cambiamento intimo e sociale che è il coming out.

Dal Canada agli Stati Uniti, tra il Regno Unito e la Francia fino al Giappone e all’Australia, il regista Denis Parrot sa che il web ha cambiato le abitudini della vita di tutti, specialmente dei millennial. Cercando nei preziosi archivi di internet e selezionando filmati recuperati sui social media, Coming Out colleziona le testimonianze di diversi adolescenti che hanno deciso di confidarsi con i propri amici e familiari. Questi giovani protagonisti hanno fissato nel tempo una testimonianza indelebile del momento più importante della loro crescita.

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Denis Parrot

Vi riportiamo qui sotto l’intervista rilasciata dal regista, Denis Parrot.

Come le è venuta l’idea di questo documentario?

Due anni fa, mi sono imbattuto in un video su YouTube di un giovane che confessava la sua omosessualità a sua nonna per telefono e si filmava con la sua webcam. Si poteva percepire che aveva grandi difficoltà a parlare e si poteva intuire che stava aspettando questo momento da molto tempo. Il video è durato dieci minuti, e per nove minuti prima che riuscisse a confessare, ci sono stati molti silenzi, delle banali frasi della vita quotidiana. Questo video mi ha molto colpito.

Com’è stato il suo lavoro di regista in questi video?

Per prima cosa, ho visionato più di 1.200 video di coming out sui social media. Poi, ho scritto molto perché tutti i temi che volevo affrontare apparissero nel film in modo pertinente: la conoscenza di se stessi, lo sguardo degli altri, l’accettazione da parte della famiglia, e anche questo bisogno di testare l’amore dei propri genitori. Non volevo neanche fare un film basato sulla disperazione ma desideravo fare passare i messaggi di coming out. Le cose possono essere normali, banali. I miei produttori mi hanno sostenuto molto e mi hanno aiutato finché non abbiamo trovato il giusto equilibrio nel montaggio finale. In seguito, il sound editor e il mixer hanno fatto un ottimo lavoro per evidenziare i silenzi, i respiri e le atmosfere di ogni sequenza. Il direttore della fotografia ha anche incredibilmente bilanciato i colori dei video per creare un universo omogeneo.

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Perché, secondo lei, appaiono queste testimonianze?

Qual è l’obiettivo di tutti questi giovani? Se non ci fosse così tanta discriminazione contro i LGBT, questi video certamente non sarebbero su Internet. I giovani che si filmano vogliono aiutare gli altri condividendo un’esperienza intima e difficile, e probabilmente anche per rompere la solitudine. La telecamera può anche essere una protezione, dicendo ai genitori “State attenti, vi stanno riprendendo, non dite niente! “. Forse – dopo tutto, è nell’aria in questo momento – c’è anche un gusto per l’auto-presentazione tra alcuni giovani che sono cresciuti con Internet.

Qual era il suo obiettivo nel fare questo documentario?

Non ho un background in politica o in associazioni, ma questo film è il mio piccolo contributo per aiutare a spostare le linee. Voglio sensibilizzare i genitori: tuo figlio/a potrebbe essere gay, lesbica, bisessuale o transessuale e tu non lo sai. Non l’hai scelto tu, ma non l’ha scelto neanche tuo figlio. Non è giusto o sbagliato, è così e basta. Luke, uno dei giovani inglesi del film, ribatte quando gli si dice che ha scelto di essere gay: “E tu quando hai scelto di essere etero? “. È molto giusto ribaltare la domanda. La persona non sceglie la sua identità di genere o il suo orientamento sessuale. Se i genitori fossero preparati a questa eventualità, le cose potrebbero essere più facili. Il tasso di suicidio dei giovani LGBT è alto, il numero di giovani che vengono cacciati di casa è alto. Ecco la ragion d’essere di questo film, c’è ancora molto lavoro da fare…

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Questo film è legato alla sua esperienza personale?

La mia generazione è cresciuta, come quelle precedenti, senza Internet. Era molto difficile trovare modelli positivi con cui identificarsi, così come era impossibile per la maggior parte di noi adolescenti interagire con altri giovani LGBT. Quando ho visto il primo video, ho pensato che mi avrebbe fatto molto bene vederlo all’epoca. Ho scelto questi video perché mi riconosco in tutti questi giovani. Ho pensato esattamente le stesse cose quando ero adolescente, mi sono fatto le stesse domande.

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