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CAMERA PSYCHO – Ragazzi d’Oro alla ricerca di un padre

Un film scomodo e non adeguatamente riconosciuto è Un Ragazzo D’Oro di Pupi Avati uscito nelle sale lo scorso settembre. Un film che va visto e rivalutato come opera complessa e profonda prodotto originale della maturità creativa del regista che si avvale della intensa interpretazione di Riccardo Scamarcio.

Riccardo Scamarcio è Davide Bias

Riccardo Scamarcio è Davide Bias

La prima scena del film, che descrive in bianco e nero nell’acromaticità del ricordo un avvenimento più volte recuperato nel corso della vicenda e in particolare nel finale, dà significato a tutta la storia. Si tratta di una gara di salto in alto che risale all’infanzia del protagonista. Il bambino Davide Bias gioca felice con il padre Achille, ci sono altri bambini più grandi di lui che cercano di saltare un ostacolo, Davide da solo non potrebbe riuscirci perché è troppo piccolo ma il suo papà corre insieme a lui dandogli la mano e davanti all’asticella lo tira su in alto facendogliela superare e facendogli vincere il premio della gara. Davide dirà idealizzando il suo eroe: “papà io e te insieme siamo invincibili“. Ma poi la vita li ha divisi ed entrambi sono diventati dei falliti.

Il padre non è stato più un modello per il figlio anzi  ha eluso il suo ruolo dedicandosi al lavoro come sceneggiatore di filmacci di serie B anni 70-80 e finendo poi dimenticato. Davide (Riccardo Scamarcio) controlla con gli psicofarmaci la depressione e un serio disturbo ossessivo compulsivo. Lavora a Milano come creativo in una agenzia di pubblicità dove non regge la feroce competizione e i colpi bassi dei colleghi, vorrebbe diventare scrittore e crea racconti brevi che vengono rifiutati dagli editori senza riuscire a stendere il romanzo che gli verrebbe  richiesto. Sul piano sentimentale ha una fidanzata (Cristiana Capotondi) che è ancora invischiata in una precedente relazione con il capo dell’ufficio dove Davide lavora e che non riesce ad avere un rapporto sessuale con lui: lo scenario edipico che si ripete.

Incompreso dalla fidanzata (Cristiana Capotondi)

Incompreso dalla fidanzata (Cristiana Capotondi)

Quando il padre con il quale ha sempre avuto un rapporto distante, freddo, svalutativo, da lui stesso definito “orrendo” muore in un incidente stradale, Davide sembra essersi liberato dall’ostacolo che bloccava la sua creatività, vale a dire la rivalità e il superamento del padre. Così sarà ma con esiti imprevedibili. Tornato a Roma dalla madre (Giovanna Ralli) nella casa di famiglia, incontra Ludovica Stern (Sharon Stone) una ex attrice anni ’90 diventata editrice donna con la quale il padre era in contatto e della quale era follemente innamorato. Ludovica chiede a Davide di ritrovare un romanzo postumo del padre che potrebbe essere molto valido, “un capolavoro” e che lei potrebbe pubblicare.

Davide esita all’inizio ma poi si mette alla ricerca del materiale senza trovare niente di interessante tranne poche righe che ricordano la gara di salto quando aveva tenuto stretto per la mano il suo bambino quando erano insieme invincibili e rimpiange di aver lasciato quella mano. Legge poi la prima sceneggiatura del padre scritta quando aveva 25 anni, un lavoro bellissimo poi stravolto e volgarizzato dall’industria cinematografica. Nel frattempo si scopre che Achille Bias non è morto in un incidente ma si è suicidato. Davide si chiuderà nello studio di suo padre, si identificherà progressivamente con lui abbandonerà i farmaci che pensa possano offuscare il suo pensiero e scriverà il romanzo che l’editrice gli aveva chiesto fingendo di averlo ritrovato nei file del computer.

Con il romanzo da consegnare a Ludovica Stern (Sharon Stone)

Con il romanzo da consegnare a Ludovica Stern (Sharon Stone)

Alla fine della stesura completamente scompensato in balia degli impulsi incontrollati dopo aver perso il contatto con la realtà verrà ricoverato in un ospedale psichiatrico. Dopo un anno dal ricovero, quando non ancora completamente guarito potrebbe comunque essere dimesso riprendere il lavoro e riprendere a scrivere, sceglie di rimanere in mezzo ai matti in un ambiente protetto in pigiama a svolgere semplici e routinarie mansioni. Intanto il suo romanzo che porta la firma del padre vincerà il Premio Strega, altri premi prestigiosi e verrà tradotto in 12 lingue. Insieme sono stati invincibili.

Il finale non può soddisfare lo spettatore che vorrebbe Davide sano felice realizzato nella vita. Ma in questa società in cui l’autorità simbolica del padre sembra svanita non si può essere genitori di stessi, i giovani hanno bisogno di una eredità di una testimonianza di vita che possa dimostrare che la vita può avere un senso.

Con i baffi e pettinato come il padre

Con i baffi e pettinato come il padre

Il “ragazzo d’oro” è un giusto erede, è un figlio che ha bisogno di un padre, è un orfano che si riprende la possibilità di essere figlio entrando in rapporto con il passato e riconoscendo la propria provenienza. In antitesi con la confusione tra generazioni la riaffermazione dell’essere figlio ricostruisce il debito simbolico che le collega. Forse è questo messaggio che voleva trasmetterci Pupi Avati e da lui ci aspettiamo altre preziose testimonianze.

Claudia Sacchi

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