Nome di Donna 0

Il coraggio di ribellarsi nel Nome di Donna di Marco Tullio Giordana

Giovedì 8 marzo, una data non casuale, al cinema uscirà Nome di Donna, il nuovo film diretto da Marco Tullio Giordana nato dal soggetto di Cristiana Mainardi che ha voluto affrontare con forza il tema delle molestie sul lavoro. Protagonista un grande cast: Cristiana Capotondi, Valerio Binasco, Stefano Scandaletti, Michela Cescon, Bebo Storti, Laura Marinoni, Anita Kravos, Stefania Monaco, Renato Sarti, Patrizia Punzo, Patrizia Piccinini, Vanessa Scalera, Linda Carini e Adriana Asti.


La storia 

Nina (Cristiana Capotondi) si trasferisce da Milano in un piccolo paese della Lombardia, dove trova lavoro in una residenza per anziani facoltosi. Un mondo elegante, quasi fiabesco. Che cela però un segreto scomodo e torbido. Quando Nina lo scoprirà, sarà costretta a misurarsi con le sue colleghe, italiane e straniere, per affrontare il dirigente della struttura, Marco Maria Torri (Valerio Binasco) in un’appassionata battaglia per far valere i suoi diritti e la sua dignità.

Affrontiamo le tematiche del film attraverso le note di regia di Marco Tullio Giordana.

Non è un film di denuncia

Questo film parla delle molestie sul luogo di lavoro, tema balzato di recente agli onori della cronaca ma nascosto per anni sotto il tappeto. Non è un film di “denuncia”, l’ultima cosa al mondo che m’importa è fare il moralista. Il film indaga più che sul “fatto”, sul sasso lanciato nello stagno, sulle conseguenze che ne derivano, sui cerchi che si allargano fino a lambire sponde anche molto lontane. Una di queste è l’ostilità che immediatamente avvolge la vittima, l’insinuazione che “se la sia cercata”, la solitudine in cui si trova chi non intende sottostare. Un film che racconta l’omertà, la compiacenza, il disonore generale e il coraggio invece di una giovane donna che sfida tutto questo e si ribella dimostrandosi più forte del luogo comune”.

Cristiana Capotondi (Foto di Angelo Turetta)

Cristiana Capotondi (Foto di Angelo Turetta)

Un tema attuale

In questo momento il tema delle molestie è all’ordine del giorno. Dovrebbe esserlo sempre, perché questo malvezzo è duro a morire. Il predatore gode – evidentemente non solo in Italia – di una sorta d’impunità “culturale”: le sue avances sembrano goliardia o goffaggine, non passa per la testa che siano invece aggressioni. Comportamenti tanto più detestabili quando consumati sui luoghi di lavoro, approfittando della gerarchia per mettersi in franchigia. Mi ha sempre impressionato la solitudine che colpisce chi osa ribellarsi, la mancanza di solidarietà (anche di donne verso altre donne), il fastidio che provoca negli altri dover prendere posizione. Quando si accusano le parti lese di non essersi rivoltate, di non aver denunciato per tempo, addirittura di aver “provocato” la situazione, ci si rende conto che il senso comune, la morale corrente, sostiene il seduttore, fa il tifo per lui”.

Un reato contro la persona

E sì che il Legislatore italiano è stato tra i primi a riconoscere la violenza come reato contro la persona e non contro la morale, com’è stato per secoli. C’è una bella differenza fra violenza e molestia, e non bisogna dimenticarlo. Ma sempre di ingiuria contro la persona si tratta, non semplice disinvoltura o prepotenza. È infatti qualcosa che non riguarda la “guerra” fra i sessi, o non soltanto. È qualcosa invece che tocca la disuguaglianza, il potere che qualcuno esercita su qualcun altro. In questo senso ha molto più a che fare con la lotta di classe (e pazienza se la parola sembra antiquata!) che con la prevaricazione sessuale. Già immagino le obiezioni: e allora? Non si può più fare la corte? Ci vuole la liberatoria prima di azzardare una carezza? Inutile nascondersi dietro un dito: ognuno, uomo o donna che sia, sa benissimo cosa sta succedendo, sa qual è il limite, la linea d’ombra. Chi la oltrepassa sa benissimo di violare un confine”.

Valerio Binasco (foto di Angelo Turetta)

Valerio Binasco (foto di Angelo Turetta)

Un film su due piani

Il film è come fosse costantemente in bilico fra due piani: quello dei fatti che succedono – e che la macchina da presa registra distante, con inquadrature fisse o appena mosse, in una sorta di sguardo “oggettivo” – e quello dell’emotività dei personaggi, tutti in costante evoluzione: ognuno deve prendere atto di una crisi, di una totale instabile precarietà. Questo riguarda non solo le colleghe di Nina, pronte a isolarla nel timore di veder franare tutto l’ecosistema cui si sono drammaticamente adeguate, ma anche i personaggi maschili, anche gli antagonisti, dapprima sfrontati poi sempre più fragili, sempre meno convinti e invulnerabili. Anche Nina subisce continui andirivieni fra momenti in cui è convinta e momenti in cui dubita di sé, ha paura di non farcela. Non è un’eroina né una fanatica, né tantomeno l’attivista di una buona causa, ma solo una persona che vede minacciate le sue sicurezze e soprattutto la sua integrità”.


EXTRA – Cristiana Mainardi racconta Nome di Donna

Nome di Donna è nato tre anni fa dal desiderio di guardare alla condizione femminile nel mondo del lavoro, escludendo le discriminazioni più macroscopiche – come la disparità salariale – per studiare invece quelle più sottili – e dunque subdole – assunte come una sorta di (sotto)cultura diffusa. Volevo racconta la storia di una quotidianità femminile straordinariamente complessa, figlia di questo tempo in cui la fragilità economica e la precarietà del lavoro hanno inevitabilmente alzato il livello del bisogno e abbassato quello delle pretese. O meglio: dei diritti”.

(Foto di Angelo Turetta)

(Foto di Angelo Turetta)

Un’indagine Istat svolta nel 2008/2009 ha accertato che in Italia circa la metà delle donne, in un arco di vita compreso fra i 14 e i 65 anni, ha subito ricatti sessuali sul lavoro o molestie in senso lato. In numeri: 10 milioni e 485mila donne. Un numero migliorato nel nuovo rapporto 2015/2016 (8 milioni e 816mila donne), che invece conferma che quasi un milione e mezzo di donne ha subito molestie fisiche o ricatti sessuali sul luogo di lavoro”.

Al di là della freddezza delle statistiche, è stato come vedere e sentire un esercito immenso – e tuttavia anonimo e silenzioso – sostenere un giorno dopo l’altro, un anno dopo l’altro, di decennio in decennio, una battaglia che non avrebbe dovuto essere combattuta mai e che non si dovrebbe combattere ancora adesso: solo perché si è donne. In nome del diritto al lavoro e in difesa della propria dignità. Il rapporto Istat evidenzia che, nonostante la legge abbia più di vent’anni, le molestie sessuali sui luoghi di lavoro restano un fenomeno di proporzioni enormi, a fronte del quale solo una sparuta minoranza sceglie di reagire. I fatti degli ultimi mesi hanno dimostrato quanto sia difficile – difficilissimo – uscire dal silenzio ed esporsi al giudizio del senso comune e quanto sia difficile affidarsi a una società che culturalmente deve ancora fissare i suoi punti di riferimento”.

(Foto di Angelo Turetta)

(Foto di Angelo Turetta)

Con Nome di Donna, ho cercato di dare vita a un personaggio che potesse uscire da quell’esercito relegato nel limbo del silenzio e di raccontare una storia che restituisse almeno in parte la complessità e il dolore rappresentato dalla molestia anche quando si agisce la volontà di affrontarla anziché subirla. La volontà di non sottostare all’abuso di potere. Di non accettare il ruolo di vittima predestinata. Di ribellarsi. Mi auguro che questa storia, pur non tacendo del prezzo alto che comporta ogni ammutinamento alle cattive regole, possa alimentare la speranza che le cose non restino così per sempre”.

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