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Il Primo Anno, medicina e politica nel nuovo film di Thomas Lilti

Vincent Lacoste e William Lebghil sono al centro de Il Primo Anno, il film scritto e diretto da Thomas Lilti che dal 3 settembre arriverà nei nostri cinema con Movies Inspired.

Il film

Antoine (Vincent Lacoste) ricomincia per la terza volta il primo anno di medicina. Benjamin (William Lebghil) ha appena terminato il liceo, ma si rende subito conto che questo primo anno di università non sarà una passeggiata. In un ambiente ferocemente competitivo, con giornate di lezione faticose e notti trascorse a studiare più che a divertirsi con gli amici, i due studenti dovranno lavorare sodo e trovare il giusto equilibrio tra le sfide di oggi e le aspettative del domani.

Thomas Lilti

Vi presentiamo il film attraverso un estratto dell’intervista rilasciata dal regista Thomas Lilti.

Com’è nato questo nuovo film?

La genesi di un film è sempre un cammino molto particolare. Da tempo avevo voglia di fare un film sull’università, sull’energia degli studenti al lavoro. Avevo in mente una visione molto cinematografica di come sarebbe diventato un film su questo tema. Avrebbe dovuto intitolarsi «Panthéon-Sorbonne». Nulla a che vedere con la medicina. Ma l’idea per Il primo anno ha preso forma concretamente durante la tournée delle anteprime de Il medico di campagna. Inevitabilmente, durante il Q&A con il pubblico mi veniva chiesta la mia opinione sul motivo per cui ci sia mancanza di medici nelle campagne. Perciò, man mano che proseguivamo, sono giunto alla seguente conclusione: forse il problema non sono i giovani medici, ma il sistema che li forma. Improvvisamente mi è sembrato che si fosse sbloccato qualcosa, perché ho esperienza del corso di studi in medicina. So che cosa funziona bene e cosa no. E ho intuito che ciò che ho vissuto io da studente potesse essere sintomo di un problema più esteso.

Il Primo Anno 1

Quindi il test di ammissione alla facoltà di medicina è più che altro un pretesto per parlare del sistema scolastico?

Contrariamente ai miei due film precedenti, Il Primo Anno non tratta propriamente dell’esercitare il mestiere di medico. Quello che mi interessa qui sono i giovani e il fatto che il sistema non faccia nulla per aiutarli e valorizzarli. Volevo raccontare la brutalità e il calvario di questi grandi test di ammissione che determinano una vita intera. Questo primo anno di medicina, completamente pazzo, dove si vive solo in funzione di quelle poche ore in un centro di esami, io l’ho vissuto. In questo caso la medicina non è un pretesto ma piuttosto un “contesto”, una porta che dovrebbe permettere agli spettatori di capire molto rapidamente gli obiettivi dei personaggi. Un modo per parlare di questa “iper-competizione” in cui il nostro tempo ci obbliga a vivere. Abbiamo appena lasciato il liceo e già il sistema di istruzione superiore ci mette in competizione, ci classifica, ci oppone. A che punto abbiamo finalmente trovato la normalità? Questo sistema funziona davvero? Con questo film ho voluto fare una dichiarazione e sollevare queste domande.

All’inizio il film ha la classica struttura di un romanzo di formazione. Seguiamo Benjamin che scopre il mondo della facoltà di medicina attraverso i consigli di Antoine, un ripetente. Ma ben presto i ruoli si invertono…

Questo è il cuore del film. Mostrare la disparità che è alla base del sistema di istruzione. Benjamin possiede i codici. In effetti, a un certo punto un personaggio glielo dice. Pur essendo un principiante, ben presto riesce a destreggiarsi, lasciandosi assorbire dal sistema e comprende cose che Antoine in due anni non ha ancora afferrato. Non è che Benjamin sia più intelligente, no. È solo che ha capito il sistema. L’ironia è che non sa davvero perché stia sostenendo l’esame di ammissione a medicina, mentre Antoine è disposto a sacrificare tutto per questo. Chi sarà un medico migliore? Colui che sa memorizzare e lavorare fino all’esaurimento, assimilando automaticamente le nozioni? O colui, più laborioso, per il quale la medicina è come una passione? Partendo da questa struttura classica del romanzo di formazione e poi invertendola, emerge l’assurdità del sistema. Peggio ancora, la sua ingiustizia. Quando all’età di 18 anni tutta la tua vita dipende dalla tua posizione in una graduatoria, c’è qualcosa che non va.

Il Primo Anno 2

Ha voluto far trasparire questo divario tra Benjamin e Antoine anche dal punto di vista delle diseguaglianze sociali. Benjamin può permettersi un appartamento a Parigi, mentre Antoine vive in periferia…

Attenzione, non è una questione di soldi. La ferocia sociale è di origine culturale. Quando si vive in un contesto che ha dei “codici”, questi ti vengono necessariamente trasmessi. Il padre di Benjamin è un medico e sua madre è una docente universitaria. Inconsciamente, ha già gli strumenti per avere successo in questo sistema. Io provengo da quel tipo di famiglia che viene definita “intellettuale”, in cui l’idea di passare ore alla scrivania a leggere e prendere appunti è normale. All’inizio non ha nulla a che fare, credo, con la borghesia o la lotta di classe. È piuttosto la conseguenza. Il retaggio culturale valorizzato dal sistema finisce per produrre una gerarchia sociale. Ma non volevo che la gente dicesse semplicemente: “Ok, è il solito ricco versus povero”. Sarebbe troppo facile, troppo riduttivo. No, l’opposizione tra Benjamin e Antoine nasce da un retaggio culturale, qualcosa di ancora più profondo, quasi più ingiusto. Anche se è meno appassionato di Antoine, Benjamin sarà sempre più valorizzato di lui dal sistema di istruzione superiore perché gli è stato insegnato a “imparare”. Questo è assurdo. Soprattutto in medicina. Non c’è niente di più concreto dell’essere un medico. Ci si confronta con le persone. Ma chi sarà favorito? Benjamin, annoiato, che sa imparare i libri a memoria o Antoine, appassionato e altrettanto intelligente, ma che non rientra nelle caselle di un test d’ingresso? A quanto pare ha vinto il sistema… Qui si parla di medicina, ma vale dappertutto. È un gatto che si morde la coda. Se non sei dalla parte giusta, se non hai queste “facilitazioni” innate o acquisite per poter affrontare con naturalezza la sfida “teorica” degli esami, allora dovrai lottare con il doppio della fatica rispetto agli altri. Gli studi non servono più a formare, ma valorizzano le competenze che già possiedi.

Quindi, più che un film sulla formazione è un film politico?

Credo che sia entrambe le cose. Anzi, lo spero! Penso che tutti i miei film siano politici. Nel senso che osservo le persone che mi circondano. Sono loro che mi fanno venire voglia di scrivere. Inevitabilmente, quando si scrive partendo dalla realtà, la questione politica riaffiora. Devi scegliere da che parte stare. La politica è un modo per raccontare il mondo, così come lo è il cinema. Perciò faccio film politici raccontando storie dei nostri tempi. Ma non è mai il punto di partenza. Il mio non è un film-manifesto. Non si usano i personaggi per trasmettere un messaggio. Spetta allo spettatore interpretare il film come desidera. Per esempio, è anche un film sull’amicizia. O anche un film sulla gioventù e sul momento in cui si diventa adulti. Tutti questi temi sono in dialogo con questo interrogativo politico e con la mia visione di un sistema che non funziona. Mi piace l’idea che il mio personaggio trovi il modo, alla fine, di infiltrarsi in questo ordine prestabilito. Il suo percorso personale diventa quasi un cammino politico.

Il Primo Anno 3

Al centro dei suoi film ci sono sempre dei duo che spesso inizialmente sono antagonisti, ma che finiscono poi per riconciliarsi. Ne Il Primo Anno, invece, Benjamin e Antoine diventano subito amici…

È anche un film sull’amicizia. Era importante mostrare che in mezzo a questo calvario poteva anche sbocciare qualcosa di bello. In fondo, il cuore del film è il rapporto tra Benjamin e Antoine. Il maestro e l’allievo. Solo che le cose si evolvono. E non necessariamente nel modo che ci si aspetta. Sullo schermo la loro complicità doveva essere evidente e immediata. Si sostengono a vicenda, si spalleggiano, vivono insieme un’esperienza forte. Ma la concorrenza distrugge tutto. Dobbiamo capire perché Antoine crolla e perché la pressione di questo sistema lo costringe, in qualche modo, a rovinare tutto. C’è qualcosa di romantico nei duo e soprattutto nell’amicizia. Siamo inseparabili ma finiamo sempre per separarci. Perché ci lasciamo? Perché? Cosa ha rovinato tutto? È questo il mio motore nella scrittura. Il duo doveva essere in grado di superare questa situazione. Non è nella mia indole vedere tutto nero. Spesso la riconciliazione mi interessa più del litigio. È un film sull’amicizia quanto sull’aiutarsi a vicenda. È una sorta di antidoto a questo mondo iper-competitivo in cui siamo costretti a vivere. Forse alcuni vedranno nella decisione finale di Benjamin qualcosa di assurdo o completamente irrealistico. È un vero gesto di amicizia oltre che una decisione molto personale. Nella complicità, nei momenti di condivisione ma anche di tensione di questo duo, c’è tutto il soggetto del film e tutto il mio cinema. Un misto di realismo e romanticismo.

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