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Il Lago Delle Oche Selvatiche, la Wuhan a tinte noir di Diao Ynan

Girato nei dintorni di Wuhan, la regione cinese dove è iniziato il contagio del Coronavirus, da settimane al centro della cronaca internazionale, giovedì 13 febbraio, dopo essere stato presentato all’ultimo Festival del Cinema di Cannes, esce nelle nostre sale Il Lago Delle Oche Selvatiche, il film diretto da Diao Ynan Designato Film della Critica dal Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani – SNCCI con la seguente Motivazione: “Diao Yinan porta una prospettiva poetica e un’estetica affascinante in un noir dalle efferata violenza, che diventa anche l’occasione per una esplosioni di riflessione sulla modernità cinese. Una sarabanda del caos, dove a dominare è il senso di impotenza e di morte: il regista si riappropria “genere”, senza per questo smarrire il contatto con la realtà“.

Il film

Zhou (Zenong HU Ge) esce dal carcere e finisce immediatamente in una violenta contesa tra gang, che si conclude con l’uccisione di un poliziotto. Braccato dalla legge e dai rivali, è costretto a fidarsi di una prostituta, Liu (GWEI Lun Mei), forse innamorata di lui. Sulle rive del Lago delle Oche Selvatiche si giocherà l’ultima partita che deciderà il loro destino.

Diao Ynan racconta…

La prima immagine che mi è venuta in mente è stata quella dell’incontro tra un uomo e una donna in una piccola stazione di periferia, in una notte di pioggia. Questa immagine dava il tono del film ed era diventata quasi un’ossessione, al punto che non c’era altra scelta: doveva aprire il film. Per sviluppare il seguito, l’uso dei flashback era inevitabile, cosa che, per altro, corrispondeva a un desiderio di scrittura che già avevo. I flashback permettono di mantenere una certa distanza, come nel caso dei narratori di Brecht, che interrompono il flusso del racconto per riportarci alla ragione. Ho anche ripensato alla struttura de Le Mille E Una Notte, un testo molto antico che può avere un uso molto moderno. Mi ha influenzato anche la concezione dello spazio nell’opera pechinese, per la libertà con cui le scene si susseguono. Mi interessa meno la descrizione del contesto o del paesaggio rispetto a ciò che disegnano movimenti e gesti, anche se sono di natura diversa. In un film mi piace giustapporre stili diversi, a seconda della mia percezione della realtà. Volevo che il film fosse molto moderno, non-psicologico, e che l’idea prendesse corpo soprattutto attraverso il gesto e il movimento“.

Il Lago Delle Oche Selvatiche 1

Conosco bene le grandi città cinesi, nelle mie storie risuona la vita reale di quelle città. Rappresentare il jianghu, il mondo sotterraneo della criminalità e della marginalità che vive nelle periferie in continua espansione delle grandi città cinesi, si può considerare una scelta romantica, perché il romanticismo più profondo esiste solo nel jianghu. Un film poliziesco non può certamente fare a meno dei poliziotti, e neanche il jianghu. Ma i miei poliziotti sono in borghese, perché si confondano con il jianghu e non in uniforme, che rappresenta l’immagine pulita e istituzionale dell’autorità. Per me le forze dell’ordine e il jianghu fanno parte di un unico mondo, sono indispensabili gli uni agli altri e inseparabili“.

La fame di potere, l’avidità e il tradimento esistono in tutte le società, con alcune differenze di forma e di grado. I miei due personaggi principali affrontano le loro paure: la paura della morte, la paura del tradimento. Si conquistano la loro dignità di esseri umani a rischio della vita, affrontano l’umiliazione con la “virtù cavalleresca”. La Cina ha sofferto indicibili tragedie e oggi la corsa alla modernizzazione e allo sviluppo ci ha fatto dimenticare i valori nobili della filosofia e della letteratura tradizionale cinese, che spero di riuscire a rappresentare in forma di film“.

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Esisterà sempre la tristezza, in ogni società, perché nessun sistema è in grado di cancellare la sofferenza e la paura della morte, ma continuo ad avere una visione ottimista del futuro. Mi viene in mente una frase di Orson Welles ne Il Terzo Uomo di Carol Reed: “In Italia, sotto i Borgia, per trent’anni hanno avuto assassini, guerre, terrore e massacri e hanno prodotto Michelangelo, Leonardo da Vinci e il Rinascimento. In Svizzera hanno avuto amore fraterno, cinquecento anni di pace e di democrazia e cosa hanno prodotto? Gli orologi a cucù“.

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