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INTERVISTA – Noemi Gherrero: “Cinema e teatri chiusi? Non è vita, è sopravvivenza”

Dopo oltre un anno dall’inizio della Pandemia, siamo nuovamente in Zona Rossa. Ancora una volta isolati a casa, chiamati a fare la nostra parte, a combattere per debellare un virus che ha cambiato le nostre vite. Ripartiremo – e su questo non vi è dubbio alcuno – ma nulla sarà (esattamente) come prima. Siamo sempre più provati e stanchi, anche perchè l’isolamento domestico e le chiusure dei luoghi della cultura – i cinema, i teatri – ci hanno ulteriormente debilitato e impoverito. In attesa di poter tornare a condividere insieme la visione di uno spettacolo o di un film – quanto ci mancano le sale! – abbiamo dentro di noi un groviglio di sensazioni e di stati d’animo che devono essere esternate. Servono Le Parole Per Dirlo, come recita il nome del bellissimo programma culturale d’intrattenimento che va in onda su Rai3 tutte le domeniche mattina (dalle 10.15) condotto da un’attrice che parla con lo sguardo, la bellissima Noemi Gherrero.

"Le parole per dirlo" foto iwan

Intervista a Noemi Gherrero

Affiancata dai linguisti Valeria Della Valle e Giuseppe Patota, Noemi Gherrero ogni settimana con Le Parole Per Dirlo ci accompagna in un appassionante viaggio nella lingua italiana per raccontare il nostro modo di parlare nei suoi aspetti più vitali e concreti. In attesa di vederla nuovamente al cinema (nella commedia Vecchie Canaglie di Chiara Siani), abbiamo avuto il grande piacere di parlare con lei del momento che stiamo attraversando. Dell’importanza delle parole, dell’arte, del cinema. Dell’importanza, insomma, di sentirsi più vivi che mai.

Noemi, siamo nel mezzo della terza ondata. Da oltre un anno stiamo affrontando questa tempesta che ci sta segnando per sempre. Prima di tutto volevo chiederti come stai? Come stai vivendo questi giorni? Cosa provi?

Buongiorno a te e buongiorno a tutti i quelli che ci leggeranno. Grazie innanzitutto per questa intervista. E’ un piacere ritrovarsi sebbene quello che stiamo vivendo sia ancora una grande emergenza. Come ho più volte dichiarato, la prima quarantena con la conseguente chiusura forzata a me ha fatto molto bene. Ha regalato, paradossalmente, grandi stimoli e molta fiducia in me stessa. Ho dato vita ad una mostra fotografica insieme a mia sorella che continua, (con tutte le difficoltà del caso) a muoversi per l’Italia e contestualmente si sono aperti numerosi progetti e collaborazioni. Devo dire però che questo momento qui invece, non lo sto vivendo allo stesso modo. Comincio a sentire bisogno di quello stimolo per me fondamentale, che è il viaggio. Non poter viaggiare è la cosa di cui risento maggiormente ma anche incontrare i miei amici ad un tavolo di un bar. E’ vero che ho implementato il tempo con me stessa e ho più tempo per dedicarmi ai miei progetti ma è anche vero che gli istinti sociali cominciano a farsi sentire. Però reagisco. Magari passo qualche giorno con un po’ di tristezza e un po’ annoiata, ma poi mi riprendo e penso a tutto quello che di bello può sempre succedere.

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La pandemia ha sconvolto le nostre esistenze. Proviamo emozioni profonde e cerchiamo di orientarci attraverso le parole degli esperti, delle istituzioni, dei giornalisti. In questo anno abbiamo sentito – purtroppo – affermare tutto e il contrario di tutto, spesso con risultati catastrofici e messaggi sbagliati. Come è stata – e com’è ancora – gestita questa pandemia a livello comunicativo? In che modo siamo passati alla paura (che ci univa e forse ci faceva rispettare di più le norme) nel primo lockdown alla frustrazione/rabbia/menefreghismo (spesso sconfinante nel negazionismo) dello scorso autunno e di questo inverno?

Di fronte alle cose che ignoriamo non possiamo avere certezza di ciò che è giusto e ciò che è sbagliato. Si fa quel che si può, cercando di dare il proprio contributo. Questo vale per gli esperti ma vale anche per le persone comuni, che come me, non possono di certo farsi un’idea assoluta di quello che è accaduto e che continua ad accadere. Ognuno di noi si fa un’idea, un ‘opinione sulla base di dati comunque parziali, e tutte le opinioni meritano di essere rispettate se c’è un minimo di fondamento. Credo che in queste cose, bisogna fidarsi degli altri, di quelli che ne sanno più di noi, ma anche coltivare un proprio sentire, una propria percezione, sulla base delle proprie intuizioni e delle proprie riflessioni. All’inizio, dici bene, era la paura la leva principale a bloccare le persone, era se vogliamo, la “novità” di qualcosa mai vissuto finora… ma è anche vero che non si può vivere costantemente nella paura. La paura deve essere sostituita dal senso di consapevolezza e da strumenti di ragionevolezza.

Emoticon dilaganti, gif animate, video su tik tok. La comunicazione verbale si sta limitando sempre più. Lockdown e quarantene hanno visto aumentare violenze e femminicidi, i casi di depressioni sono in rapida crescita. Penso che siano sempre di più le persone che gridano in silenzio. Quanto, rispetto al contatto fisico (al ritrovarsi insieme fisicamente) è importante, ancora, e ancora di più, la parola, in ogni sua forma, come arma per combattere?

Credo sia naturale che quando un uomo si ritrova solo, la solitudine prima o poi lo divora. Solitudine fisica si, ma anche solitudine affettiva/morale/ di condivisione. Non dimentichiamo che noi non siamo concepiti per stare da soli. Anche chi sceglie percorsi di solitudine lo fa facendo comunque affidamento sulla natura, sulla bellezza delle cose. Ed è comunque in ogni caso, una scelta, ovvero, una cosa fortemente voluta. Qui il caso è diverso. Tante persone hanno perso il lavoro e dunque lo strumento che restituisce loro dignità. L’isolamento non è solo fisico ma anche percettivo. Stiamo diventando sempre più diffidenti, più abitudinari, più annoiati. Forse non si tratta più neanche di paura ma di pura perdita degli stimoli, di interessi. E la strada per uscire secondo alcuni sarebbe il virtuale, il che è vero ma fino a un certo punto. Se è vero che il contatto virtuale da molte agevolazioni in termini di spazio/tempo e rende possibili una miriade di cose prima anche inimmaginabili, è anche vero che tutto questo ha un valore se fatto bene. Insomma, il virtuale per me non è una ricetta che colma tutte le nostre mancanze- perché possiamo farci un profilo vetrina fittizio e non sentirci frustrati della nostra pochezza, sentirci amati solo perché postiamo una foto seducente che cattura l’attenzione e via discorrendo. Questa comunicazione così veloce, istantanea, legata alle immagini, non ci da modo di riflettere, di capire le differenze.

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Fino a giugno sei alla guida del programma Le Parole Per Dirlo, in onda la domenica mattina su Rai3. Cosa ti sta insegnando questa esperienza?

Beh tutto quello che non sapevo..! Mi è stata data molta fiducia e questa è stato il primo grande insegnamento. Mai pensare che sia tutto finito solo perché finora ci è andato tutto storto. Bisogna fidarsi degli altri, stabilire contatti veritieri e seri, bisogna essere sé stessi senza fingere di essere qualcun altro, tanto poi prima o poi vieni sgamato. E questo è il secondo insegnamento: restituire verità. Da attrice ho sempre interpretato ruoli diversi facendo piglio su singole parti di me. In televisione sono me stessa e basta e anche questa è una scoperta. Noi pensiamo sempre che per piacere dobbiamo somigliare per forza a qualcuno che piace magari a noi. La sorpresa è stato scoprire che in realtà è tutto più semplice di quanto si pensi. E poi sto incontrando artisti, giornalisti, pensatori, veramente di grandissimo spessore. Scoprire la loro umanità al di la degli stereotipi è stato un altro grande valore aggiunto così come collaborare con un team di autori e linguisti d’eccezione.

Nel programma hai modo di interagire online con gli studenti. Quanta forza stanno dimostrando questi ragazzi in un momento così particolare lontani dalle aule?

I ragazzi sono la nostra più grande risorsa. Sarebbe stato bellissimo averli in studio ma non è stato possibile per via delle criticità del momento. Questi ragazzi sono preparati, sono entusiasti. Purtroppo il collegamento permette interazione fino a un certo punto ma basta guardarli negli occhi per sentire il fuoco che hanno dentro.

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In questo anno difficile le parole alimentano le coscienze ed esprimono i sentimenti. L’arte, invece, rappresenta l’anima, la vita. Com’è nata la tua mostra fotografica Scomposizioni e Fughe Nell’Anima – Arte Pandemica? Stai pensando ad un seguito?

La mostra sta procedendo, un po’ a rilento come tutte le cose del momento, ma sta procedendo. Appena riapriranno le strutture espositive, la porterò a Bologna, Roma, Napoli e Bari quasi certamente. Sto poi portando avanti discorsi anche con altri artisti. Il mio desiderio è aprire agli altri, creare delle collettive di risposta alle crisi, creare un contenitore di idee/ suggestioni insieme ad altri artisti: dai pittori ai performer. Non è facile ma questo è il mio impegno. Voglio ancora lavorare su questo progetto qui perché credo non abbia esaurito la sua forza evocativa. Io non lo lego necessariamente al Covid anche se è nata per raccontare quello che stavo vivendo nel periodo della prima emergenza. Per me questo progetto vale come risposta alla crisi, e crisi può essere qualsiasi cosa: una malattia, un lutto, una guerra, una trasformazione personale. Quindi no, andrò avanti almeno fino a tutto quest’anno con questo progetto, poi ci penserò.

Sei un’artista poliedrica, che ha mosso i primi passi in teatro. Quanto ti manca il palcoscenico? Cosa pensi della situazione che stanno vivendo i lavoratori dello spettacolo?

Mi manca il teatro perché mi manca tutto quello che significa e il mondo che muove: il teatro come famiglia, il teatro che da movimento, il teatro che viaggia di città in città, il teatro che da il brio della scena, i colleghi che diventano il riflesso di te stesso. Mi manca sentire il rumore del palcoscenico, il senso dello sdoppiamento. Tra i miei tanti amici almeno la metà fa il mio stesso lavoro e tutti cerchiamo in un modo o nell’altro di non perdere quel senso di appartenenza. Non metto piede su un palco dallo scorso gennaio e come me tantissimi artisti che magari vivono solo di questo. I teatri, i cinema, i luoghi di cultura dovrebbero riaprire. Con sicurezza, ma riaprire. Non possiamo immaginare di vivere solo bevendo, mangiando e dormendo. Questa è sopravvivenza, non è vita.

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Tv, teatro, cinema. So che ha finito di girare Vecchie Canaglie, per la regia di Chiara Siani. Cosa ci puoi anticipare di questo lavoro? Quanto speri di poterlo vedere uscire in sala? 

Difatti noi andremo in sala. Anche qui: il virtuale non può sostituire l’emozione di una prima, e neanche il prestigio, se per questo. Questo film è veramente geniale. E’ un cartoon nel drammatico. La regista ha messo talmente tanto amore e maestria nel suo film che non potrà non riscuotere il successo che merita. La produzione ha avuto coraggio. Il cast è di primissimo rilievo con attori storici quali Lino Banfi, Pippo Santonastaso, Greg. Io interpreto Martina, un’infermiera romantica e sbadata sempre con la testa fra le nuvole. Un ruolo comico, molto divertente. Ed è in assoluto il mio primo ruolo comico. Mi sono divertita veramente tantissimo e spero di vederlo presto al cinema.

Intervista di Giacomo Aricò

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