®Christine Plenus

I fratelli Dardenne indagano su La Ragazza Senza Nome

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Adèle Haenel è la protagonista de La Ragazza Senza Nome, il nuovo film, a sfumatura thriller, di Jean-Pierre e Luc Dardenne presentato lo scorso maggio – in concorso – al 69° Festival di Cannes. La pellicola è da oggi al cinema.


Jenny (Adèle Haenel), giovane medico di base, si sente in colpa per non aver aperto la porta del suo piccolo ambulatorio a una ragazza che viene trovata morta poco dopo. Quando scopre che la polizia non ha elementi per identificarla, Jenny ha un solo scopo: scoprire il nome della ragazza senza nome, perché non venga sepolta in forma anonima e non scompaia per sempre come se non fosse mai vissuta.

Lasciamo ora spazio ad un estratto dell’intervista rilasciata dai registi, Jean-Pierre e Luc Dardenne.

Com’è nato questo film, la storia di una giovane dottoressa?

Jean-Pierre Dardenne (JPD): All’inizio, c’era solo il personaggio di una dottoressa che chiamavamo Jenny. Ne abbiamo parlato per diversi anni. Una dottoressa che si sente responsabile della morte di una giovane immigrata non identificata, e che cerca di scoprire il suo nome perché non venga sepolta in forma anonima e non scompaia come se non fosse mai esistita.

Luc Dardenne (LD): Jenny si sente colpevole, responsabile. Si rifiuta di non fare niente, si rifiuta di dire: “Io non ho visto niente, io non ho sentito niente…”.

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Jenny si prende cura dei suoi pazienti, ascolta i loro corpi. Era importante, per voi, registrare questo aspetto?

LD: Sì, certamente. I personaggi manifestano diverse reazioni psicosomatiche: attacchi di vertigini, mal di stomaco, crisi epilettiche… Il corpo risponde sempre per primo: parla, esprimendo cose che non riusciamo a dire con le parole. Jenny entra in sintonia con la sofferenza dei pazienti. E mentre cerca di aiutarli, continua le sue indagini per ricostruire l’identità della ragazza morta, la sconosciuta.

JPD: Volevamo che Jenny fosse una persona capace di ascoltare le parole e i corpi dei suoi pazienti. Questa sua capacità di ascolto fa di lei una “levatrice della verità”, e dell’ambulatorio un confessionale.

Vi siete documentati incontrando medici veri?

LD: Una dottoressa che conoscevamo bene ci ha fatto da consulente mentre scrivevamo la sceneggiatura. E’ anche venuta sul set per aiutarci nelle scene mediche. Inoltre, alcune scene sono liberamente ispirate a storie che ci sono state riferite da altri medici.

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All’inizio del film, Jenny dice a Julien, il suo tirocinante: “Dobbiamo sempre essere più forti delle nostre emozioni”. Ma quello che succede dopo sembra contraddire questa affermazione, almeno in parte.

LD: Come qualsiasi medico, Jenny non deve affidarsi alle emozioni per fare una diagnosi medica; ma quelle stesse emozioni possono servirle a capire e aiutare i pazienti. E ancora di più nelle sue indagini per scoprire l’identità della ragazza senza nome.

A modo suo, anche Jenny è una “ragazza senza nome” in un certo senso. Non sappiamo niente del suo passato o della sua vita personale.

JPD: La vediamo fare una scelta di vita: rifiuta un’opportunità di lavoro molto redditizia per continuare a fare il medico in quella banlieu, perché lo ritiene l’unico modo per scoprire il nome della ragazza. Non ci sembrava necessario aggiungere altro. Lascia per sempre il suo appartamento per trasferirsi dove lavora e rifiuta un’ottima proposta di lavoro ottimo lavoro per continuare a fare il medico di base in periferia. Non c’è bisogno di sapere nient’altro, di lei.

LD: Jenny è ossessionata, quasi “posseduta”, da quella ragazza sconosciuta: per questo è così paziente e determinata nelle sue indagini. La sua non è una possessione soprannaturale, ma morale. 

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I pazienti di Jenny sono tutti vittime, anche se in  misura diversa, della crisi globalea: insicurezza economica, distruzione del tessuto sociale…

LD: Questi personaggi esistono nel qui e ora. Appartengono a quella parte della società che è stata brutalmente esclusa, ma non volevamo farne dei “casi sociali”. Sono individui.

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