La Doppia Vita Di Madeleine Collins 0

Virginie Efira hitchcockiana ne La Doppia Vita di Madeleine Collins

Virginie Efira è la grande protagonista de La Doppia Vita di Madeleine Collins, il thriller scritto e diretto da Antoine Barraud che, dopo essere stato presentato alla 78. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, nella sezione Giornate degli Autori, sarà nelle nostre sale da giovedì 2 giugno.

Il film

Judith (Virginie Efira) conduce una doppia vita tra la Svizzera e la Francia. Da una parte c’è Abdel (Quim Gutiérrez), con il quale cresce una bambina, dall’altra Melvil (Bruno Salomone), con cui ha due ragazzi più grandi. Poco a poco, questo equilibrio fragile fatto di menzogne, segreti e andirivieni va pericolosamente in frantumi. Messa all’angolo, Judith sceglie la fuga in avanti, in un’escalation vertiginosa.

Antoine Barraud 

Vi presentiamo di seguito un estratto dell’intervista rilasciata dal regista Antoine Barraud.

Qual è l’origine del film?

Pensavo a una donna che utilizzava la sua professione per nascondere una doppia vita. Pensavo al movimento che una tale situazione poteva generare. Una donna che si sposta, che compie degli andirivieni. Delle linee di fuga. La doppia vita al cinema l’abbiamo vista molte volte riguardare gli uomini, ma quasi mai una donna. Perché la questione dei figli, se ce ne sono, si pone immediatamente… L’ostacolo della gravidanza, visibile o no, sul quale per forza di cose mi sono scontrato molto velocemente, e che non si sarebbe posto nei confronti di un uomo, mi interessava. Nel personaggio di Judith c’è questo: tutto il tempo si trova a difendere l’indifendibile.

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Il tema dell’identità attraversa la pellicola: chi sono? Sono quello che voglio essere o quello che mi si spinge ad essere? Sono argomenti che l’appassionano?

Sono presenti fin dal mio primo film, Les gouffres: Mathieu Amalric emerge dalle viscere della Terra essendo qualcun altro… Ma onestamente sono cose che lascio in infusione, senza intellettualizzarle. Di fatto, tornano di film in film, come il concetto del mostro. D’altronde, per me, il personaggio di Virginie è una specie di mostro, un mostro a più teste, come un mostro della mitologia. Ma, per tornare all’identità, anche nel mondo reale è un gioco che si prende più o meno sul serio, al quale si aderisce in diverse misure. Talvolta non si accetta che si è ciò che si è, non ci si riconosce. Essere sé stessi significa anche mantenere una parvenza, una coerenza. Un’altra questione presente nel film è il bisogno di libertà, quasi di un lato selvaggio. Tutto ciò potrebbe essere un gioco. Certo, a volte pericoloso, ma assai eccitante.

Virginie Efira

Ecco un estratto dell’intervista rilasciata dall’attrice protagonista del film, Virginie Efira.

Ha provato a definire ciò che ha dettato il comportamento di Judith? Una mancanza d’affetto? Una forma di follia?

Osserviamo il rapporto che ha con la madre, una donna che non mostra approvazione, che non è amorevole, che nel parlarle usa parole taglienti! Può darsi lei non abbia avuto nemmeno un’infanzia felice. Nella relazione clandestina e trasgressiva che Judith ha con Abdel c’è anche l’idea di qualcosa che cresce, un segreto che si afferma e fa sì che lei non possa più sopportare quel tipo di madre. Non ha mai fatto un grande salto, ma una piccola deviazione che ha condotto a un’altra deviazione, e così via. L’interdetto del suo rapporto con Abdel non è mai stato affrontato, è stato rimandato a più tardi, uno slittamento progressivo ha dato una forma di legittimità a quel rapporto. Uno psichiatra avrebbe probabilmente delle cose da dire o da prescrivere, ma io, quando elaboro un personaggio, non posso guardarlo solo da un punto di vista patologico. A me interessa il lato romanzesco che sta al di sopra della storia: come si ampliano le strade della sua esistenza, come non si resta confinati in una vita, la vita di qualcuno che, forse, è sempre stato una sposa perfetta. Siamo davvero obbligati ad avere un solo nome, e a far sì che questo nome corrisponda a ciò che le persone hanno sempre visto di noi?

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Judith è esattamente come Abdel e Melvil la vogliono. Il suo cammino è un’emancipazione, una liberazione?

Forse, ma nelle identità multiple di Judith si elaborava già una libertà. Rispondere a delle aspettative multiple vuol dire rispondere sempre alla stessa domanda: do quel che ci si attende da me. Può darsi che Judith si sbagli su quel che ci si attende da lei… In ogni caso, quando a monte lavoravo sul personaggio vi vedevo un senso di abnegazione: anche se Judith mente, ogni volta è totalmente presente in quel che accade, nell’istante, in una preoccupazione, in una cura dell’altro – che si tratti di mariti o di figli.

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