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Pupi Avati, tanti auguri Maestro d’emozioni

È stato più di sei anni fa, esattamente nel giugno del 2012, che ho vissuto uno dei momenti più emozionanti della mia vita. Ero un giornalista alle prime armi e, da pavese, ero in fibrillazione perché la mia Università avrebbe accolto e premiato con il Premio Internazionale Gerolamo Cardano (riservato a quella persona che abbia espresso con i suoi studi e le sue attività, alti contributi al progresso delle Scienze Umane e Sperimentali, delle Arti Libere ed Applicate) uno dei Maestri del nostro cinema: Pupi Avati. Oggi, giorno del suo 80° compleanno, voglio ricordare quel momento.

Pupi Avati all'Università di Pavia per ritirare il Premio Cardano, giugno 2012

Pupi Avati all’Università di Pavia per ritirare il Premio Cardano, giugno 2012

Lo raggiunsi in albergo un’ora prima dell’evento che si sarebbe tenuto nella magnifica Aula Foscolo del mio Ateneo (anzi, ex ateneo, mi laureai nel 2009 e mi specializzai nel 2011). Avevo già visto tutti quasi tutti i suoi film e per me quella non poteva rappresentare una semplice intervista. In quel periodo lavoravo per una testata legata al mondo della comunicazione e lui, Pupi, per me, rappresentava, e rappresenta tutt’ora (in attesa del suo prossimo Il Signor Diavolo, tratto dal suo omonimo romanzo), un inarrivabile comunicatore d’emozioni. Mi salutò dandomi un buffetto, e mi fece sedere accanto a lui su un divano della hall. Non iniziò un’intervista, ma una vera chiacchierata, familiare. Un ragazzo (ai tempi non avevo ancora 26 anni) che parla e ascolta non solo un artista (non solo regista e scrittore, ma anche musicista), ma anche un grande uomo, un punto di riferimento (almeno, per me).

Verso la fine del nostro incontro, ci fu poi un momento che non dimenticherò mai e che ricorderò tra poco, qui sotto, in fondo all’articolo. Quando spensi il registratore, lui mi chiese: “vieni anche tu all’Università per la premiazione?”. “Certo” risposi già pieno d’orgoglio per averlo intervistato. “Allora vieni con me, ci andiamo insieme”. Non mi sembrava vero. Salii sul taxi arrivato apposta per lui e parlammo anche durante il tragitto. Ma le emozioni non erano ancora finite. Una volta giunti all’ingresso dell’Università, mi chiese di accompagnarlo fino all’Aula Foscolo: mi prese sottobraccio. Un percorso che ho ancora impresso negli occhi e nel cuore. Durante il nostro cammino (l’Aula era al primo piano, serviva qualche minuto per arrivarci), in tanti lo hanno salutato, facendogli i complimenti. Quando arrivammo al suggestivo luogo dell’evento, in leggero ritardo, mi strinse ancora una volta la mano e mi salutò. Tutti quanti lo aspettavano in piedi, pronti ad applaudirlo.

Pupi Avati 1

Oltre quarant’anni al servizio del cinema, Pupi Avati per me è un vero e proprio maestro della settima arte, ruvido e sentimentale allo stesso tempo, saggio e illuminato, divertente come pochi altri. Si continua a vedere nei suoi occhi quella “sconfinata giovinezza”, sempre intatta, sempre presente. Del resto, come disse lui stesso quel giorno, Avati ha scelto di fare cinema per baciare finalmente la ragazza più bella di Bologna, quella Rita Donzelli che, inafferrabile e spietata, agitava le notti e le giornate del giovane Pupi. Se nella realtà quel bacio mancò, con e grazie al cinema è riuscito in seguito “a realizzare il suo desiderio”.

Tra disastrosi ricordi studenteschi (nemmeno un esame sostenuto quando si iscrisse a Scienze Politiche all’Università di Firenze), e altrettanto difficili approcci con il sempre misterioso universo femminile, quel giorno Pupi Avati affermò che “realizzo film soprattutto per se stesso, per riassaporare pensieri e sensazioni di un tempo, passate ma sempre vive”. Tutti i lati del suo carattere sono serviti alla sua carriera, quasi cinquanta film in quasi cinquant’anni di cinema, (un film all’anno come Woody Allen). Un genio creativo che nasce dalla paura, anzi dal terrore che i ragazzini di Bologna avevano negli anni del secondo dopoguerra, vittime di storie terrificanti e destabilizzanti con le quali combattere la notte.

Pupi Avati 3

Un estro narrativo che nasce dalla timidezza, dal complesso d’inferiorità verso tutti e tutto, cosa che lo ha trasformato in un grande osservatore. C’è tutto Pupi Avati nei suoi film. C’è l’eterna giovinezza di tutti noi, che ci sediamo ancora davanti ad un Professore per un esame difficile, che aspettiamo di ballare con l’amore della nostra vita. Per tutto questo, grazie Pupi, e tanti, tantissimi auguri di buon compleanno.

Giacomo Aricò


Io e te siamo uguali…

Come dicevo, ci fu un momento, indimenticabile, che concluse l’intervista. Pupi Avati (che mi stava raccontando del suo film per la tv Un Matrimonio che sarebbe poi stato trasmesso sulla Rai a fine anno) mi guardò negli occhi e mi disse:

“La società è tanto mutata nell’esterno, nell’aspetto estetico. Ma è mutata molto poco in quello intimo. Perché tu ed io – la differenza tra me e te è probabilmente di cinquant’anni – soffriamo per le stesse cose e gioiamo per le stesse cose. Se tu piangi, piangi per le stesse ragioni per le quali piango io. Ci assomigliamo molto di più di quanto ci facciano credere. Gli esseri umani sono molto simili, non bisogna avere paura degli altri”.

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