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The Truman Show, il film degli Oscar mancati, ora diventa una serie tv…

La Paramount, adesso, 2014, ne sta sviluppando una serie tv. Ma facciamo un passo indietro: eravamo ad un passo dall’inizio del nuovo millennio. Era il 1999 ed era la notte degli Oscar. Come miglior film vinse Shakespeare in Love di John Madden, tra applausi e riflettori puntati su una commossa Gwyneth Paltrow e il suo (al momento unico) massimo riconoscimento come attrice protagonista. Potessimo tornare indietro però cambieremmo questa decisione, premiando un altro film. Un film che per giunta non era nemmeno in nomination: The Truman Show di Peter Weir.

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Una storia che aveva visto davvero lontano, anticipando i tempi, e che ci ha poeticamente servito un ricco antipasto di quello che stava per accadere alla nostra società.

Come anticipato prima, il 2000 era alle porte. In Italia ci preparavamo alla prima storica edizione del Grande Fratello. Ma non ci stavamo solo apprestando ad arricchire la Endemol e il suo azzeccato format. Stavamo entrando in una fase nuova che probabilmente ha sconvolto le nostre vite. Una mentalità diversa con un nome ben preciso: reality. Realtà. Sotto forma di spettacolo, di intrattenimento. La vita illuminata da un sole artificiale, in cui ogni mossa, ogni gesto, ogni dialogo, è visto da qualcun altro. Un mondo finto creato ad hoc per realizzare una sceneggiatura di successo, una fiction che investe il reale e che travolge sentimenti ed emozioni. Un grande occhio orwelliano (George Orwell, 1984) che ti comanda come una pedina e che gioca a fare Dio.

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Solo l’immenso e sensibile Jim Carrey poteva interpretare Truman. Una prova che avrebbe meritato senz’altro un Academy e che lo avrebbe, chissà, tolto l’etichetta di attore con la ‘faccia di gomma’, limitato solo a ruoli divertenti in commedie e film demenziali. La prestazione di Carrey è da manuale perché riesce a sottolineare con innocente ingenuità il dramma che lo sta avvolgendo alle sue spalle. Se non altro Jim almeno un Golden Globe se lo portò a casa.

Passando a Weir, il regista fu nominato per la miglior regia ma non vinse. Vorremmo poter cambiare le cose anche in questo caso. Affiancato da Andrew Niccol (pure lui solo nominato per la miglior sceneggiatura originale), Weir ha infatti genialmente messo in scena la società che stava arrivando e che adesso popola il mondo. Aveva colto il totale bisogno di voyeurismo delle persone. La dipendenza dai medium della comunicazione. Un aspetto che oggi trionfa e che trova la sua espressione non solo nella tv, ma anche e soprattutto nel web e nelle dinamiche dei social che hanno trasformato la nostra vita in un diario da sfogliare giorno per giorno. A tal proposito Facebook ha da poco festeggiato il decimo compleanno regalando ad ogni utente il suo personale film…

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Ed Harris nel ruolo del regista

Più ci penso e più lo trovo un film epocale. Una pietra miliare del cinema che oggi meriterebbe una ri-celebrazione a Los Angeles con Oscar honoris causa. Pensiamo anche, o soprattutto, anche al tema della pubblicità. Come la vita già scritta di Truman sia stracarica di messaggi promozionali, di spot, di marchi, di annunci. Oggi siamo bombardati di adv, imposta come dei pugni in volto senza possibilità di difesa. Per cosa possiamo ancora sognare oggi? Questo clima che impazza è pilotato da un regista malefico? Il film è infatti per certi aspetti spietato, talmente finto da essere vero o talmente da risultare finto.

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La falsità di Laura Linney, che mostra il prodotto dritto in camera

Siamo diventati la società dell’infotaiment, del docureality, e di tutti quei generi misti che tendono a spettacolarizzare la vita, vera. La società che tende a isolarsi dietro ad uno schermo virtuale. Talmente tanto che da spettatori vogliamo diventare noi protagonisti, alla ricerca di quella stessa attenzione che si riserva nel film a Truman. Il rischio, forse già in corso, è quello di essere delle pedine di un grande gioco, in cui ogni nostra azione viene comandata per un mero obiettivo di guadagno. Guadagno altrui ovviamente.

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Ma il vero scatto che ci ha fatto entrare The Truman Show non solo nella mente ma anche nel cuore è la crescente consapevolezza del protagonista di trovarsi in un sistema finto che si stava arricchendo alle sue spalle. Gli spettatori, del e nel film, si sono identificati con lui perché hanno capito che il valore più grande che abbiamo, quello che non si potrà mai cambiare, in fondo è semplicemente la nostra autenticità. Solo noi dobbiamo essere registi di noi stessi. Se cerchiamo bene la porta c’è. Soprattutto quando ad aspettarci dall’altra parte c’è l’amore, quello vero.

Giacomo Aricò

 

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