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Philip Seymour Hoffman, un gigante fragile

Chi lo ha amato o anche solo ammirato come attore non si è ancora abituato al fatto che non c’è più. Soprattutto oggi, che sarebbe stato il suo 50° compleanno. Philip Seymour Hoffman se n’è andato troppo presto, distrutto dalle sue debolezze, da quella dipendenza che quel 2 febbraio 2014 lo ha fatto addormentare per sempre. Era un gigante, non solo fisicamente. Lui era un gigante in scena e davanti alla macchina da presa. Un’espressività unica e una capacità interpretativa che lo hanno portato a vincere meritatamente l’Oscar da protagonista per Truman Capote – A Sangue Freddo (2004).

Truman Capote

In “Truman Capote”, prova da Oscar

Oggi lo ricordiamo attraverso le ultime due pellicole uscita al cinema in Italia: Syneddoche, New York (2008, prima regia di Charlie Kaufman) e La Spia – A Most Wanted Man (2014, regia di Anton Corbijn), uscita postuma dopo la sua morte. Due opere significative che oggi possiamo rivedere con occhi commossi e provando un istinto, vano, di poterlo salvare.

Syneddoche, New York

Syneddoche, New York esplora una serie di incubi che appaiono fin troppo realistici e umani. Il suo eroe, Caden Cotard, interpretato da Philip Seymour Hoffman, è un quarantenne regista teatrale nella cittadina di Schnectady che vede la vita crollargli addosso: il suo matrimonio con l’artista Adele (Catherine Keener) sta esalando l’ultimo respiro ed è inoltre afflitto da una serie di malattie sempre più catastrofiche. Sente che il tempo gli sta sfuggendo di mano e teme di morire da un momento all’altro senza avere avuto l’opportunità di portare a termine qualcosa di importante nella vita. Quando riceve un premio in denaro, decide di utilizzarlo per mettere in scena a New York una gigantesca opera teatrale. “Vuole creare una grande capolavoro – commentò Philip Seymour Hoffman pensa che la sua vita stia per finire, è pervaso da un senso di sofferenza d’amore, di morte e di separazione e desidera lasciare un’opera vera, sincera e straziante, esattamente come è la vita”.

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Indubbiamente il fulcro e la base del film dipendono dalla verosimiglianza della perfetta interpretazione di Philip Seymour Hoffman nei panni di Caden. “Tutto quello che vedete succedere al suo personaggio, quando abbiamo girato il film Phil lo stava vivendo nella realtà, perché questo è il suo modo di lavorare – rivelò Kaufman per riuscire a rendere ogni sfumatura aveva bisogno di capire cosa stesse succedendo in ogni istante. Ha lavorato in modo molto serio perché il suo personaggio si dibatte in una serie di difficoltà e Phil ha lottato insieme a lui per riuscire a interpretarlo”.

Quello affidatogli da Kaufman, fu un ruolo molto impegnativo per Philip. Alcuni film esigono dagli attori un’intensità emotiva per una settimana o due, ma lui per questo film ha dovuto darla ogni singolo giorno. L’attore ricordò così il rapporto lavorativo con il regista, allora esordiente: “per me è come se Charlie facesse il regista da una vita. Non ho mai avuto la sensazione che non capisse cosa significa confrontarsi con un attore o con il direttore della fotografia o con chiunque altro. Trova sempre il modo giusto per chiarire una situazione o darti una mano. Ha sempre lottato per ottenere quello che voleva davanti alla macchina da presa e ha sempre mostrato empatia nei confronti delle difficoltà che ciascuno di noi ha dovuto affrontare”.

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La Spia – A Most Wanted Man

Tratto dal romanzo ad alta tensione dello scrittore britannico John Le Carré, La Spia – A Most wanted Man è un action thriller politico di spionaggio ed un ritratto della solitudine in cui la trama si dipana tra Amburgo e Berlino. Philip Seymour Hoffman interpretò Gunter Bachmann, il geniale capo di una piccola organizzazione anti-terrorista con base ad Amburgo, che non piace alla più vasta comunità dell’intelligence tedesca per il suo approccio soft e la sua concentrazione sul gioco a lungo termine. “Questo film riguarda molti temi, compreso, ovviamente, come i paesi si confrontano col terrorismo – raccontò Hoffman ma è anche su un uomo che continua a fare la stessa cosa ed ottenere lo stesso risultato. Ti arriva la sensazione che non può smettere. Si sente davvero che sta cercando di fare la cosa giusta e credo, in realtà, che sia così. Ma il resto del mondo non condivide il suo modo di occuparsi dei cattivi del pianeta”.

Il film uscì dopo la morte di Philip Seymour Hoffman. Toccante fu il ricordo del regista Anton Corbijn:

era un gigante sotto ogni aspetto e la sua scomparsa non è solo una gigantesca perdita per il mondo intero e per tutti gli amanti dell’arte, ma anche ad un livello umano. L’eredità che ci ha lasciato è immensa sia per portata che per profondità: era il miglior caratterista che io riesca a immaginare, e anche nei suoi ruoli minori, era un gradino sopra rispetto i suoi contemporanei. La sua forza consisteva in un’immersione totale nel ruolo ed in una completa assenza di vanità. Al contempo, odiava ciò che amava, che era la sua maledizione: si faceva a pezzi per le sue interpretazioni”.

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Spero di avergli reso giustizia con il film che abbiamo fatto, dove lui è incredibile e meritevole di tutta la nostra attenzione. So che ne andava estremamente orgoglioso e parlavamo di lavorare ancora insieme. Ahimè, questo non accadrà mai e ciò rende la fine del film ancor più difficile da guardare” concluse poi il regista olandese.

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