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Amici Miei di Mario Monicelli festeggia i 40 anni al cinema

Oggi e domani il cinema celebra i 40 anni di Amici Miei riportando in sala – in versione restaurata il capolavoro diretto da Mario Monicelli, con la sceneggiatura di Pietro Germi, Leo Benvenuti, Piero De Bernardi e Tullio Pinelli, che uscì nelle sale nel 1975 ispirando e cambiando il corso moderno della nuova commedia all’italiana. Distribuito da Filmauro, il ritorno in sala dell’indimenticabile commedia con protagonisti Ugo Tognazzi, Philippe Noiret, Adolfo Celi, Dullio Del Prete e Gastone Moschin avviene in concomitanza con il 100° anniversario della nascita di Mario Monicelli.


Perozzi, Melandri, Mascetti, Necchi e Sassaroli: cinque amici con la mentalità di altri tempi. Ormai cinquantenni, ma rimasti ragazzi, sono pronti a improvvisare situazioni burlesche a Firenze e nei dintorni. All’inizio erano quattro e il Sassaroli, primario di una clinica, li conobbe quando – ricoverati per un incidente – misero a soqquadro l’ospedale. Cominciò a trattare con loro quando il Melandri si innamorò di Donatella, moglie del clinico, fraternizzò con tutti dopo che lo stesso Melandri dovette cedere davanti all’irruenza della Donatella, del cane Birillo e del resto della famiglia appioppatogli.

Eccoli, i cinque ragazzi, schiaffeggiare dalla pensilina i viaggiatori di un treno, oppure seminare il panico in un paesino camuffandosi da tecnici stradali e decretando l’abbattimento delle case nonché della chiesa per far spazio a un’autostrada, eccoli trasformarsi in spacciatori di droga per punire l’ingordo pensionato Righi. Quando il Perozzi muore, la loro goliardia viene messa a dura prova, ma nel corso del funerale trovano il modo di improvvisare un ennesimo feroce scherzo per il Righi.

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L’evento – curato da Mario Sesti, responsabile per la Fondazione Cinema dei progetti speciali che si svolgono nel corso dell’anno – è il primo di una nuova collaborazione tra Filmauro e la Fondazione Cinema per Roma cui ne seguiranno altri: «Doveva essere l’ultimo film di Germi che, gravemente malato, propose a Monicelli, uno dei suoi migliori amici di dirigerlo: da questo punto di vista è un grande film sull’amicizia anche al di qua della macchina da presa» ricorda Sesti. «In ogni caso – continua – si tratta del film con il quale due dei più importanti registi del cinema italiano contemporaneo, Pietro Germi e Mario Monicelli, collaborano per mettere a punto un modello di comicità irriverente, anarchica e amara che segnerà profondamente l’evoluzione della commedia e del cinema di consumo».

Vincitore di due David di Donatello nel 1976 (Miglior Regia a Monicelli e Miglior Attore Ugo Tognazzi), Amici Miei è una pellicola simbolo della nascita della commedia all’italiana. L’amarezza, il disincanto, la fine delle illusioni di benessere e le tensioni sociali che caratterizzano l’Italia degli inizi degli anni settanta fanno la loro comparsa anche in questo genere comico e di costume. La risata piena si vela di tratti malinconici e tristi, i personaggi rimangono comici ma diventano amari e patetici. Scompaiono definitivamente il lieto fine e il finale leggero o comunque umoristico e lasciano il posto alla precarietà di una condizione umana spesso senza prospettiva.

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Per comprendere quanto sia sofferta e dolorosa l’introspezione monicelliana sul senso della vita durante tutto il film basta ricordare una frase del Perozzi, il quale pensando al figlio – un suo vero e proprio alter ego – dirà: “Io restai a chiedermi se l’imbecille ero io, che la vita la pigliavo tutta come un gioco, o se invece era lui che la pigliava come una condanna ai lavori forzati; o se lo eravamo tutti e due”. Da un lato, con il Perozzi, c’è l’ironia feroce e la dissacrazione per ridere della vita e ingannare lo scorrere del tempo mentre dall’altro, con il figlio, c’è l’austera severità di chi affronta l’esistenza rimanendo sempre sui binari della serietà.

Ma in comune padre e figlio hanno lo stesso male di vivere. Lo stesso dolore con due reazioni differenti che rende Amici Miei una delle perle della comicità italiana intrisa di malinconia.

Andrea Sessa

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