NEBRASKA

SPECIALE OSCAR – Nebraska, la frontiera del sogno

L’America perduta, che vive ai confini del sogno a stelle e strisce, spaccata in due da una strada  interstatale che la collega, suo malgrado, al resto della Nazione; è l’America del regista Alexander Payne che riemerge (in bianco e nero) da un passato di dolorosa solitudine in Nebraska.

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Lo stato da dove inizia il West (come recitava uno slogan turistico) è la meta di Woody Grant, padre alcolizzato che dal Montana decide di arrivare, inizialmente a piedi, a Lincoln (capitale del Nebraska) convinto di aver vinto un milione di dollari. Sarà il figlio minore ad accompagnarlo, pur sapendo che non c’è nemmeno un centesimo ad attenderli, dando inizio ad un road movie che si avventura, più che tra i campi sconfinati della frontiera americana, tra le pieghe e le piaghe dell’anima, tra i ritagli del tempo mancato, tra occasioni perse per un pelo come coincidenze ferroviarie.

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La domanda che ricorre nella pellicola, non sulla bocca, ma nella mente dei protagonisti è semplice: qual è la ricompensa? Se lo chiede anche Woody, reduce della guerra di Corea, simbolo di una America stanca, disillusa e silenziosa che sa cosa significhi vivere ai margini. I suoi parenti (serpenti) e i suoi (quasi) amici lo guardano con sospetto quando capita barcollando a Hawthorne, sua cittadina natale (di strada per Lincoln) spersa nel nulla, come un gomitolo di lana caduto dal tavolo.

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Lo pregano; lo istigano; lo strattonano: vogliono, vogliono e ancora vogliono i soldi, almeno una fetta dell’agognato e illusorio malloppo. Ma lui non cede, perché il milione non è per quelli là, e non lo vuole nemmeno per sé. Vorrebbe lasciarlo ai suoi due figli: la ricompensa è che loro abbiano qualcosa per tirare a campare. E’ così che soccombe il dio denaro e il sogno americano diventa intimistico; è soltanto il sogno di un padre (come tanti) che vuole un futuro migliore per i suoi figli.

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L’America di Nebraska, trova nella vecchiaia di Bruce Dern (che ritorna a vestire i panni di un veterano) il proprio volto più segnato dalla memoria collettiva e personale. E’ una visione quasi storicizzata quella di Payne che sembra dar voce alla “maggioranza silenziosa” (di stampo conservatrice, impersonata dai cittadini di Hawthorne) di cui parlava Nixon durante la campagna elettorale del ‘68, per poi delegittimarla, renderla inerme, ridicolizzarla di fronte ai sentimenti di un padre e di suo figlio che prevalgono su qualsiasi logica da contabile.

Tommaso Montagna

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