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Cafarnao, il caos e i miracoli di Nadine Labaki

Vincitore del Premio della Giuria all’ultimo Festival del Cinema di Cannes, giovedì 11 aprile arriva al cinema Cafarnao – Caos e Miracoli, il film diretto da Nadine Labaki che lo ha anche interpretato al fianco del giovanissimo Zain Al Rafeea.

Il film

Zain (Zain Al Rafeea) ha dodici anni, ha una famiglia numerosa e dal suo sguardo trapela il dramma vissuto da un intero Paese. Siamo a Beirut, nei quartieri più disagiati della città. Zaid non ha però perso la speranza ed è pronto a ribellarsi al sistema, portando in tribunale i suoi stessi genitori.

Nadine Labaki

Lasciamo spazio ad un estratto dell’intervista rilasciata da Nadine Labaki.

Perché ha scelto di intitolare il suo film Cafarnao?

È un titolo che si è imposto da solo senza che me ne rendessi conto. Quando ho iniziato a riflettere sulla storia, mio marito Khaled mi ha suggerito di scrivere su una lavagna bianca che avevamo posizionato in mezzo al soggiorno tutti i temi che volevo trattare, tutte le mie ossessioni del momento, tutte le idee che volevo approfondire, visto che il mio modo di procedere è questo. Prendendo un po’ di distanza rispetto a quella lavagna, gli ho detto “Certo che tutti questi spunti formano un vero cafarnao! Questo film sarà (un) cafarnao”.

A questo proposito, quali erano all’inizio i temi annotati sulla lavagna?

Attraverso i miei film sento sempre il bisogno di interrogarmi sul sistema costituito, sulla sua incoerenza e anche di immaginarmi dei sistemi alternativi. Alla base di Cafarnao c’erano una serie di problematiche: l’immigrazione clandestina, i bambini maltrattati, i lavoratori stranieri, il concetto di frontiera, l’assurdità di tante situazioni, l’esigenza di avere un pezzo di carta che dimostri la nostra esistenza, senza il quale non contiamo nulla, il razzismo, la paura dell’altro, la freddezza della convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia…

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Tuttavia ha scelto di centrare il film sul tema dell’infanzia…

L’idea di costruire Cafarnao attorno alla questione dei bambini maltrattati è nata parallelamente al lavoro di brainstorming, a seguito di un momento sconvolgente soprattutto per la sua coincidenza con la riflessione che avevo avviato. Tornando a casa dopo una serata, verso l’una di notte, ero ferma al semaforo rosso e ho visto, proprio sotto la mia finestra, un bambino assopito tra le braccia di sua madre che mendicava su un marciapiede deserto. La cosa per me più scioccante era che quel piccolo, che avrà avuto due anni, non piangeva, non chiedeva niente e sembrava non desiderare altro che dormire. L’immagine dei suoi occhi che si chiudevano non mi ha più abbandonata, al punto che rientrando in casa ho sentito l’esigenza di farne qualcosa. Quindi mi sono messa a tratteggiare il volto di un bambino che grida in faccia agli adulti, come se volesse rimproverarli di averlo messo al mondo, un mondo che lo priva di ogni diritto. E successivamente ha iniziato a nascere l’idea del film, prendendo l’infanzia come punto di partenza poiché è indubbio che è il periodo che determina il resto della nostra vita.

Cafarnao ripercorre il viaggio iniziatico di un bambino senza documenti…

Zain non ha i documenti, dunque sul piano legale non esiste. Il suo caso è sintomatico di un problema che viene sollevato nel corso del film, quello della legittimità di un essere umano. Nel corso delle mie ricerche, ho riscontrato una grande quantità di situazioni analoghe, ovvero di bambini che vengono al mondo senza i documenti perché i genitori non hanno i mezzi per registrare la loro nascita e finiscono con l’essere invisibili agli occhi della legge e della società. Dal momento che non hanno i documenti, un elevato numero di questi bambini vanno incontro alla morte, spesso per negligenza o malnutrizione o semplicemente perché non hanno accesso a un ospedale. Muoiono senza che nessuno se ne accorga perché di fatto non sono mai esistiti. E tutti dichiarano all’unanimità, e la documentazione che ho raccolto lo dimostra, che non sono felici di essere nati.

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Nel film viene anche sollevata la questione dei migranti. Era importante per lei porla?

Nel film il tema viene trattato attraverso il personaggio di Mayssoun. Era importante per me parlarne attraverso il filtro dei bambini che, per certi aspetti, si fanno delle fantasie su quei viaggi di cui non sanno niente. Bambini che vengono catapultati, loro malgrado, in una vita da adulti, dura e impietosa.

Considera questo film come un documentario?

Cafarnao è un film di finzione costruito a partire da cose che ho visto e vissuto nel corso delle mie ricerche sul campo. Nulla è frutto di fantasia o immaginazione, al contrario, tutto quello che vediamo è il risultato delle mie visite nei quartieri svantaggiati, nei centri di detenzione, nelle carceri minorili, dove mi sono recata da sola, nascosta sotto il mio berretto e gli occhiali scuri. Il film ha richiesto tre anni di ricerche perché avevo bisogno di padroneggiare il mio soggetto, di osservarlo a occhio nudo, non avendolo vissuto di persona. Contestualmente ho capito che stavo affrontando una causa talmente complessa e delicata, che mi tocca tanto quanto mi è lontana, che era essenziale che mi confondessi nella realtà di quegli esseri umani, mi imbevessi delle loro storie, della loro collera e frustrazione per riuscire a restituirla al meglio nel film. Avevo bisogno di cominciare a credere alla mia storia prima di poterla raccontare. Poi le riprese si sono svolte in alcune zone disagiate, tra mura che sono state testimoni di drammi identici, con un intervento sugli ambienti ridotto al minimo e degli attori a cui ho semplicemente chiesto di essere se stessi. Il loro vissuto è stato diretto in modo da servire allo scopo. E questa è anche la ragione per cui le riprese sono durate 6 mesi e ho girato più di 520 ore di materiale.

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Qual è la sua ambizione ideale con Cafarnao?

Il mio sogno più grande sarebbe spingere i responsabili a studiare un progetto di legge che stabilisca le basi per una vera e propria struttura di accoglienza per i bambini maltrattati e trascurati. Restituire una certa sacralità ai bambini che, per numerose persone, altro non sono che il frutto di un bisogno sessuale soddisfatto o quello di una volontà divina.

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