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CAMERA RETRO – Last Marlon Brando’s Tango

Dieci anni fa, nella Città degli Angeli, volava in cielo Marlon Brando. Ormai ottantenne, sovrappeso, lontano dai riflettori. Lui che ancora oggi è considerato come una delle più grandi stelle e leggende di Hollywood, il maggior divo antidivo. Anticonformista e fuori dagli schemi, dotato di uno sguardo impenetrabile e profondo che ipnotizzava chiunque lo guardasse.

Marlon Brando

Marlon Brando

Nato nel 1924 nel Nebraska, Marlon imparò a recitare con Stella Adler che gli insegnò il famoso Metodo Stanislavskij. Con questa forte impostazione recitativa che lo portava a indagare la propria psiche per relazionarla con quella del personaggio da interpretare, Marlon Brando iniziò ventenne a fare teatro (debuttò a Broadway). Il suo primo successo al cinema è nel 1951 in Un Tram che si chiama Desiderio, di Elia Kazan, in cui recita al fianco di Vivian Leigh. Il personaggio di Stanley Kowalski gli ha subito conferito l’etichetta di sex symbol. Sempre con Kazan gira anche Viva Zapata! mentre per la regia di Joseph L. Mankiewicz interpreta Marco Antonio in Giulio Cesare (1953, riceverà una nomination all’Oscar).

In "Un Tram che si chiama Desiderio" (1951)

In “Un Tram che si chiama Desiderio” (1951)

Ne Il Selvaggio (1954), diretto da László Benedek, il Brando rebel without a cause ottiene per la prima volta un ruolo da protagonista assoluto. Nel film guida una Triumph Thunderbird 6T: in sella alla sua moto con giacca di pelle e blue jeans diventa un’icona per le nuove generazioni.

In sella alla moto ne "Il Selvaggio"

In sella alla moto ne “Il Selvaggio”

Fronte del Porto, sempre del 1954 e ancora con la regia di Elia Kazan, è probabilmente il suo film più famoso. Nei panni dello scaricatore di porto, Brando si aggiudica l’Oscar come Miglior Attore Protagonista. Negli anni 50 seguirono altri successi (tra gli altri Bulli e Pupe di Mankiewicz). Nel 1961, insoddisfatto di Stanley Kubrick e Sam Peckinpah, diresse il film I due volti della vendetta, tratto dal romanzo The Authentic Death of Hendry Jonesaltro. Nel 1969 rialzò la testa con Queimada di Gillo Pontecorvo che, grazie anche alla colonna sonora di Ennio Morricone, diede nuovo lustro alla sua carriera.

Premiato con l'Oscar in "Fronte del Porto" (1954)

Premiato con l’Oscar in “Fronte del Porto” (1954)

Marlon Brando, demoralizzato per i precedenti fiaschi, stava pensando ad un ritiro dalle scene quando Francis Ford Coppola lo scelse nel 1971 per il ruolo di Don Vito Corleone ne Il Padrino (uscito nel 1972). La sua interpretazione, entrata nella storia del cinema, gli valse il suo secondo Oscar che però non andò a ritirare in protesta contro il modo in cui Hollywood trattava i popoli dei nativi americani. Trionfatore e personaggio, fuori dal coro.

La sua immagine più celebre ne "Il Padrino" con cui vinse il suo secondo Oscar

La sua immagine più celebre ne “Il Padrino” con cui vinse il suo secondo Oscar

Marlon era tornato ad essere il Boss, ma il meglio doveva ancora arrivare. Pochi mesi dopo Il Padrino, uscì infatti il controverso e censurato Ultimo Tango a Parigi di Bernardo Bertolucci, in cui le scene di sesso con Maria Schneider fecero urlare allo scandalo e alla “pornografia fine a se stessa” della pellicola. Eppure nel personaggio di Paul, un americano vedovo e depresso a Parigi, c’è dentro tutto Marlon Brando. Senza metodo, solo nuda anima e nudo corpo. Ancora affascinante e carico di erotismo. Il bullo-duro-invincibile si sgretola come il suo personaggio, senza più difese. Bertolucci tirò fuori la sua parte più intima a tal punto che l’attore per anni si riempì di rancore nei confronti del regista italiano, colpevole di averlo messo troppo a nudo. Anche lui a scoppio ritardato con il film concluso e montato, proprio come la Schneider che mai perdonò la famosa scena del burro (la scena fuori copione che la portarono a stare male per anni).

Con Maria Schneider in "Ultimo Tango a Parigi"

Con Maria Schneider in “Ultimo Tango a Parigi”

In Ultimo Tango a Parigi, non vediamo il personaggio ma l’uomo Marlon Brando. Solo e disorientato, come un barbone che girovaga nel nulla. Lo sguardo cupo, con gli occhi che fissano il vuoto e due labbra che non ne vogliono più sapere di sorridere. Un signore dai capelli grigi lontano dallo star system, un uomo che fotte e se ne fotte, adombrato dai tormenti di una vita. Un appartamento sfitto e una ragazza ventenne con cui fare sesso diventano il luogo e il mezzo con cui dare un senso all’esistenza. Quando scoprirà di essere davvero innamorato, si leverà la maschera e si darà un nome, ma sarà ormai troppo, tragicamente, tardi. Il suo ultimo cameralook nel film è di grande intensità: appiccica il chewing gum sul balcone e cade a terra. Come se volesse dire allo spettatore “non me ne vado davvero”.

Il suo cameralook nel film di Bertolucci

Il suo cameralook nel film di Bertolucci

Seguirono altri buoni film come Missouri (1976, con Jack Nicholson) e soprattutto Apocalypse Now (1979, sempre di Coppola), ultimo suo ruolo da superstar del cinema. Da lì in avanti il suo lento ritiro, con gli ultimi acuti anni ’90 con Johnny Depp (in Don Juan DeMarco – Maestro d’amore e Il coraggioso) e il suo ultimo film The Score con Robert De Niro.  Per molti il numero uno resterà sempre lui.

“Il cinema uccide l’individuo. Tanti anni buttati via. Mi hanno appesantito fisicamente, mentalmente, spiritualmente”

 Marlon Brando

Giacomo Aricò

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