Taxi02

Da Teheran a Berlino: arriva il Taxi di Jafar Panahi

È da oggi al cinema Taxi Teheran, il film vincitore dell’Orso d’Oro all’ultima Berlinale diretto dal regista iraniano Jafar Panahi perseguitato e interdetto alla professione dal regime del suo paese. Con questo film si è aggiudicato il suo secondo riconoscimento al Festival di Berlino, premio che è stato ritirato in sua vece dalla giovanissima e commossa nipote Hana Saedi.


Taxi è un film-documentario che,  attraverso l’occhio di una telecamera  posta sul cruscotto di un taxi, sfida le barriere giudiziarie e mostra dall’interno la capitale iraniana, Teheran. Alla guida del taxi c’è lo stesso regista Panahi, che esercita questa attività per vivere e nel film interpreta se stesso.

La narrazione consiste nella raccolta delle testimonianze di una serie di passeggeri,  di cui Panahi ascolta storie e punti di vista riguardo una società schiacciata dall’impossibilità di far valere le proprie opinioni, perché vittima di un regime assoluto che ne limita libertà e diritti inalienabili.  I passeggeri e attori della pellicola sono gente comune: un ex avvocato, un insegnate che  discute  con un altro uomo sulla pena di morte, un venditore di  dvd pirata che  lo riconosce e si “spaccia” socio di Woody Allen.

1

Taxi è una pellicola cattura lo spirito della società iraniana e dei suoi tormenti, assumendo toni ora comici e ora drammatici. Si tratta della terza opera in clandestinità di Jafar Panahi, il cineasta più perseguitato e censurato al mondo, condannato nel  suo paese a 6 anni di reclusione e al divieto per 20 anni di viaggiare, produrre film e rilasciare interviste.

Dopo This Is Not a Film e Closed Curtain (il primo presentato a Cannes nel 2011, il secondo vincitore dell’Orso d’Argento nel 2013 per la miglior sceneggiatura), l’idea di questo Taxi è nato da un’esigenza di location, come spiega Jafar Panahi: “se avessi posizionato la mia videocamera in una qualunque strada avrei immediatamente messo in pericolo la troupe e il film sarebbe stato interrotto”. Dopo aver preso un taxi in una giornata storta, Panahi ha avuto un’illuminazione: “forse non mi restava altro che diventare tassista e ascoltare le storie dei passeggeri: visto che i miei primi film erano tutti ambientati nella città, a quel punto avrei potuto cercare di fare entrare la città nel mio taxi”.

2

E così, giorno dopo giorno, il regista faceva delle corse in taxi per ascoltare i racconti dei passeggeri: “alcuni mi riconoscevano, altri no. Parlavano delle loro difficoltà e dei loro problemi quotidiani. E a un certo punto, ho preso il mio cellulare e ho cominciato a filmare. Inizialmente volevo farne un documentario, ma poi, per rispetto dei passeggeri, ho optato per una docu-fiction”.

Con una Black Magic nascosta (una videocamera che si può tenere anche con una mano), che riprendeva tutto in stile documentaristico senza mettere in pericolo la troupe, Jafar Panahi ha fatto tutto da solo: “gestivo completamente da solo l’inquadratura, il suono, la recitazione degli attori e al tempo stesso anche la mia interpretazione e la guida del veicolo”.

3

Riprese durate quindici giorni, con attori non professionisti, conoscenti e conoscenti di conoscenti. Budget di 100 milioni di toman (circa 32.000 euro). L’intera troupe ha accettato un salario ridotto e molti dei miei attori hanno rifiutato di essere pagati. Anche così si può creare un gioiello da Orso d’Oro.

Leave a Comment