Dopo il grande successo di Vado a Scuola (2013), il regista francese Pascal Plisson torna a raccontare sogni e speranze attraverso le storie dei quattro giovani protagonisti, provenienti dai più disparati angoli del mondo, de Il Grande Giorno, un film che sarà nelle nostre sale da giovedì 13 ottobre.
Dall’Avana a Patna, da Ulan Bator fino al Parco Nazionale Queen Elizabeth in Uganda, Il Grande Giorno è un’appassionante ed eccitante avventura dell’animo umano. Per mesi, addirittura per anni, i quattro protagonisti del film attendono questo giorno speciale che cambierà le loro vite per sempre. I nostri quattro eroi affronteranno la prova che determinerà non solo il loro destino ma anche quello delle loro famiglie. Alla fine dopo tanto impegno e perseveranza il sogno sta per avverarsi.
Ma cosa sono i sogni? Cos’è il successo? Oggi è sempre più diffuso il concetto che la realizzazione personale non comporti fatica e sacrifici. Inoltre il successo si misura sempre più spesso solo attraverso il denaro. Riuscire nella vita vuol dire soprattutto conoscere se stessi e il mondo che ci circonda, capire i bisogni delle persone che amiamo, impegnarci in prima persona a rendere migliore il mondo in cui viviamo.
A Pascal Plisson, l’idea di questo film era venuta prima di finire il documentario Vado a Scuola: “volevo realizzare un film sui bambini che lottano per realizzare i propri sogni”, afferma. Ecco di seguito, un estratto dell’intervista che ha lasciato:
Come ha scelto i bambini protagonisti e le loro rispettive storie?
Per questo film volevo fin dall’inizio, partire su un opera pluridisciplinare. Ho scelto la boxe a Cuba con Albert, un concorso d’ingresso in una grande scuola di matematica in India, un racconto attorno al circo in Mongolia e il diploma di ranger in Uganda con Tom. La boxe mi interessava e sapevo che in paesi come Cuba o Panama ci sono numerosi ragazzi con grandi potenzialità. Albert mi ha impressionato, aveva proprio la faccia da pugile, mezzo angelo, mezzo demone. Per quel che riguarda l’India, mi hanno parlato del concorso “Super 30” che permette ogni anno a bambini svantaggiati come Nidhi (foto copertina), di frequentare una grande scuola. Ho trovato questo molto interessante. Ho pensato alla Mongolia e a Deegi perché è il paese del circo. Tuttavia, ho esitato prima di riprendere la scuola di contorsionisti perché è un ambiente molto difficile. Infine l’Uganda è un paese che si sta ricostruendo grazie una gioventù impegnata nella protezione degli animali. Come molti dei suoi concittadini, Tom ha questa voglia incontenibile di lavorare in mezzo alla natura.
Com’è riuscito a scrivere una sceneggiatura così particolare, a metà strada tra il documentario e il cinema di finzione?
Ne Il Grande Giorno vi è una parte di fiction e tantissimi momenti di vita unici e veri. Inizialmente viene scritta una sceneggiatura per convincere i produttori, ma in pratica, è solo un punto di partenza. Perché inevitabilmente le riprese cambiano ogni giorno a seconda delle mie osservazioni e di ciò che mi raccontano Nidhi, Albert, Tom e Deegii. Li conosco così bene che finisco per essere parte del loro quotidiano. Abbiamo passato giornate intere insieme prima delle riprese. Li ho accompagnati a scuola, ho osservato a lungo le loro abitudini, i loro timori e i loro sogni. Ho conosciuto i genitori, gli amici, la famiglia. Sono andato più volte in ognuno dei paesi presenti nel film, abbiamo girato molte ore, questo ci ha permesso di cogliere momenti di verità, delle istantanee, che non erano scritte né previste. Questo ci è valso un lungo montaggio di 22 settimane.
Perché l’Europa è così esclusa da Il Grande Giorno?
Forse perché ho passato la mia vita a viaggiare al di fuori dell’Europa. Mi interessano le sfide della vita che vanno al di là dei nostri limiti. Quei bambini mi toccano profondamente e fanno vedere ai nostri ragazzi, a volte molto viziati, che è bello andare in fondo alle proprie passioni.
Perché è stato così importante sottolineare il tema dell’accesso all’istruzione?
Sono stato un bambino poco diligente a scuola. Ho smesso frequentarla a 15 anni per viaggiare. Ho lavorato in Inghilterra, negli Stati Uniti. Ho detto addio alla mia vita di avventuriero per dedicarmi all’educazione dei miei figli. Vedere ragazzi che fanno di tutto per studiare mentre io ho abbandonato presto, mi colpisce profondamente. Sono convinto che ovunque ci siano talenti. Bisogna cercarli e aiutarli a prendere coscienza delle loro potenzialità.