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Arthur Rambo, nasce dai social il blogger maledetto di Laurent Cantet

Il 28 aprile arriverà nelle nostre sale Arthur Rambo – Il Blogger Maledetto, il nuovo film di Laurent Cantet che racconta ascesa, gloria e caduta di un giovane scrittore militante, ai tempi dei social. Ispirato a una storia vera, e interpretato da Rabah Nait Oufella, il film si pone pienamente nel solco del cinema sociale del cineasta francese abituato a osservare la società negli occhi, senza moralismi, cercando di indagare il mondo moderno in tutta la sua complessità. Cantet non solo ritrova i suoi temi favoriti, la forza del gruppo e dell’amicizia, le illusioni perdute, ma rinnova la questione politica e la dialettica tra individuo e gruppo, ponendole nel perimetro astratto e pericoloso del mondo dei social.

Il film

Karim D. (Rabah Naït Oufella) è un giovane scrittore arabo francese di successo, cresciuto nelle banlieue, vezzeggiato e acclamato da case editrici e lettori, fino al giorno in cui si scopre che con lo pseudonimo di Arthur Rambo, storpiatura del famoso poeta maledetto Arthur Rimbaud aggiornato all’eroe popolare Rambo, tiene blog xenofobi e reazionari. La casa editrice blocca le ristampe del suo ultimo libro e Karim D. inizia un percorso a ritroso fino alle proprie origini, mettendo in luce la crudeltà e la doppiezza del mondo dei social dove ogni verità è forse una finzione e viceversa.

Laurent Cantet

Riportiamo qui sotto un estratto dell’intervista rilasciata dal regista Laurent Cantet.

Cominciamo dall’inizio e dall’affare Mehdi Meklat.

Come molti, ascoltavo regolarmente “The Kids” – Mehdi e Badrou – che tenevano una rubrica nel programma mattutino di Pascal Clark alla stazione radio francese France Inter. Sono stato incuriosito dal loro taglio giovanile, dall’impatto che hanno saputo creare osando dire alcune cose alla radio nazionale. La loro rubrica era così creativa ed eclettica, non si limitavano soltanto a questioni e argomenti relativi al quartiere svantaggiato da cui provenivano. Leggevo anche i loro articoli sul Bondy Blog, li trovavo pertinenti e taglienti, con forti spigolature politiche. Dato che personalmente non uso i social media, non conoscevo affatto i famigerati tweet di Mehdi Meklat. Li ho scoperti la mattina dopo che scoppiò il caso, alla radio e sui giornali. La mia reazione iniziale è stata di stupore assoluto. Soprattutto trovavo difficile mettere insieme tutti i pezzi e spiegarmi come questo ragazzo intelligente e sensibile avesse potuto scrivere delle parole del genere. Com’era possibile che tutto questo coesistesse nella stessa mente? All’indomani della vicenda, un certo numero di persone, giornalisti e intellettuali, hanno cercato di analizzare il tutto, ma la mia sensazione era che tutti girassero a vuoto. La necessità di capire ha creato molti discorsi e dibattiti sull’argomento, nel tentativo di stabilire una sorta di verità da tutte le parti. Ma c’è un limite a ciò che la dialettica può raggiungere. Sentivo che quel discorso, per quanto ben costruito, non avrebbe mai svelato il mistero della sua personalità, mentre un film avrebbe potuto tentare di farlo in un modo più accessibile.

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Molto rapidamente, confrontando Karim con i diversi ambienti in cui si muove, il film incita gli spettatori a riflettere su domande specifiche, o addirittura a prendere una posizione…

Il film è costruito come un processo. Più volte, Karim è chiamato a rispondere alla seguente domanda: “Perché lo hai scritto?” La prima volta che viene processato in questo modo è con la donna che gestisce la casa editrice. La rapidità fulminea con cui funzionano i social media è l’opposto della cultura di questa donna, poiché per lei una trasmissione letteraria in televisione significa l’apice della presenza mediatica. Lei si trova di fronte a questo ragazzo che le dice: “non c’è nessun problema, ho più di 200.000 followers e nessuno ha mai detto nulla”. C’è sicuramente un gap generazionale. E se anche tu non fossi un tweeter compulsivo ti troveresti presto travolto da questo fenomeno. E questo forse perché le parole non hanno lo stesso peso se le leggi in un libro o se appaiono sullo schermo di un cellulare.

Il film inoltre riecheggia il genere del road-movie, anche se Karim viaggia a piedi o usa la metropolitana per brevi distanze urbane: lo stesso processo che comporta il movimento da un luogo all’altro, da un ambiente sociale all’altro, intraprendendo un viaggio geografico che è anche viaggio interiore.

Se vogliamo osare, potremmo anche dire che il suo percorso è la sua lunga e difficile strada verso la fine. È veramente la traiettoria di una caduta; tuttavia, spero di non aver fatto di Karim un martire. È stata una preoccupazione costante per me, dalla sceneggiatura al montaggio. Anche se il film guarda a questo personaggio in maniera attenta e non scortese, io sono stato attento a non proteggerlo dirimendo tutto le sue contraddizioni. Volevamo un andirivieni tra repulsione ed empatia. Un bastardo assoluto che scrive solo porcherie non mi avrebbe interessato. D’altra parte, che un ragazzo con cui potresti facilmente diventare amico possa scrivere messaggi del genere ti fa riflettere. Karim è costantemente in movimento e il film si impegna a restituire una topografia parigina piuttosto precisa, con la linea di demarcazione tracciata dalla circonvallazione periferica di Parigi, che definisce un noto paesaggio sociale: due mondi che convivono senza mescolarsi. Karim è l’eccezione, rappresenta chi è arrivato dall’altra parte dei binari, transitato da un mondo all’altro, e alla fine lo paga a caro prezzo. Per essere dove voleva essere, Karim sa di aver dovuto “tradire” le sue origini e il suo background sociale. Sa molto bene che deve il suo successo a compromessi che lo metteranno a disagio. 

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Al di là di Karim, la questione dei social media sembra essere l’argomento al centro del film.

Come conviviamo con i social media? Cosa ci facciamo? Quali pericoli rappresentano? Come puoi esprimere un pensiero in 140 caratteri? La brevità di un tweet cancella la complessità, e questo è ulteriormente aggravato dalla pura profusione di messaggi che si susseguono. Per quanto mi riguarda, questa semplificazione eccessiva del discorso è forse l’effetto più dannoso e pericoloso dei social media. Karim paragona i social media alla pressione dei coetanei nel cortile della scuola, dove devi essere il più divertente, il più rumoroso, il più coraggioso. Come se potessi dire qualsiasi cosa perché pensi che non andrà mai oltre il perimetro della scuola. Solo che ora il cortile della scuola è diventato globale e può raggiungere milioni di persone. Questo è anche ciò che rende interessante il protagonista: non sappiamo esattamente quale sia il suo grado di consapevolezza rispetto a ciò che scrive e la memoria di internet cosa ne conserverà. Mi sembra una specie di apprendista stregone. Esprimendo la sua opinione su qualsiasi cosa, realizza la segreta ambizione di influenzare il mondo. In verità, i social media costituiscono un mondo parallelo la cui influenza sul mondo reale mi preoccupa molto.

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