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Colpa, menzogne e amore nel Frantz di François Ozon

Dopo la presentazione in Concorso alla 73. Mostra del Cinema di Venezia, sarà da domani al cinema Frantz, il nuovo film diretto da François Ozon e interpretato da Pierre Niney e Paula Beer, vincitrice del Premio Marcello Mastroianni come Miglior Attrice Emergente.


Il film, liberamente ispirato a Broken Lullaby di Ernst Lubitsch, racconta una grande storia d’amore, ambientata appena dopo la fine della Prima Grande Guerra. Siamo nel 1919, e in una cittadina della Germania, Anna (Paula Beer) si reca tutti i giorni alla tomba del suo fidanzato, caduto al fronte in Francia.

Un giorno giunge Adrien, un ragazzo francese (Pierre Niney), anche lui porta i fiori sulla stessa tomba, quella del suo amico tedesco, compagno nei momenti più tristi, che Pierre cerca di dimenticare. L’incontro scuote le vite dei due giovani, risollevando dubbi e paure, e costringe ciascuno a fare i conti con i propri sentimenti. Due protagonisti a cui la giovinezza è stata brutalmente strappata dalle mani e che ora cercano maldestramente di recuperare un po’ della serenità perduta.

"Frantz"

“Frantz”

Vi presentiamo qui sotto un estratto dell’intervista rilasciata dal regista François Ozon.

Da cosa nasce l’idea di realizzare Frantz?

In un’epoca ossessionata dalla verità e dalla trasparenza, desideravo da tempo fare un film sulla menzogna. Come allievo e ammiratore di Eric Rohmer, ho sempre trovato le bugie molto eccitanti da raccontare e da filmare. Riflettevo proprio su questo quando un amico mi ha parlato di uno spettacolo teatrale di Maurice Rostand, scritto subito dopo la Prima guerra mondiale. Facendo delle ricerche, ho poi scoperto che lo spettacolo era già stato adattato per il cinema da Lubitsch nel 1931 con il titolo Broken Lullaby. La mia prima reazione è stata quella di lasciare perdere. Come potevo competere con Lubitsch?!

Cosa le ha fatto cambiare idea?

Vedere il film di Lubitsch mi ha rassicurato, perché è molto simile allo spettacolo teatrale e adotta lo stesso punto di vista, quello del giovane francese. Il mio desiderio invece era di adottare il punto di vista della ragazza che, così come lo spettatore, non sa perché quel giovane francese si reca sulla tomba del suo fidanzato. A teatro e nel film di Lubitsch conosciamo fin dall’inizio il suo segreto, dopo una lunga confessione col prete. Alla fine, più del senso di colpa, ciò che mi interessava era la menzogna. Il film di Lubitsch è magnifico, da rivedere nel contesto pacifista e idealista del dopo guerra. La guerra 14-18 era stato un tale massacro che tante voci politiche e artistiche, sia in Francia sia in Germania, si erano alzate per difendere l’ideale pacifista: “mai più”.  Il mio punto di vista da francese che non ha conosciuto nessuna delle due guerre invece era per forza diverso.

Anna e Adrien

Anna e Adrien

Ha quindi aggiunto una seconda parte alla storia originale?

Nello spettacolo teatrale e nel film di Lubitsch, la menzogna non viene svelata ai genitori, il francese è ben accetto nella famiglia tedesca, prende il posto del figlio, suona il violino per loro e tutto finisce bene. Nel mio film, Adrien prova ad integrarsi nella famiglia ma ad un certo punto la menzogna e il senso di colpa sono troppo pesanti e racconta tutto ad Anna. Contrariamente al film di Lubitsch, Anna lo può accettare solo dopo un lungo percorso iniziatico. La seconda parte si apre sulla partenza di Adrien e la depressione di Anna. Al contrario dei melodrammi classici, Adrien non si innamora di Anna o comunque non è pronto ad accettarlo.

Anna e Adrien condividono la morte di Frantz, ma devono per questo condividere sentimenti amorosi?

Pensa sia inevitabile all’inizio, poi di fronte alla verità, qualsiasi sentimento nei confronti di Adrien le sembra impossibile. Alla fine ci crede di nuovo, finché non si trova di fronte ad un’altra realtà, in Francia. Ciò che è bello in Anna è il suo accecamento, sa cosa ha fatto Adrien ma la sua reale sofferenza è di non accettare il suo desiderio per lui e quando finalmente lo va a raggiungere in Francia è perché vuole credere nel loro amore, malgrado tutto. Adrien invece non sa dove cercare il suo desiderio. Avevo voglia di giocare sulle tematiche classiche del melodramma, il senso di colpa e il perdono, per poi deviare su una de-sincronizzazione dei sentimenti.

Pierre Niney

Pierre Niney

Adrien, interpretato da Pierre Niney è un personaggio complesso…

Adrien è un ragazzo tormentato e perso. Nei suoi desideri, nel suo senso di colpa, nella sua famiglia. All’inizio si sa molto poco su di lui, è abbastanza misterioso. Più il film va avanti, più è una delusione agli occhi di Anna. Il trauma della guerra l’ha lasciato in una forma di impotenza, manca di coraggio e si autocommisera in una nevrosi che non può superare. La sua ossessione o il suo amore per Frantz sono diventati deleteri e non ha la forza di tirarsene fuori.

Più che un lavoro sul lutto e sul perdono, il film è la scoperta e l’apprendimento dell’amore per Anna…

La sceneggiatura del film è costruita come un Bildungsroman, come un romanzo di formazione. Non ci conduce in un mondo di sogni o di evasione ma segue l’educazione sentimentale di Anna, le sue disillusioni riguardo alla realtà, alla bugia, al desiderio, alla maniera di un racconto iniziatico. Anna era destinata a Frantz, era un amore romantico, di giovinezza, forse di convenienza, sicuramente mai consumato. Ma quello slancio è stato spezzato. E un altro principe azzurro arriva per miracolo, più passionale. Non è ancora la persona giusta, ma grazie a lui inizierà a conoscere i grandi eventi dell’esistenza (la morte, l’amore, l’odio, l’alterità).

Paula Beer

Paula Beer

Alla fine del film, Anna perpetua la menzogna per proteggere i genitori di Frantz ma non mente più a se stessa e accede ad un’altra forma di menzogna come può essere l’arte, contemplando il quadro Il Suicida di Manet…

Era importante per me finire il film con questo dipinto. Anche l’arte è una menzogna, un mezzo per sopportare la sofferenza. Ma è una menzogna più nobile, virtuale, che ci può aiutare a vivere. Il Suicida di Manet è un dipinto incredibilmente moderno. Dopo averlo fatto vedere in bianco e nero, lo volevo mostrare con tutti i suoi colori, in particolar modo il rosso del sangue che macchia la camicia bianca del suicida. Tutto ad un tratto, prende forza e potenza e permette di mettere a fuoco tutto il dramma, di ripensare a Frantz e ad Adrien. Di ricordare tutto quel periodo del dopoguerra con due milioni di morti in Francia e tre milioni in Germania, i cui sopravvissuti sono tornati mutilati, traumatizzati, potenziali suicidi. Per me, quel peso della Storia era molto importante, bisognava che Anna si trovasse di fronte a quel dipinto che la evocava anche se, in realtà, riporta la data del 1881 e evoca un atto passionale. Finalmente le cose sono chiare, proiettate davanti a lei.

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