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The Trouble With Nature: la Ragione che genera mostri

«Questo è il problema con la natura… è così insistente». È il filosofo irlandese Edmund Burke a pronunciare le parole che prestano al primo film diretto da Illum Jacobi il titolo The Trouble With Nature, presentato in anteprima in Italia mercoledì 8 luglio alle ore 20 su MYmovies.it all’interno della sezione Nuove Impronte del ShorTS International Film Festival.

Nel 1757 Burke aveva pubblicato il celebre trattato Indagine Sull’Origine Delle Nostre Idee di Sublime e di Bello, secondo il quale la Natura, nei suoi fenomeni più intensi e pericolosi, sarebbe fonte di quel «delizioso terrore» che costituirebbe la più forte delle emozioni umane. Questo Sublime si opporrebbe al senso del Bello, dato da tutto ciò che è piacevole e ci infonde una sensazione di armonia. Fu una ricerca di enorme peso nella cultura illuminista, compresa quella artistica. Ma nel film di Jacobi sono ormai passati 12 anni da quella gloriosa pubblicazione e il nostro filosofo viaggia in bolletta sulle Alpi francesi in cerca di ispirazione: vuole sperimentare in prima persona il Sublime per ripubblicare il suo capolavoro aggiornato e approfondito.

Il suo viaggio avrà conseguenze decisamente inaspettate, anche per noi e per la nostra idea di genio, perché Edmund Burke si rivela sempre più ridicolo di scena in scena. Si trascina sulle montagne vestito di tutto punto, pretende di essere imparruccato e incipriato ogni mattina come se andasse a un ricevimento di corte, quando invece la parrucca gli si impiglia fra i rami e la cipria gli segna le rughe. Tutto gli viene a noia. «È inutile», ripete. È infastidito e anche disgustato da ogni manifestazione naturale: le mosche, le formiche, perfino gli stessi alberi. Ma perché? Perché non gli interessa scoprire davvero la Natura. L’unico desiderio di Burke è avere conferma delle proprie idee, concepite mentre era comodamente seduto al proprio scrittoio. Ed è qui che inizia ad avere un ruolo sempre più centrale la serva nativa americana Awak, che sopporta i voluminosi bagagli e le tirate filosofiche di Burke senza la minima lamentela. Il confronto con lei è impietoso per il suo “padrone”: dove lui vede il proprio corpo solo come strumento di urgenza fisica, lei lo usa per vivere la realtà, per godersi tutto ciò che la circonda. Ha i piedi ben piantati a terra, ma lo sguardo puntato verso il cielo.

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Edmund Burke non è solo il filosofo e pensatore conservatore, ma soprattutto l’incarnazione degenere della Ragione illuminista, gelida, rigida, tronca, impotente di fronte alla morte. Gli si contrappone Awak, che è la spiritualità che nasce dall’esperienza sensoriale, la sensualità senza colpe, la saggezza naturale. Jacobi è bravissimo nell’aggiungere minuto dopo minuto dialoghi sempre più incisivi fra i due, magnificamente interpretati da Anthony Chester Langdon e Nathalia Acevedo. Burke continua a perdere terreno scontrandosi con la serena ragionevolezza di Awak, fino addirittura a smarrire la capacità di replica: lui, il filosofo, della cui sola presenza le Alpi dovrebbero sentirsi fiere. Non comprende la grande lezione democratica della Natura: il vento che tocca lui, tocca allo stesso modo Awak, gli animali, i fiori, l’erba.

Jacobi sa che il Sublime non era ancora al massimo grado d’espressione all’epoca di Burke, che fu il primo a svilupparne un’idea strutturata. Lo sarebbe stato alcuni anni dopo, all’inizio dell’Ottocento, con la musica (seppur ancora classicista) di Ludwig van Beethoven e i dipinti di Caspar David Friedrich. E proprio con lo splendido Allegretto della Sinfonia n. 7 (1811-12) di Beethoven si apre e si chiude il film. È come se il regista volesse annunciare fin da subito come finirà la storia: certamente non bene per l’essere umano che desidera fare della Natura qualcosa a metà fra una musa da sfruttare e un mostro da combattere.  Allo stesso tempo, sceglie di “incorniciare” la storia anche dal punto di vista artistico. I due personaggi che all’inizio del film scoprono la casa di Burke vuota e in rovina sono nientemeno che Samuel Johnson, intellettuale estremamente poliedrico e influente, e Joshua Reynolds, uno dei più importanti pittori del Settecento inglese. Queste due figure rappresentano l’humus culturale su cui Burke aveva potuto coltivare le proprie idee, che trovano il giusto traguardo visivo nel finale. Vi troviamo infatti la prima citazione pittorica davvero esplicita (e assai meno poetica dell’originale), in cui Jacobi condensa la propria tesi. Burke va a personificare il Viandante Sul Mare Di Nebbia (1818) di Friedrich proprio nel momento in cui dichiara guerra alla Natura, che a suo avviso gli ha portato via qualcosa di cui aveva finalmente compreso il valore. Non pensa che è stato proprio lui, la Ragione, a voler forzare il proprio percorso fino all’estremo limite. «Ora la pagherai», dice Burke rivolto al paesaggio. Ed ecco che ai rumori scricchiolanti di vita delle montagne si sostituiscono quelli artificiali di un treno e di un elicottero. Sì, la Natura l’ha pagata attraverso le nostre azioni e la nostra “evoluzione”.

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Burke nel film “The Trouble With Nature” come “Il Viandante Sul Mare Di Nebbia” di Friedrich

Alla fine di tutto, verrebbe anche voglia di vederli insieme come coppia, questi due: Edmund e Awak, la Ragione e la Spiritualità dei sensi. Un po’ come dovrebbe sempre essere nella nostra vita di ogni giorno. E forse è proprio questo il messaggio finale del regista, e il motivo per cui non a caso il Settecento sta tornando così tante volte al cinema e in TV (pensiamo a film come La Favorita, Ritratto Della Giovane In Fiamme, o alla recentissima serie The Great). Ci troviamo in un momento storico delicatissimo, in cui tutto il tumulto che covava da anni sotto la cenere sta trovando voce e manifestazione. Quello stesso tumulto che nel XVIII secolo trova la propria origine culturale e che alcuni artisti scelgono come filtro per parlarci della nostra epoca. Perché sicuramente, se “il sonno della Ragione genera mostri”, la prigionia dei Sensi ne genera altri. Una sola cosa saggia dice Burke: «Senza luce non potrebbe esserci il suo opposto, l’oscurità». Ma ancora più saggia è Awak, che vede nell’oscurità soltanto un fatto elementare a cui abituarsi. Sarebbe sano che lo facessimo anche noi.

P.S.: Il regista si chiama Illum Jacobi, ovvero “Quel” Jacobi in latino. E se dietro questo nome si nascondesse il direttore della fotografia, Frederik Jacobi? Sembrerebbe proprio così, a giudicare dai titoli di testa.

Chiara Tartagni


Chiara Tartagni e il Settecento al Cinema

Copywriter, studiosa di storia dell’arte, insegnante, nerd, ma soprattutto una persona molto curiosa. Chiara Tartagni ama tutto ciò che riguarda le immagini, in movimento e non. Per Jimenez Edizioni ha scritto Le Relazioni Preziose – Il Settecento Al Cinema: Rivoluzioni, Desideri e Libertà (NE ABBIAMO PARLATO QUI), un bellissimo volume che indaga il legame tra Cinema e Arte. Un legame che continua a studiare ed approfondire anche sul suo portale Pantoscopio – Cinema e Arte.