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Non Odiare, il monito di Mauro Mancini per una società migliore

Fortemente voluto dal produttore Mario Mazzarotto, oggi a Venezia, in Concorso alla 35esima Settimana Internazionale Della Critica verrà presentato Non Odiare, l’opera prima di Mauro Mancini con protagonisti Alessandro Gassmann, Sara Serraiocco e Luka Zunic. Il film – dal 10 settembre al cinema – senza voler dare risposte, ci aiuta a interrogarci sulle origini dell’odio razziale e le sue conseguenze. Ed anche sulle contraddizioni dell’animo umano e la dilagante xenofobia.

Il film

La storia di Non Odiare è ambientata in una città del nord-est (Trieste), un non-luogo mitteleuropeo, contaminato da tante etnie, pulsioni, sedimentazioni e dalle profonde radici ebraiche. Qui, nel centro storico, vive Simone Segre (Alessandro Gassmann), un affermato chirurgo di origine ebraica: ha una vita regolare, senza scossoni, un appartamento elegante e più nessun legame con il passato. I duri contrasti con il padre, un reduce dei campi di concentramento morto da poco, l’hanno portato ad allontanarsi da lui ormai da anni.

Tornando dall’allenamento settimanale di canottaggio, Simone si trova a soccorrere un uomo vittima di un pirata della strada. Ma quando scoprirà sul petto di questo un tatuaggio nazista, lo abbandonerà al suo destino. Nei giorni seguenti, però, prevarrà il senso di colpa per la morte dell’uomo e Simone rintraccerà la famiglia del neonazista che vive in un complesso periferico popolare: Marica, la figlia maggiore (Sara Serraiocco); Marcello (Luka Zunic), al suo primo ruolo da co-protagonista, il figlio adolescente contagiato anche lui dal seme dell’odio razziale; il “piccolo” Paolo (Lorenzo Buonora). Verrà la notte in cui, Marica busserà alla porta di Simone, presentandogli inconsapevolmente il conto da pagare.

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Mauro Mancini racconta…

Per me e il mio sceneggiatore la scintilla è stata un fatto di cronaca avvenuto nel 2010 in Germania, a Paderborn, dove un chirurgo di origini ebraiche si è rifiutato di operare un uomo che aveva un tatuaggio nazista. In quel caso il medico si è fatto sostituire da un collega senza creare pericolo per il paziente.  Noi invece ci siamo immaginati cosa sarebbe successo se la stessa situazione si fosse presentata senza protezione, dove la scelta del medico avesse fatto la differenza fra vivere e morire.  Lo abbiamo messo nella situazione morale ed esistenziale più critica e abbiamo cercato di capire come ne potesse uscire, sempre che fosse in grado di farlo”.

Questo, però, non è esattamente un film sull’antisemitismo. Nasce da qualcosa di più generale e profondo, legato a una sorta di “difetto di fabbrica” connaturato all’uomo in ogni epoca: l’odio verso l’altro da sé, verso chi non si conosce. L’Olocausto è diventato l’emblema supremo di questo discorso, ma vale per tutte le epoche e le latitudini, ad esempio per la questione degli afroamericani negli Stati Uniti o per quella dei migranti di questi ultimi tempi. L’odio è un fiume carsico che percorre la storia dell’umanità. Per questo, Non Odiare credo possa essere una storia universale e fuori dal tempo”.

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In questi anni ci troviamo di fronte a un’escalation di eventi e proclami allarmante, inquietante, pericolosa. Non è vero che la storia si ripete – le condizioni non sono mai identiche – ciò che si ripete è l’esperienza del male e dell’odio. E a questi semi nocivi basta un po’ di vuoto per germogliare. Un vuoto di significato, di comunicazione, di memoria”.

Non Odiare parla del fatto che l’odio produce onde che si protraggono nel tempo, lente, ma sempre implacabili e violente. Onde che investono inevitabilmente tutti, anche individui che nulla hanno a che fare con quel male originario e che ne hanno letto solo nei libri di storia. Un seme del male talmente profondo che ne basta la sola evocazione per attraversare il tempo e contagiare anche individui comuni, miti e onesti. E farli diventare, a loro volta, una sorta di nuovi carnefici. Non odiare racconta cosa comporta l’eredità del male e il conseguente tentativo di riparare ai propri errori, spezzare la catena dell’odio che rischia di ridurre le nostre identità al ruolo di pedine, senza altra via d’uscita”.

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Mi sono sempre sforzato di non giudicare i personaggi, non voglio dare risposte facili, vorrei porre delle domande. I personaggi fanno un percorso nel film, piccolo o grande, che prevede anche diversi colpi di scena perché le conseguenze di scelte estreme sono sempre imprevedibili. Detto ciò, le contraddizioni della vita rimangono e fin dalla scrittura abbiamo cercato di essere onesti su questo. Quello che spero è che alla fine lo spettatore uscirà dal cinema con la domanda: da che parte penderà il futuro? Verso la tolleranza o verso l’odio? Se gli spettatori si sentissero personalmente coinvolti da questa domanda e pensassero che forse la risposta finale dipende da ognuno di noi, vorrebbe dire aver fatto un buon lavoro”.

“Il passato non muore mai. E non è neanche passato”.

William Faulkner

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