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Bentu, la vita tra il grano diretta da Salvatore Mereu

Liberamente tratto da Il Vento e Altri Racconti di Antonio Cossu, oggi alle Giornate degli Autori di Venezia sarà presentato Bentu, il nuovo film diretto da Salvatore Mereu. Il film sarà poi nelle nostre sale a partire dal 15 settembre.

Il film

Raffaele (Peppeddu Cuccu) ha appena raccolto il suo piccolo mucchio di grano che sarà la provvista di un anno intero. Per non farsi trovare impreparato, da giorni dorme in campagna, lontano da tutti, in attesa che il vento arrivi e lo aiuti a separare finalmente i chicchi dalla paglia. Ma il vento non ne vuole sapere di farsi vedere. Solo Angelino (Giovanni Porcu) viene a trovarlo ogni giorno per non farlo sentire meno solo. Un giorno, forse, quando sarà grande, Raffaele potrà prestargli la sua indomita cavalla e lui potrà finalmente cavalcarla. Ma Angelino non vuole aspettare.

Salvatore Mereu racconta…

«Cos’è Bentu? Un encomio della natura e delle sue leggi? Un racconto di formazione? O più semplicemente un film etnografico? Categoria, quest’ultima che, se accertata, lo consegnerebbe a una condizione raminga di difficile coabitazione con le piattaforme e con quel poco che rimane della sala. Si può fare un film così, con la prospettiva certa di non trovare poi un tetto? Si può e si deve, se ci si imbatte in un racconto che attraverso la forma dell’apologo ci dà almeno per un po’ l’illusione di raccontare qualcosa di noi stessi, e se si è accompagnati, come è accaduto per Bentu, da un gruppo di ragazzi con cui condividere il piacere dell’esperienza del cinema. Si può, se si è fuori dalla dittatura del budget e degli algoritmi”.

Peppeddu Caccu

Peppeddu Caccu

In Bentu, all’apparenza, non accade nulla, tutto scorre in un tempo e in un modo a cui non siamo più abituati. Il tempo è quello dell’orbita del sole, della notte che lo sostituisce, prima che l’arrivo delle macchine costringesse tutti a un altro tempo, quello della produttività. Per abitarlo, Bentu, da spettatori, dovremmo consegnarci a quel tempo, come quando fuggendo dal nostro sovraccarico di impegni quotidiani cerchiamo in un vecchio casale, sulla riva di un torrente, in un chiostro, ciò che non siamo più, quello che abbiamo perduto. L’attesa, la ricerca, diventano forma stessa del racconto. Un anacronismo, si obietterà, che rischia anche di essere travisato per nostalgia dell’arcadia, se si pensa a un mondo in cui il tempo è regolato dalle macchine, dai bit, dal moltiplicarsi degli scambi, dalla velocità”.

“In cosa ci può assomigliare allora un vecchio contadino della Trexenta, regione remota della Sardegna dell’interno deputata alla coltivazione del grano fin dal tempo dei romani? In nulla, all’apparenza. A Raffaele tocca apparecchiare l’aia e aspettare che il vento faccia il suo corso ripulendo il grano dalla paglia seguendo una pratica che viene dalla notte dei tempi. Eppure la sua personale sfida con la natura, portata avanti nel rispetto delle sue regole, in disprezzo delle macchine che sono arrivate a lambire anche il suo piccolo appezzamento, a sovvertire quel vecchio ordine in cui lui è cresciuto, possono forse dirci qualcosa su cosa siamo diventati. Vi è ancora un modo di coabitare con la natura senza ignorare le sue leggi? L’illusione beffarda dell’uomo di dominarla si infrange spesso con la sua aspirazione vana a contenerla e l’epilogo drammatico di questa storia potrebbe dirci, a voler forzare la mano, che poco o nulla sarà lasciato ai più piccoli, a chi arriverà dopo. Non è che una delle possibili chiavi per accedere a questo racconto che si porta dentro molto altro”.

Giovanni Porcu

Giovanni Porcu

“Leggendo il libro omonimo di Antonio Cossu, a cui il film molto liberamente si ispira, ho ritrovato molti dei temi a me cari e che ho spesso trattato in passato partendo da altri libri (Sonetaula, Bellas mariposas, Assandira). Il mondo dell’infanzia prima di tutto, e poi volgendo lo sguardo, ancora una volta, alla Sardegna, quella dimensione del tempo sospeso, della sfida dell’uomo con la natura, del difficile approdo alla modernità quando ci sono i sedimenti di una grande civiltà arcaica che resiste. Ma Bentu è anche la storia di un’amicizia, quella tra Raffaele e il piccolo Angelino, di una relazione umana che si dipana attraverso l’apprendistato, l’iniziazione, che matura in condizione di totale isolamento in un tempo e in un luogo dove anche l’arrivo di una trebbia viene vissuto come il passaggio del Rex».

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