THE SEA OF TREES

Smarrimento e rinascita ne La Foresta dei Sogni di Gus Van Sant

Dopo essere stato presentato nel 2015 al Festival di Cannes, arriva domani al cinema La Foresta dei Sogni, il nuovo film diretto da Gus Van Sant con protagonisti tre stelle: Matthew McConaughey, Naomi WattsKen Watanabe.

Sono l’amore e la perdita a condurre Arthur Brennan (Matthew McConaughey) all’altro capo del mondo, in Giappone, nella foresta fitta e misteriosa di Aokigahara, nota come “la foresta dei sogni”, situata alle pendici del Monte Fuji – un luogo in cui uomini e donne si recano a contemplare la vita e la morte. Sconvolto dal dolore, Arthur penetra nella foresta e vi si perde.

Lì incontra Takumi Nakamura (Ken Watanabe), un giapponese che, come lui, sembra aver perso la strada. Incapace di abbandonare Takumi, Arthur usa tutte le energie che gli restano per salvarlo. I due intraprendono un cammino di riflessione e di sopravvivenza, che conferma la voglia di vivere di Arthur e gli fa riscoprire l’amore per la moglie (Naomi Watts).

MAtthew McConaughey

MAtthew McConaughey

L’idea del film ha avuto inizio da una ricerca sul web. Lo sceneggiatore Chris Sparling stava navigando in Internet quando si è imbattuto per caso in un luogo bizzarro e misterioso in Giappone – Aokigahara–in modo non troppo diverso da come accade al personaggio di Arthur Brennan. Sparling riflette su quel luogo particolare: “quello che mi ha colpito immediatamente è la distanza che le persone non solo all’interno del Giappone, ma da ogni parte del globo – sono disposte a coprire viaggiando per raggiungere quel posto, con l’unico, specifico obiettivo di arrivare lì per togliersi la vita”.

Quello che ha affascinato lo sceneggiatore è “l’idea di come qualcuno possa prendere una decisione grave come questa, fare un viaggio così lungo, qualche volta per giorni interi, interagire con altri durante il viaggio, e poi portare a termine il proposito di suicidarsi, così come progettato all’inizio: hanno preso la loro decisione e niente o nessuno può dissuaderli”. Sparling ha così pensato al luogo prima ancora di creare i personaggi: “quando ho letto di Aokigahara, mi ha colpito non solo nei termini di un’arcana curiosità geografica, ma anche come luogo misterioso e profondamente spirituale, e anche molto spaventoso. Mi sono così messo ad immaginare una storia a partire da quella che sembrava un’ambientazione fantastica”.

Ken Watanabe

Ken Watanabe

Inizialmente Sparling pensò ad un racconto horror, ma poi cambiò idea, concentrandosi sul dramma e sui sentimenti: “ho scoperto che la gente effettivamente vi si reca a riflettere sulla vita e sulla morte e alcuni di loro, in effetti, cambiano idea. Ma la foresta è talmente disorientante che è ormai troppo tardi per tornare indietro: la foresta non li lascia più andar via. Questa ipotesi che qualcuno parta per questo lungo viaggio e poi riconsideri la sua decisione, dopo una riflessione e un recupero interiore: una meravigliosa svolta verso un’affermazione della vita, che però si scontra con il fatto di essere bloccati in un luogo di morte”.

Per Matthew McConaughey, quello di Van Sant è un film che celebra la vita: “è perfettamente in linea con la mia filosofia personale del ‘Just Keep Living’. Questa è una storia che dovrebbe far riflettere sulla propria esistenza, in senso buono. Lasciando la sala, gli spettatori dovrebbero riflettere a cosa si sono dedicati da quando sono nati, a cosa dovrebbero dedicarsi per il resto della loro vita, a cos’hanno da farsi perdonare”. Dello stesso avviso è anche Naomi Watts: “La vita è meravigliosa. La vita è breve e preziosa. Gli alti e bassi ne fanno parte integrante. Bisogna vivere. Bisogna semplicemente vivere. La gente può credere in cose diverse e questo è solo un film, nessuno pretende di imporre un’idea. La gente può capirlo e interpretarlo nel modo che vuole, e restano delle questioni aperte”. Non sappiamo che il viaggio di Arthur sia reale o metaforico, ma per l’attrice non dobbiamo per forza avere delle risposte: “per me fa parte della sua crescita, fa parte essenziale del suo percorso di guarigione e forse ora gli si presenta una nuova chance, la possibilità di guarire e di cambiare in meglio”.

McConaughey e Naomi Watts

McConaughey e Naomi Watts

Per l’attore premio Oscar con Dallas Buyers Club, il film tratta di spiritualità: “alcuni potrebbero pensare che abbia a che vedere con Dio. Alcuni con la reincarnazione, purgatori in senso letterale, e così via. Molti film che hanno a che vedere con questi temi possono avere la mano pesante nel tentativo di far passare un messaggio. Questo film è puramente poetico”. Il pubblico è libero di discuterne, filosofeggiando e dibattendo su quale fosse il tema del film, e su chi fosse Takumi (Il mio spirito? Lo spirito di Joan? La foresta era un luogo reale?). Per l’attore la sceneggiatura “non contiene alcuna predica, eppure è elegante e allo stesso tempo sgradevole. Devi passare attraverso l’annientamento per ottenere la salvezza. E noi ci siamo annientati. Io mi sono annientato. Per cui è anche una dannata storia di sopravvivenza”.

In vena di spiegazioni personali, McConaughey aggiunge che questo è anche un film d’azione: “la storia è trascinante, biblica: ci sono incendi e diluvi, freddo e ferite sanguinanti, e si è sempre ad un passo dalla morte”. Arthur affronta il suo cammino e viene trascinato in un percorso estremo: un naturale, umano percorso di elaborazione del lutto. C’è una parte del film in cui si rifiuta di riconoscere la sua situazione, e c’è una parte in cui si impegna ad affrontare un nuovo cammino: “ci sono molte cose che la gente dà per scontate nella vita di tutti i giorni e per capirle ci vuole un bello scossone”.

Arthur

Arthur

Arthur e Joan, un amore tormentato. Del suo personaggio, Naomi Watts dice: “Joan è una professionista ed è sicuramente innamorata di suo marito. Sfortunatamente si è rifugiata nell’alcool per nascondere il suo dolore. E’ una ‘high functioning alcoholic’, un’alcolista in grado di conciliare l’alcool con la vita privata e professionale. Prova rancore nei confronti del marito per un passato tradimento di lui e perché paga la parte più consistente dei conti. Avrebbe bisogno che questo le venisse riconosciuto”. Joan vorrebbe perdonare, ma non ha ancora elaborato il suo dolore: “cerca di proteggersi, credo che entrambi cerchino di proteggersi. Sotto sotto sono molto innamorati, ma sono successe troppe cose spiacevoli. Per cui ogni tanto servono dei campanelli d’allarme. Qualche volta piccoli e qualche volta ce ne vuole uno molto potente”.

Una donna di cui Arthur è profondamente innamorato: “si porta dentro un enorme senso di colpa – sostiene McConaughey – non avendo avuto la possibilità di una riconciliazione o di farsi perdonare. Lei è stata tremenda con lui, e anche questo lo fa soffrire perché lei non ha avuto il tempo di dirgli ‘mi dispiace’, e Arthur sa che avrebbe voluto farlo, e così si sente in colpa anche per lei. Il suo percorso personale consiste nel liberarsi di tutto questo, e l’opportunità gli viene offerta dalla necessità di aiutare Takumi e arriva fino al punto in cui non ha più voglia di morire. Arthur non vuole più mettere fine alla sua vita, vuole vivere. Ricomincia a credere nella vita”.

Joan e Arthur

Joan e Arthur

Libero a diverse interpretazioni, Matthew McConaughey riassume così il film e la sua speranza: “voglio che il pubblico esca dal cinema e si guardi un po’ dentro, che ciascuno rifletta un po’ sulla propria vita, sui propri rapporti, sui rapporti con le persone amate e che ora non ci sono più. Che ciascuno si guardi allo specchio, perché quello che il film realmente provoca in ciascuno di noi è una riflessione onesta: un inventario della propria vita, non in senso pedante, ma in senso spirituale”.

“È sempre quel particolare momento a svegliarti, sai? Un evento importante, di quelli che ti cambiano la vita, e che ti ricordano cos’è che conti davvero. Il problema è che quel momento arriva un’unica volta e qualche volta arriva troppo tardi”.

Arthur – Matthew McConaughey


EXTRA – Aokigahara, il luogo perfetto per morire

Nonostante la sceneggiatura di Chris Sparling sia un lavoro originale di fantasia, il luogo in cui è ambientata la storia esiste davvero. Con un’estensione di 35 kmq. ai piedi del Monte Fuji, Aokigahara è un luogo reale. Nota in tutto il Giappone per essere un posto in cui le persone vanno per porre fine alla loro esistenza, quelli che hanno visitato la foresta di Aokigahara la descrivono come “il luogo perfetto per morire”, come affermato anche da Wataru Tsurumui nel suo bestseller Il Manuale del Perfetto Suicidio.

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Gli impiegati giapponesi della guardia forestale inciampano continuamente in cadaveri con diversi stadi di decomposizione, spesso pendenti dagli alberi o in parte divorati dagli animali selvatici. Nessuno sa quale sia il numero esatto di corpi che ancora giacciono tra gli alberi di Aokigahara, destinati a decomporsi e a diventare parte della foresta stessa, ma il numero di quelli scoperti fino ad ora sono la causa dell’inquietante reputazione di questo posto come il luogo in cui avvengono più suicidi in Giappone, e, secondo alcune stime, nel mondo. Molte delle vittime vengono ritrovate in possesso di una copia del libro di Tsurumui, cosa che rende la foresta tristemente celebre un luogo ancor più tragico.

Il Monte Fuji è un vulcano attivo, la cui più recente eruzione risale al 1708. Per questo ci sono enormi depositi ferrosi sotto il suolo della foresta di Aokigahara che provocano l’impazzimento delle bussole e di altri strumenti di navigazione, disorientando e intrappolando coloro che vi entrano. Noto come il luogo più stregato del Giappone, ad esso fanno riferimento miti e leggende che risalgono a centinaia di anni fa e che parlano di alberi pieni di energia negativa accumulata nel corso di secoli di suicidi. Tutto il territorio è punteggiato di cartelli in giapponese e in altre lingue che dicono: “pensa alla tua famiglia!” e “per favore, ripensaci!” oppure “rivolgiti alla polizia prima di scegliere di morire!”. Ma sembra che questa segnaletica abbia una scarsa influenza su coloro che sono decisi a suicidarsi lì. Inoltre, un sacco di gente che va lì con l’intenzione di morire cambia idea ma, non riuscendo più a trovare la strada per uscire dalla foresta, muore comunque.

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Un tempo in Giappone il suicidio era considerato un atto valoroso, una cosa onorevole. Oggi c’è un alto tasso di suicidi in Giappone per le stesse ragioni per cui Takumi si trova lì: la gente perde il lavoro, gli uomini perdono il lavoro, e il fatto di non essere in grado di mantenere la propria famiglia è socialmente molto umiliante.

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