Cinema e Teatri hanno riaperto e, in questi luoghi dove la Cultura sta provando a ripartire, sono diversi i progetti che vedranno protagonista un’artista versatile ed appassionata: Carmen Di Marzo. Attrice, ballerina e cantante, Carmen Di Marzo – che ricordiamo in successi cinematografici come Arrivano i Prof di Ivan Silvestrini, Gomorroide di Ditelo Voi e Francesco Prisco, Confusi e Felici di Massimiliano Bruno – è uno dei simboli dei professionisti dello Spettacolo: artisti pronti a regalare tutto il proprio talento (e la propria anima) per emozionare il pubblico. Uno scambio vitale ed un reciproco nutrimento dopo un lungo periodo di chiusura.
Da sempre divisa tra cinema, teatro e televisione (prossimamente la vedremo anche sul piccolo schermo su Rai1 nella nuova stagione de I Bastardi di Pizzofalcone 3), abbiamo avuto il piacere di parlarne direttamente con lei, Carmen Di Marzo.
Carmen, cinema e teatri stanno riaprendo. È la volta buona? Come stai vivendo questo momento?
È un momento storico drammatico per la cultura. Cinema e teatri riaprono, ma sono due mondi che seguono logiche artistiche e di mercato completamente diverse. È importante sicuramente dare dei segnali di apertura, perché il lavoro e le persone ne hanno un disperato bisogno, ma avrei atteso ancora per riaprire i teatri, considerando alcuni fattori imprescindibili quali il distanziamento e la mancanza di maggiori tutele per tutti noi lavoratori dello spettacolo. Riaprire ora non significa favorire il Teatro, ma solo alcune istituzioni teatrali che godono di fondi e di notevole capienza, mentre il teatro privato e tanti spazi più piccoli sono praticamente fermi o in alcuni casi spariti.
Tra i titoli che – speriamo davvero – di poter vedere in sala c’è L’Incanto e La Delizia, il docufilm in costume di Francesco Zarzana ambientato nel 1631 e incentrato sul rilancio del Palazzo Ducale di Sassuolo, ovvero la residenza estiva degli Este. Tu, affiancata da Katia Greco ed Ivan Castiglione, interpreterai Vittoria Farnese, sorella di Maria, la giovane moglie di Francesco I d’Este. Che donna era Vittoria? Che elementi di attualità ha questa storia?
È stata un’esperienza bellissima rinnovare la mia collaborazione con Francesco Zarzana, con cui avevo già lavorato in precedenza. Fra le tante qualità che ha, mostra il pregio di tenere molto al mondo femminile e concede sempre uno spazio prezioso alle donne. Vittoria Farnese è una donna forte, caparbia e molto legata a sua sorella Maria. Mette sicuramente al primo posto gli affetti familiari e il rispetto dei ruoli. L’attualità che ho riscontrato è che nonostante passino i secoli e la società si trasformi, una forma di potere e di intelligenza è propria della donna che per natura è più accudente e meno impulsiva.
Un altro progetto che ti vede protagonista sarà 14 Wo(man), spettacolo teatrale – in programma tra Roma e Napoli – di Paolo Vanacore ispirato alla vera storia di Joanna Dennehy, una psicopatica assassina inglese. Tu sarai proprio Giovanna Denne, una serial killer condannata all’ergastolo per aver ucciso un numero imprecisato di uomini. Ce ne puoi parlare? Cos’è che muove dentro questa “mangiatrice” (in questo caso nel senso più letterale, visto che è una feroce assassina) di uomini?
14 Wo(man) è uno monologo nato qualche anno fa grazie alla penna raffinata di Paolo Vanacore, splendido autore e regista teatrale e con le musiche originali del Maestro Alessandro Panatteri. Abbiamo lavorato tutti e tre più di un anno prima di portare in scena questo lavoro, perché si tratta di uno spettacolo molto complesso e parecchio duro. È ispirato alla storia vera della serial killer inglese Joanna Dennehy e il fattore straordinario nella sua tragicità è che parliamo di una donna che rispecchia in pieno lo stereotipo omicidiario maschile. Giovanna ammazza seguendo una psicologia e una modalità tipicamente maschili. Ha una sessualità disturbata e in questo caos interiore uccide di conseguenza la sua parte femminile, troppo indifesa e mai messa a fuoco. Questo spettacolo racconta la brutalità dell’uomo, ma attraverso una donna violenta.
Da questo monologo è stato realizzato anche 14, il cortometraggio diretto da Michele De Angelis, che parteciperà a numerosi festival cinematografici e che ti vedrà protagonista. Dal palcoscenico alla macchina da presa, che traduzione ci sarà?
Abbiamo girato il cortometraggio grazie a una trasposizione cinematografica meravigliosa che Michele De Angelis, mio compagno di lavoro e di vita ha compiuto. Mentre lo spettacolo teatrale è un monologo dove la protagonista rievoca e racconta in prigione il suo passato, il linguaggio cinematografico invece ha reso possibile portare sullo schermo tutti gli altri personaggi che a teatro il pubblico immagina esclusivamente attraverso gli occhi e i racconti di Giovanna.
Il tema della violenza l’avevi interpretato, questa volta come vittima, nel corto Conciliare Stanca, diretto da Francesco Zarzana. Come hai vissuto questo cambio di prospettiva? Come sono gli occhi della vittima rispetto a quelli del carnefice?
È stata una bellissima opportunità raccontare il femminicidio attraverso gli occhi della vittima, perché Conciliare Stanca mi ha fatto chiudere un cerchio di studio e di creazione molto importante. Gli occhi di una vittima sono occhi che non dobbiamo mai dimenticare, perché gridano giustizia. Gli occhi di un carnefice sono dolorosi, perché gridano vendetta.
Intervista di Giacomo Aricò