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Licia Lanera porta in scena Orgia di Pier Paolo Pasolini

Dal 12 al 15 gennaio al Teatro India di Roma torna la carica poetica di Pier Paolo Pasolini con Orgia restituita sul palcoscenico dal gruppo pugliese Fibre Parallele, nell’originale versione curata da Licia Lanera, il cui primo studio vide la luce proprio all’India, lo scorso anno, nell’ambito della rassegna Garofano Verde di Rodolfo di Giammarco.

©2016LuigiLaselva

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Vittima refrattaria al “potere” a cui per questo è negato l’uso della parola, la protagonista di Orgia è chiusa in un mondo a sé, claustrofobico e lontano dal resto delle cose, a farsi scontrare addosso le violenze e le pulsioni libere dai lacci sociali. Una poltrona nera e due microfoni delimitano la scena. Tre differenti pannelli, raffiguranti pitture del seicento, scendono a chiudere tre simboliche stanze della memoria.

Ci sono due mondi – spiega Licia Lanera uno fatto di paesaggi sconfinati, consolazioni, inconsapevolezza e armonia, antenati: ‘Il mondo era così da almeno dodicimila anni’. E un altro, quello della camera dei due sposi, fatto di violenza e paura, di piacere e rimorsi. L’uomo e la donna riescono veramente a comunicare tra loro solo attraverso il linguaggio del corpo, il più violento. Ne ho fatto un unico ragionamento chirurgico e straziante su come è costretto ad affrontare la propria esistenza chi non riesce in nessun modo ad essere dalla parte del potere”. Fuori dai recinti delle sottomissioni, c’è una figura in sottana e cappuccio che, sola, si disfa il corpo con sadomasochismi che sono “rito della violenza, voluto e desiderato, con cui cercare di sfuggire ai meccanismi della storia”.

©2016LuigiLaselva

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Così, va in scena un combattimento tra le diverse anime di chi non trova il proprio posto dentro la società, “ragiona e scalcia, piange, ferisce, si nasconde, si offre e alla fine muore. Muore due volte, muore un’infinità di volte. Si ammazza. Poiché solo nella morte si concretizza la volontà di essere liberi. La mia Orgia – continua Licia Laneraè la tragedia di chi non sa stare al mondo. Negando la sua definizione (non più tre, ma due: uno che è sia Uomo che Donna, più una ragazza), io sono un’unica voce e un unico corpo che racconta l’impossibilità di un essere umano a sottostare a certe leggi sociali, a subire l’inganno della lingua, a imprigionare il corpo in azioni ripetitive, sempre le stesse nel corso della storia. Ho scelto il microfono per risuonare meglio, un cappuccio per trincerarmi, una sottana per ritrovare la mia femminilità, delle Cult ai piedi per cedere alla tentazione della griffe, la musica di Gurdjief per lo strazio e il rap di Eminem per la rivolta”.

La tragedia in sei episodi, pervasa dal sadomasochismo, si trasfigura come un rito che rivela la vera natura delle relazioni sociali, uno strumento per scoprire come la violenza dei rapporti di potere sorregge ogni realtà della società. Un testo che nonostante sia stato scritto nel 1966 conserva una forte attualità trasmettendo una sua universalità nel ragionamento sull’uomo, nel suo strazio più profondo nel non riconoscersi parte di qualcosa.

©2016LuigiLaselva

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 Così, Licia Lanera e Nina Martorana portano in scena un’atmosfera di violenza e paura, di piacere e rimorsi, in cui la camera della coppia diviene lo stesso teatro: con le macchine sceniche, le convenzioni, le luci. E questo luogo tira in ballo lo spettatore, lo interroga e lo rende testimone di un fatto di morte.

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