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Ada, la ricerca di libertà nei “pugni in tasca” di Kira Kovalenko

In un’ex città mineraria dell’Ossezia del Nord, una giovane donna lotta per sfuggire alla stretta soffocante della famiglia, che lei tanto ama quanto rifiuta. Da giovedì 14 luglio uscirà nelle nostre sale Ada, il nuovo film diretto da Kira Kovalenko, già vincitore del Premio Un Certain Regard al 74me Festival International du Film Cannes. Il titolo internazionale del film, Unclenching the Fists, è un omaggio al primo film di Marco Bellocchio, I Pugni In Tasca (1965),

Il film

La piccola città mineraria di Mizur si trova in alto, sulle montagne dell’Ossezia settentrionale, tra ripide scogliere. Zaur (Alik Karaev) ha sistemato qui la sua famiglia. Tiene i suoi figli maschi e la sua unica figlia femmina stretti a sé, non riuscendo a vedere la linea che separa la preoccupazione paterna dall’iperprotezione. Suo figlio maggiore, Akim (Soslan Khugaev), è già scappato nella città più vicina, Rostov, per trovare lavoro. Il più giovane, Dakko (Khetag Bibilov), non è ancora del tutto sicuro di cosa vuole dalla vita, mentre la figlia di mezzo, Ada (Milana Aguzarova), sta pianificando la propria fuga. Nonostante sia già una giovane donna, suo padre insiste ancora nel trattarla come una ragazzina indifesa. Liberarsi dalla stretta paterna per intraprendere finalmente una vita adulta indipendente si rivela più difficile di quanto si aspettasse. Ma da cosa sta cercando di proteggere sua figlia questo padre?

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Kira Kovalenko racconta…

“L’ispirazione iniziale per la storia trova origine nel romanzo di Faulkner, “Non Si Fruga Nella Polvere, secondo cui, mentre alcune persone sono in grado di sopportare la schiavitù, nessuno può sopportare la libertà. L’idea della libertà intesa come un fardello era l’unico tema per me davvero importante, mentre lavoravo al film. È possibile ritrovare la libertà cancellando i ricordi? Mi sono rivolta alla mia memoria, che includeva un evento che è stato fondamentale e allo stesso tempo traumatico per me e anche per molte altre persone. Ne è risultato il racconto di persone che hanno vissuto questo evento e che, molti anni dopo, stanno ancora cercando di fare i conti con il trauma che ha causato. Il mondo intorno a loro ne è ancora segnato e loro stessi sono distrutti, in un modo che determina poi tutte le relazioni all’interno di questa famiglia. Il tentativo di dimenticare e di preservare comporta un atto di violenza contro la volontà umana, che, paradossalmente, è anche un atto di amore“.

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