Dopo essere stato presentato (apprezzato dalla critica) allo scorso Festival di Cannes, è da oggi al cinema Dopo L’Amore, il film diretto da Joachim Lafosse che ha come protagonista una coppia, interpretata da Bérénice Bejo e Cédric Kahn.
Dopo 15 anni di vita in comune, Marie (Bérénice Bejo) e Boris (Cédric Kahn) si stanno separando. La casa dove vivono con le loro due bambine è stata comprata da lei, ma è lui che l’ha interamente ristrutturata. In questa delicata fase sono costretti alla convivenza, dal momento che Boris non ha i mezzi per permettersi un’altra sistemazione. E quando arriva la resa dei conti, nessuno dei due è disposto a mediare sul contributo che ritiene di aver dato alla vita coniugale.
Vi presentiamo ora di seguito un estratto dell’intervista rilasciata dal regista Joachim Lafosse.
Come è nata l’idea del film? Come ha impostato la scrittura?
L’idea è nata da un incontro con Mazarine Pingeot e da un desiderio di filmare la coppia. Avevamo entrambi voglia di mostrare le emozioni, molto intense, che sottendono i conflitti coniugali e di cui spesso il denaro è il sintomo.
Il denaro è il sintomo o la causa dei loro conflitti? Boris, che è di estrazione sociale meno agiata, non ha soldi, mentre Marie non ha problemi economici.
All’interno di una coppia, il denaro rappresenta la cosa sulla quale si può litigare. Non è la causa di un litigio, non è il motivo per cui Boris e Marie non riescono più ad amarsi. Dietro il tema della discordia che i soldi rappresentano, c’è il modo in cui un individuo ottiene il riconoscimento oppure no, il modo in cui una persona desidera che quello che ha fatto o non ha fatto sia riconosciuto. E non si tratta unicamente degli sforzi economici o finanziari. Boris e Marie non riescono a intendersi sulla maniera in cui dovrebbero riconoscere quello che ciascuno di loro ha apportato alla vita coniugale, perché non hanno avuto la lucidità di affrontare a livello concreto e fin dall’inizio l’investimento di ciascuno nella coppia. Una buona contabilità è anche alla base di una grande storia d’amore.
Dunque non c’è una lettura politica dietro al titolo originale del film L’Economie du Couple, l’economia della coppia?
È un’interpretazione che può essere fatta. Il compito di un regista è quello di rendere il proprio film il più possibile molteplice, aperto al maggior numero di identificazioni possibili. Ma io non ho voluto affrontare il tema sotto questa angolazione. Sono partito dalla semplice idea che, in teoria, quando si fanno dei figli con qualcuno non è mai perché si è immaginato che la relazione non durerà. E questo ci obbliga a constatare che proviamo sempre un’emozione nell’osservare la tristezza di una separazione, di quello che non avevamo pensato potesse accadere.
La situazione di questa coppia è tanto più dolorosa che, non avendo Boris i mezzi per andare a vivere da un’altra parte, la coppia è obbligata a continuare ad abitare sotto lo stesso tetto.
Sarebbe stato impossibile non tenere conto di questa realtà economica: il costo degli affitti nelle grandi città è diventato tale che un numero enorme di persone impiega molto tempo a separarsi, perché entrambe le parti non riescono a trovare una diversa sistemazione. Un tempo due coniugi restavano insieme per ragioni morali, oggi lo fanno per motivi economici. Questo ci dice qualcosa della nostra epoca…
Perché ha voluto contrapporre una coppia di adulti a una coppia di gemelle?
Erano anni che volevo mettere in scena una coppia che si separa di fronte a due figlie che costituiscono una coppia di bambine gemelle: fin dalla loro nascita, e malgrado la fantasia che uno può coltivare nel momento dell’innamoramento di arrivare a formare un’unione gemellare, i genitori di due gemelli si trovano costantemente confrontati con quello che loro non potranno mai essere. Io stesso, che sono un gemello e sono fratellastro di una coppia di gemelli, ho vissuto questa realtà attraverso quello che ci hanno raccontato mio padre e mia madre e poi quello che mi ha detto mio padre quando ha di nuovo generato due gemelli con una donna che è lei stessa una gemella. Spero di essere riuscito a cogliere questa singolare condizione, in particolare filmando la scena della danza quando sono tutti e quattro insieme.
Si percepisce che le due bambine sono molto turbate dalla situazione. Eppure al tempo stesso si mostrano piuttosto comprensive nei confronti delle regole molto severe imposte da Marie a Boris, schierandosi a favore di queste quando il padre le trasgredisce. «Non è il suo giorno», dice Jade a Margaux per spiegare il disagio che provoca la presenza di Boris in casa un mercoledì pomeriggio.
In effetti, Marie sembra fissare le regole, tutte le regole. Tuttavia Boris, non stabilendone neanche una, di fatto non impone anch’egli in altro modo una sua regola? Nessuno dei due riesce a creare un terreno di gioco in comune. C’è un aspetto infantile nei loro litigi. Winnicott sostiene «La catastrofe ha sempre avuto luogo prima»: è interessante osservare gli adulti in funzione dei bambini che sono stati un tempo e dei litigi che hanno avuto a scuola durante la ricreazione. Ma voglio evitare di parlare di uno o dell’altra. Spetta agli spettatori scegliere se schierarsi dalla parte di uno dei due o non prendere alcuna delle parti. Il film permette questo.
La madre di Marie, interpretata da Marthe Keller, dal canto suo milita a favore di una riconciliazione della coppia.
Ragiona secondo la logica della sua generazione. È incline a una forma di compromesso che in amore è rappresentata dall’amicizia. Ho voglia di pensare che l’amore è qualcosa di diverso: viviamo con una persona perché la desideriamo. Ora, il desiderio è per sua stessa definizione la cosa più complessa, più rischiosa e più disagevole che ci sia. Il personaggio interpretato da Bérénice Béjo ritiene che sia possibile vivere in un modo diverso rispetto a quello dei suoi genitori. È una donna che vuole emanciparsi.
Torniamo alle bambine. Durante la scena della danza e poi quella in cui vanno a letto, sentiamo che provano un piacere immenso nel poter dire «papà, mamma» nello stesso momento.
Sono un figlio di divorziati, ma al tempo stesso sono anche un padre divorziato. È un vantaggio perché ti permettere di individuare varie opportunità, ma è anche un inconveniente perché è impossibile non vedere la tristezza che una simile situazione rappresenta. Una separazione è sempre un fallimento. Ma il film lascia intravvedere che esistono delle possibilità.
In effetti, nonostante i conflitti della coppia, tra i due personaggi circola un’enorme gamma di sentimenti.
Sì, non si tratta di un film drammatico. Per molto tempo forse la tragedia è stata per me un modo di difendermi nei confronti dell’esistenza e ora sono felice di svelare la tenerezza che anima i personaggi: si dilaniano e, malgrado tutto, hanno ancora delle cose da fare insieme. Se lo spettatore arriva a domandarsi come sia possibile dipanare una situazione del genere con il desiderio di prendersi cura uno dell’altro, avrò raggiunto il mio scopo.
La casa costituisce un vero e proprio personaggio a pieno titolo…
È uno straordinario strumento drammatico: è l’incarnazione di quello che questa coppia ha avuto la voglia di costruire insieme e dell’investimento che ciascuno ha messo sul tappeto. È la prova tangibile di quello che sono stati i loro desideri di un tempo e che ora non esistono più.