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Intervista a Pietro Cinieri: “Emozioni forti e inquadrature come dipinti, ecco il mio cinema”

Il cinema è intuizione e tecnica, idea ed esecuzione. Un’immagine mentale che si trasforma in qualcosa di tangibile, che sfonda l’obiettivo della macchina da presa. Qualcosa che colpisce, che emoziona, che non ti lascia indifferente. Funzionale al racconto, certo, ma anche espressione a sé stante, autonoma, autosufficiente. Come uno scatto fotografico, calibrato, ispirato, ragionato. L’immagine fissa che poi si muove, la fotografia che diventa regia, le sequenze che, una volta prodotte, vengono montate. Serve talento per fare tutto questo. Noi oggi abbiamo intervistato un ragazzo che ha tutte queste doti: Pietro Cinieri.

Pietro, partiamo subito dall’imminente futuro. Ad aprile inizieranno le riprese di The Carpenter, film diretto da Steven Renso. Tu, che sei anche regista, qui curerai solo la fotografia. Cosa ci puoi dire di questo progetto?

The Carpenter è un progetto molto ambizioso che ha seguito la strada del crowdfunding per avere un piccolo supporto economico. Parliamo di un film thriller che vede la partecipazione di diversi volti noti del cinema indie italiano e sarà girato in provincia di Bergamo nel mese di Aprile in soli dieci giorni. Il film, scritto dal duo Pietro Lovato/Steven Renso e diretto da quest’ultimo, vede me nel ruolo di direttore della fotografia e sarò accompagnato dal mio bel team. Ho conosciuto Steven per caso dopo aver visionato un suo cortometraggio molto interessante e da lì è nata questa nostra prima collaborazione, sperando possano seguirne tante altre. Dieci giorni non sono molti per un progetto indie low budget, quindi ci aspetta una gran bella sfida che sono sicuro affronteremo con successo.

I tuoi primi lavori – The Crow, Curse Of The Crying Child, Until it Burns – dove hai curato sia regia che fotografia, cosa ti hanno insegnato? Come descriveresti la tua evoluzione artistica?

Nel mio primissimo lavoro, il fan movie The Crow, curai dalla regia alla fotografia per poi passare anche al montaggio. Insomma un progetto a zero budget dove le difficoltà erano molte e quindi mi sono trovato a  ricoprire diversi ruoli che mi hanno aiutato poi a formarmi professionalmente. Questa mia prima fatica mi portò grande soddisfazione, raggiungendo in poco tempo le 300.000 views su youtube accompagnate da svariati feedback positivi da parte dei fan di Brandon Lee, recensioni su portali di cinema indie e diversi premi, tra cui Miglior Fan Film al Fright Night Film Festival. Poi ho diretto una mini web series horror dove ho curato fotografia e montaggio. Mentre The Curse of The Crying Child e Until It Burns sono due cortometraggi co-diretti con l’amico e collega Alessandro Masella. Considero Alessandro un vero fratello, mi trovo bene a lavorare con lui. Abbiamo condiviso diverse avventure, tra cui quella di Hollywood dove calcammo il nostro primo red carpet per ritirare un premio come miglior corto straniero con un corto diretto da Alex.

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Pietro Cinieri (a sinistra) sul set di “Corri Fratello Corri”

Il tuo ultimo film è stato invece Corri Fratello Corri

Ho curato regia e fotografia, diciamo che si tratta del mio primo vero corto da regista. Un corto drammatico che tratta il tema sul razzismo e sarà distribuito nei vari festival di punta italiani e non. Insomma ho iniziato il mio percorso con il genere horror per poi passare all’action e infine drammatico. Parallelamente ho curato la fotografia di altri progetti in italia e all’estero, dove ho conosciuto tanta bella gente. Ogni progetto ti insegna sempre qualcosa, si è sempre in continua evoluzione. Impari dai tuoi sbagli, dalle difficoltà ma soprattutto dagli altri. Si impara molto soprattutto dagli attori, sono loro i veri pilastri di un progetto. Ogni volta che dirigo un attore diverso, torno a casa con qualcosa in più nel mio bagaglio d’esperienza.

Pietro, tu nasci come musicista, poi ti sei avvicinato al cinema, al mondo dell’immagine. Com’è avvenuto questo passaggio? Quanto la musica (so che hai girato anche diversi videoclip) continua a influire sui tuoi lavori?

Ho iniziato il mio percorso artistico come musicista ma ho sempre amato la settima arte. Un giorno mi ritrovai come fotografo di backstage sul set di una web series e fu amore a prima vista. Vivere per la prima volta l’esperienza di un set fu qualcosa di emozionante e indescrivibile. Acquistai la famosissima Canon 600D e iniziai a sperimentare e studiare con amici che avevano già esperienza. La palestra migliore è guardare tanti film e video musicali. Successivamente arrivarono i primi lavori, mettendo su una crew sotto il nome di Oniris Pictures. Abbiamo diretto diversi video musicali, fino ad arrivare a lavorare con i Sud Sound System. La strada è ancora tanta da fare, ma l’importante è non arrendersi mai. Penso che chiunque suoni uno strumento abbia più controllo del ritmo, un elemento fondamentale per chi intraprende questo mestiere. Per lo meno a me ha aiutato molto, soprattutto nei video musicali.

A livello cinematografico invece, quali sono i tre film fondamentali che ti hanno catturato e che continuano a ispirarti?

Shining, Terminator 2 e Gran Torino. Diciamo che la lista sarebbe più lunga, ma questi tre film continuano a influenzare i miei lavori.

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Sul set con i Sud Sound System

La post produzione, il montaggio, è molto importante. Ma tutto nasce dall’immagine, l’inquadratura. Come definiresti il tuo stile? Cosa cerchi in un’immagine?

Credo di avere uno stile abbastanza frenetico, mi piace creare movimento per far vivere forti emozioni allo spettatore, quasi fosse lui il protagonista. Infatti sono amante dei film con stile di ripresa in soggettiva, come Blair Witch Project, Cloverfiled, Rec. A volte mi piace giocare anche sulla simmetria, cercando di trovare un equilibrio perfetto tra oggetti di scena e attori. Tutto deve essere al proprio posto, quasi come fosse un dipinto.

La tecnologia moderna, il web, ha sicuramente aiutato i filmmaker a proporre i propri progetti. Siano essi cortometraggi, autoprodotti, o video musicali, o addirittura candid camera. Diciamo che da un lato tutti quanti – e di talenti ce ne sono molti – possono ambire a trasformare la propria passione in un lavoro, dall’altro la concorrenza è enorme. Tu cosa pensi di questo aspetto? Come vedi il futuro del cinema indipendente?

Un tempo girare qualcosa in pellicola non era un gioco da ragazzi. Le attrezzature e lo sviluppo della pellicola avevano un costo non indifferente e non era diffuso il fenomeno del “web” come ora. Oggi la tecnologia permette a chiunque di affacciarsi a questo mondo con prezzi contenuti e di conseguenza con una grande concorrenza. Tanti artisti sono emersi dal web, bisogna solo avere un’idea giusta e veicolarla bene. Tanta concorrenza non è sinonimo di tante belle idee. Avere milioni di euro di attrezzature ti porta ad avere una buona qualità ma non una buona idea, quella non si compra. Se hai un’idea vincente, puoi girarla anche con un cellulare.

"Full Metal Jacket"

“Full Metal Jacket”

Da fotografo e regista, chiudo parlando di un’inquadratura a me cara, il Cameralook, lo sguardo in macchina. Qual è il primo che ti viene in mente e perché.

Lo sguardo di Leonard Lawrence in Full Metal Jacket nella scena del bagno, dopo che ha sparato al sergente maggiore Hartman. Sguardo terrificante e inquietante che perfora l’obiettivo. La prima volta che l’ho visto, ho avuto davvero paura: pensavo che Leonard fosse in stanza con me durante la visione del film.

Intervista di Giacomo Aricò

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