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Abel Ferrara e il suo sguardo poetico su Roma in Piazza Vittorio

Presentato Fuori Concorso lo scorso anno alla 74. Mostra del Cinema di Venezia, giovedì 20 settembre arriva al cinema Piazza Vittorio, il documentario di Abel Ferrara, uno sguardo indipendente e poetico di un immigrato americano d’eccezione sul vibrante cuore multietnico della capitale. Il film vede la partecipazione straordinaria, oltre che dello stesso Abel Ferrara, anche dell’attore Willem Dafoe e del regista Matteo Garrone.


Nel centro di Roma, la storica piazza ottocentesca di stile umbertino, cuore pulsante del rione Esquilino, in cui già Vittorio De Sica ambientò una delle più incantevoli sequenze di Ladri di Biciclette (1948), oggi si divide tra bellezza e degrado.

L’occhio del regista newyorkese Abel Ferrara si posa sul fascino del suo antico splendore, che oggi ospita un microcosmo di etnie e classi sociali delle più varie, artisti del cinema, clandestini, clochard e commercianti, e sulle sue contraddizioni, sintesi amplificata di una realtà nazionale ancora irrisolta. Un videodiario d’autore che è diventato un documentario, Piazza Vittorio offre una rappresentazione viva di un’umanità sospesa tra accoglienza, paura, integrazione, difficoltà e rifiuto attraverso immagini, musiche, volti e storie del passato e del presente.

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Vi presentiamo ora l’intervista rilasciata dal regista Abel Ferrara.

Cosa l’ha spinta a voler girare un documentario su questa storica piazza di Roma?

Io vivo in quel quartiere. Quello che ho filmato è ciò che vedo ogni giorno e quelle persone, quei volti, che siano personaggi del cinema obarboni o immigrati, sono quelle che incontro ogni giorno uscendo di casa. Volevo fare un’incursione in questo microcosmo e porre una riflessione sull’evoluzione nelle nostre società dell’eterno tema dello ‘Straniero’. Come scrisse Svetlana Alexievich: “…history through the story told by an unnoticed witness and participant… True I don’t love great ideas. I love the little human being …”. Anche Garrone vive lì da vent’anni e Dafoe da 15, loro vivono e camminano in quella realtà, ne fanno parte e la loro esperienza dà calore al film.

Come avete realizzato il documentario?

Abbiamo girato tutto con un telefonino, ci abbiamo lavorato e messo insieme le scene. Per me è stato un gran divertimento parlare con le persone per strada, cercare di instaurare un dialogo con tutti anche quando questi erano più schivi e scettici. Abbiamo scelto uno stile di ripresa molto crudo per dare un’idea di verità e abbiamo evitato qualsiasi falsificazione e abbiamo usato quasi tutto il materiale girato per dare uno sguardo più completo possibile.

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Qual è lo spirito di questo documentario in un momento storico così delicato rispetto alla questione dell’immigrazione, in Italia e nel mondo?

In questo momento in Italia abbiamo l’opportunità di farci avanti e capire la realtà che stiamo vivendo. Questo è un grande momento. È un grande momento anche negli USA, perché quando si ha qualcuno come Trump, chiunque altro sia contrario a quella mentalità ha l’occasione di fare un passo avanti, che sia attraverso un film o attraverso una conversazione. Puntare la telecamera su quelle persone nel mio stesso quartiere ha cambiato la mia opinione su di loro. Quando ci si pone di fronte ad una persona e ci si apre ad una conversazione si conosce la realtà. Che sia il ragazzo di sedici anni che viene dal Sudan o la donna cinquantenne romana che ha una visione politica fascista, il film tratta di queste persone che desiderano solo migliorare la propria vita. Ciò che mi interessa è cogliere la realtà, svelare ciò che sta dietro, ciò che molti vogliono far apparire come un mistero. Noi abbiamo girato con la trasparenza e la comprensione dell’uomo comune.

Cosa ha amato di più di questo film?

Io ho un’idea romantica di tutto, la vita stessa è romantica.La parte che preferisco del mio film è musica. È stato molto bello anche girare il film, una volta che si cammina in questi scenari sei portato ad osservare, ad interagire, a parlare con tutti e alla fine, vedendolo e rivedendolo, provi a cercare di capire come sono queste persone.

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Come pensa che possa essere accolto questo documentario anche da spettatori che non conoscono la realtà di piazza Vittorio Emanuele?

Solo recentemente mi sono reso conto che stranamente non ci sono romani nel film, non è stata una scelta intenzionale, forse loro sono timidi o forse semplicemente la verità è che ce ne sono pochi. Ad ogni modo il punto è che anche io sono uno straniero per loro e loro stranieri per me, quindi la questione è: chi è straniero e chi non lo è? Io credo che tutti vedranno il film dal proprio punto di vista e va bene così. Ciò che un romano coglie non è lo stesso di ciò che coglie un napoletano, un bolognese o un parigino o un cinese.

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