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Vesuvio, Giovanni Troilo racconta cosa significa vivere in mezzo ai vulcani

Dopo essere stato presentato in anteprima alla 31° edizione del Noir in Festival a Milano lo scorso dicembre, il documentario Vesuvio – Ovvero: Come Hanno Imparato a Vivere In Mezzo Ai Vulcani, diretto da Giovanni Troilo, arriverà al cinema come evento speciale il 14, 15 e 16 marzo prodotto da Dazzle Communication distribuito da I Wonder Pictures e Unipol Biografilm Collection.

Il film

L’area metropolitana di Napoli è una delle più densamente abitate del pianeta ed è compresa tra il Vesuvio ed i Campi Flegrei, due tra i vulcani attivi più pericolosi al mondo. Oltre un milione di persone vivono nella cosiddetta zona rossa, pronte ad essere evacuate al primo segnale di eruzione. Forse.

Giovanni Troilo mette in scena un documentario di grande fascino che racconta l’ombra lunga della catastrofe in uno dei territori più suggestivi e inquietanti d’Italia, lungo le pendici del Vesuvio e tra i minacciosi crateri partenopei, e lo fa con un linguaggio unico al confine tra fiction e documentario. Attraverso le storie, spesso al limite del paradossale, di coloro che si trovano a vivere su di una vera e propria bomba a orologeria, Troilo indaga il rapporto di simbiosi profonda che lega questa straordinaria umanità ai suoi vulcani e le ragioni – razionali e irrazionali – che inducono a vivere questo rapporto di continuo scambio con la montagna nera.

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Giovanni Troilo racconta…

“I veri protagonisti di questo film documentario sono il Vesuvio e i Campi Flegrei, due tra i vulcani più pericolosi al mondo che abbracciano e allo stesso tempo tengono stretta in una morsa la città di Napoli. Quando la camera scorre, a scorrere è la loro soggettiva che passa in rassegna la fitta umanità che li popola, che consapevolmente o meno ha scelto di stare lì, come fosse l’unica possibilità, come se si trattasse di un magnete a cui è impossibile sfuggire”.

“Il rischio sismico in Italia, l’uragano Katrina negli Stati Uniti, le centrali nucleari di Fukushima, gli incendi in Siberia e in Australia, il riscaldamento globale ci ricordano che malgrado si tratti di tragedie annunciate, l’uomo spesso tende a sottovalutare quel pericolo. Non c’entrano le latitudini a cui quei fenomeni si verificano, non c’entra la presunta capacità di alcune società di fronteggiarle, sembra connaturata alla natura umana e ai meccanismi politico decisionali. È un fatto di iperoggetti, è un fatto che dipende dalla limitata capacità dell’uomo di leggere fenomeni complessi, dalla asincronia irrisolvibile tra la durata, breve, della vita umana e la periodicità, lunga, con cui gli eventi catastrofici di questa portata si manifestano in tutta la loro forza“.

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“E se la pandemia del Corona virus ci dimostra l’attitudine dell’umano a dimenticare, al tempo stesso ci mostra la sua capacità di imparare rapidamente a convivere con le catastrofi, con la violenza, con la morte e con la vita. Di come insomma tutto questo sia l’unico filtro possibile per poter dare un senso a tutto quello che ci circonda”.

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