Alle 20 di mercoledì 7 luglio al Cinema Ariston di Trieste – in Concorso nella sezione Nuove Impronte del ShorTS International Film Festival – sarà presentato Lumina, il suggestivo film diretto da Samuele Sestieri sospeso tra “documentario” di fantascienza e romanzo di formazione. La pellicola, presentata in anteprima mondiale al Festival del Cinema di Rotterdam e alla 57esima Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro, è una fiaba moderna sull’amore e sulle immagini, girata tra alcuni piccoli borghi dimenticati della Basilicata e luoghi nascosti del Lazio.
Il film
Una donna misteriosa (Carlotta Velda Mei) si risveglia su una spiaggia deserta, inquinata dai rifiuti della civiltà. La vediamo vagare tra ruderi e macerie, in uno scenario post-apocalittico (e post digitale). Esplora un borgo abbandonato, forse sopravvissuto ad un terremoto, non lo sappiamo. Ha un dono: quello di entrare in contatto con i ricordi. Percepisce la memoria degli oggetti, li ascolta: come una fonte di energia è in grado di riattivare dispositivi tecnologici spenti da tempo. Così le foto di vecchi album le parlano, i vinili tornano a girare e suonare. In una città fantasma la donna trova uno smartphone. Apparteneva a Leonardo (Matteo Cecchi) e, esplorando il suo archivio digitale, apprende il linguaggio delle immagini e dei suoni. Attraverso le foto e soprattutto i video della relazione fra il ragazzo e la sua fidanzata (Laura Sinceri), conosce l’amore. Si dispera, si emoziona, esplora il piacere, si perde nei sentimenti. Circondata dall’assenza, dalla perdita, dal vuoto, quell’emozione la fa sentire viva. Pronta (forse) per una nuova avventura nel mondo.
Trovare un senso al tutto
Guardando Lumina, lo spettatore esplora ciò che resta della società attraverso la protagonista e il suo potere di sentire ciò che non c’è più. Ci sono solo rovine, solo macerie. Solo tracce di un’umanità che ha vissuto – pienamente o meno – la propria vita. Sulla Terra, il Pianeta che ci ha ospitato e che noi abbiamo (e lo stiamo facendo sempre di più) tradito, con la nostra superbia e con il nostro crescente senso di onnipotenza. Nella Storia dell’Universo, noi siamo solo piccoli granelli, anime di passaggio che hanno cercato di dare un senso al tutto. Di dare un senso alla propria esistenza. Spesso salvati – come una Luce/Lumina (come una fede) – dall’amore. Da quel legame che ci dà la forza di combattere ogni giorno, sempre più scoraggiati dinnanzi ad un futuro incerto, minaccioso, poco promettente. Non è un caso il ritorno nostalgico-malinconico verso i luoghi abbandonati, verso un passato che non c’è più ma che ci ha formati, ci ha educati, ci ha emozionati, ci ha fatto diventare quelli che siamo. I ricordi, soprattutto quelli belli, sono sempre vivi dentro di noi. E sì, ci parlano ancora. Fortemente.
Intervista a Samuele Sestieri
Lumina è l’opera seconda di Samuele Sestieri (già autore con Olmo Amato di I Racconti Dell’Orso), un regista che è rimasto folgorato (come me) da un capolavoro assoluto come The Tree Of Life di Terrence Malick (2011), dove le immagini e i viaggi spazio-temporali verso l’inizio del Tutto rappresentano per lo spettatore un’esperienza sensoriale-mentale davvero sconvolgente e indimenticabile. Guardare la storia d’amore dei due fidanzati attraverso il piccolo schermo di uno smartphone – dall’intimità di una casa agli sconfinati paesaggi naturali all’esterno – sempre rappresentare anche qui i viaggi dal micro al macro sistema: la nostra piccola (grande) quotidianità, dinnanzi al Tutto. I piccoli gesti, i piccoli miracoli di ogni giorno, all’interno di una Storia lunga miliardi di anni. Cosa resta di noi? Solo tracce, solo polvere, ma la grande consapevolezza di aver amato qualcuno, di averlo dato un senso alla vita.
Per parlare del film ho avuto il grande piacere di intervistare il regista, Samuele Sestieri.
Samuele, partirei dal titolo: perchè Lumina? Cosa rappresenta la luce in questo film? La luce è l’amore?
Ho sempre avuto l’immagine di questa lucina che, nonostante tutti gli ostacoli e le traversie che deve affrontare, non finisce mai di brillare. Il film, fin dal titolo, vuole fare luce sulle rovine, sulle storie, sulle macerie che la protagonista trova fuori e dentro di sé. Già il fatto che questa lucina esista, d’altronde, è un atto d’amore.
Oltre alla continua scoperta della protagonista, colpisce molto la storia d’amore tra Leonardo e la sua fidanzata che vediamo attraverso foto e video dello smartphone. Come hai costruito questa storia d’amore così intensa (e commovente)?
Inizialmente con Pietro Masciullo, con cui ho scritto il film, abbiamo immaginato questa relazione per lampi e per frammenti. Poi, una volta scelti gli attori, li abbiamo lasciati liberi di conoscersi, di filmarsi da soli, di poter costruire spontaneamente la loro relazione. Laura e Matteo hanno girato col cellulare ore e ore di materiale che poi a montaggio hanno preso nuova forma.
A far da sfondo alla pellicola è un mondo devastato, vuoto, in stato di degrado. L’uomo (come si vede sin dalle prime inquadrature del mare inquinato dai rifiuti) ha devastato tutto (e qui forse sembra essere addirittura estinto). Le rovine che hai inquadrato sembrano essere rovine della società, rovine dell’anima. Sei d’accordo? Cosa esprimono per te i luoghi abbandonati?
Per me le rovine non sono altro che paesaggi interiori, correlativi oggettivi di ciò che prova la protagonista. La rovina, più che il set di un film postapocalittico, per me è un sentimento, uno stato d’animo.
Nel film hai usato molto la tecnica – al noi molto cara! – del cameralook. Ce ne sono tanti, tutti molto incisivi, compreso quello del finale. Cosa ti offrono gli sguardi in macchina? Quanto è importante per te questo scambio tra lo sguardo dell’attore e gli occhi dello spettatore?
Fondamentale. D’altronde questo è un film sugli occhi che guardano. Lo sguardo è tutto: Carlotta del resto interpreta una spettatrice che sogna di diventare una prima attrice. Il fatto che lei ci guardi genera un cortocircuito percettivo che poi è la base del film. La domanda, in fondo, è sempre una: chi è che sta guardando?
Intervista di Giacomo Aricò