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Ladri di Biciclette, il capolavoro di Vittorio De Sica torna al cinema restaurato

Scritto dal grande Cesare Zavattini, che lo ha adattato dal romanzo omonimo di Luigi Bartolini, dal 4 febbraio la Cineteca di Bologna, nell’ambito del progetto L’Immagine Ritrovata, riporta in sala Ladri di Biciclette, uno dei capolavori diretti da Vittorio De Sica che, per festeggiare i 50 anni dell’uscita (1948) è stato restaurato dalla Cineteca di Bologna insieme a Compass Film e Istituto Luce Cinecittà in collaborazione con Arthur Cohn, Euro Immobilfin e Artédis. Un film indimenticabile che vinse l’Oscar per il Miglior Film Straniero (1950).

“Perché pescare avventure straordinarie quando ciò che passa sotto i nostri occhi e che succede ai più sprovveduti di noi è così pieno di una reale angoscia?”

-Vittorio De Sica-

Da divo brillante della commedia anni Trenta, Vittorio De Sica si trasforma in maestro del cinema, tra i massimi protagonisti del neorealismo italiano. Ladri di Biciclette è uno dei capolavori realizzati in coppia con Zavattini. Il quadro di miseria dell’Italia del dopoguerra è condensato magistralmente nella storia di un attacchino cui viene rubata la bicicletta, unico mezzo di sostentamento per sé e la famiglia. André Bazin lo definì “il centro ideale attorno al quale orbitano le opere degli altri grandi registi del neorealismo“.

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Ladri di Biciclette, secondo le parole di Gianni Volpi (I Mille Film, ed. Baldini&Castoldi) è “uno dei risultati più alti della coppia De Sica/Zavattini, forse quello più nitido e poetico, quello in cui più la polemica sociale si fa vera pietas. Il loro operaio disoccupato cui rubano la bicicletta grazie alla quale ha trovato un lavoro da attacchino, è un personaggio che vive di vita propria: esprime un fondo reale e disperato che viene prima di ogni denuncia. Furti tra poveri. L’affannosa ricerca della bicicletta, nella sua durata apparente, ha il tempo non della cronaca, ma della vita“.

Siamo partecipi delle peregrinazioni di Antonio Ricci (Lamberto Maggiorani) per le strade di Roma, tra mercati delle pulci, case di borgata, cattoliche mense dei poveri, teatrini di cantina, uffici di collocamento, trattorie. Una traversata della città e di una condizione che trova il proprio culmine nel tentativo di furto, da parte di Ricci, di una delle tante biciclette parcheggiate nei pressi dello stadio. Subito preso, è malmenato sotto gli occhi del figlioletto Bruno (Enzo Staiola) e lasciato andare per pena. Un gesto che è il segno della singolare ambiguità dei fatti e del film“.

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C’è però una sequenza che resta nel cuore, una sequenza che ristabilisce lo stretto legame fra padre e figlio e che ribadisce quanto la perdita della bicicletta sia grave per tutta la famiglia. Antonio, irritato e frustrato per non aver ritrovato il suo mezzo, schiaffieggia Bruno. Si allontana per continuare a cercare da solo, lungo il fiume. Al suo ritorno, vede alcune persone che soccorrono un bambino caduto in acqua. Sollevato dal fatto che non si tratta di Bruno, Antonio decide di fare pace con il figlio e lo porta a mangiare con lui in una trattoria vicina.

Come spiega Gino Moliterno, la scena del ristorante – l’unica leggera dell’intera pellicola – “non costituisce solo un altro episodio nell’inutile ricerca che consuma la giornata, ma gioca invece un ruolo determinante nell’economia complessiva del film”. Il momento in cui il padre finalmente decide di dedicare più attenzione ai bisogni di suo figlio che alla bici rubata serve a ristabilire il legame tra i due, che è andato deteriorandosi nel corso delle ore. Chiedendo a Bruno di dividere con lui un bicchiere di vino, Antonio non sta solo curandosi delle necessità del ragazzo, ma lo sta anche trattando da adulto, un gesto che sarà ampiamente ripagato quando, nel finale, sarà Bruno a dare la mano al padre travolto dalla vergogna. 

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Allo stesso tempo, la giustapposizione fra il modesto conto che a stento possono permettersi e il banchetto divorato da una famiglia ricca al tavolo accanto, ulteriormente sottolineata dai due calcoli che Antonio chiede a Bruno di fare sulla carta, ribadisce quanto la bicicletta sia importante per la sopravvivenza della famiglia, e contribuisce a far capire a Bruno il senso disperato e umiliante del gesto del padre quando, alla fine del film, tenterà a sua volta di rubare una bicicletta.

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