Photo by Michael Buckner/Deadline/REX/Shutterstock

Ethan Hawke e Le Regole del Cavaliere – Intervista a Francesco Paolo Ferrotti

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Ethan Hawke Le Regole Del Cavaliere 1

Ethan Hawke non è soltanto un grande interprete (QUI il nostro articolo per il suo recente 50° compleanno), ma anche un affermato scrittore. Dopo L’Amore Giovane (1996, diventato poi l’omonimo film diretto dallo stesso Hawke nel 2006) e Mercoledì delle Ceneri (2002), nel 2015 il poliedrico attore ha pubblicato Rules for a Knight, un testo ispirato ed ispirante che si pone tra romanzo storico, opera filosofica e manuale di crescita personale. Un piccolo decalogo che si propone di promuovere l’etica “cavalleresca” attraverso il racconto di un antico cavaliere del 1400, e ispirandosi a grandi maestri del pensiero occidentale e orientale. L’opera nasce da un espediente letterario affascinante e misterioso, tra finzione e realtà. Tutto comincia dal ritrovamento di un’antica lettera in lingua cornica, la preziosa eredità che Sir Thomas Lemuel Hawke lascia ai suoi quattro figli la sera prima della Battaglia di Slaughter Bridge (1483), in cui teme di perdere la vita. Traendo spunto dalla vita e dall’educazione dei propri figli e giocando sulla radice etimologica del suo cognome (da «hawk», falco), l’autore associa simbolicamente a ciascuna delle venti regole-virtù un diverso uccello. Dalla solitudine all’amicizia, dall’amore alla morte, passando per il coraggio e la pazienza, l’orgoglio e la dedizione, l’onestà e la giustizia, ogni capitolo ha un’illustrazione dedicata, realizzata dalla moglie Ryan. Ora questo libro, grazie alla traduzione di Francesco Paolo Ferrotti e a Edizioni Sonda, è disponibile in italiano. Ed è stato proprio Ferrotti – Dottore di ricerca in estetica, autore e traduttore – che ha voluto fortemente portare questo testo in Italia. Abbiamo avuto il grande piacere di realizzare con lui questa bellissima e stimolante chiacchierata.

Francesco, perché hai pensato che Le Regole Del Cavaliere fosse un libro da tradurre e da portare in Italia?

Sin dalla prima lettura di “Rules for a Knight”, l’opera mi ha molto colpito e l’ho trovata “inattuale” nel senso migliore del termine: un’opera indifferente alle mode e alle sirene dell’attualità, e anche coraggiosa e controcorrente nel suo essere aliena alla rigida codificazione dei generi, in quanto si tratta al tempo stesso di un romanzo storico, un decalogo filosofico, una raccolta di aforismi, un manuale di self-training, un’opera poetica, un testo illustrato, e altro. È un libro che, per dirla con le parole di Friedrich Nietzsche, “ci porta al di là dei libri”, aldilà dell’ovvio, di quella che è la letteratura di consumo del nostro tempo. Oggi purtroppo viviamo in un’epoca che avverte la drammatica carenza di modelli spirituali, che sembra avere smarrito la vocazione per la poesia e per la ricerca interiore, e che non riesce più a produrre opere letterarie capaci di far riflettere il lettore sulle grandi domande esistenziali, relegando sempre più la letteratura a mero “entertainment”, e l’oggetto-libro a prodotto effimero da consumare sotto l’ombrellone, destinato a durare appena una stagione, per poi cadere nel dimenticatoio per sempre. Al contrario, questo mi è apparso sin dall’inizio un testo da leggere, da rileggere e tramandare.

Ethan Hawke presenta il suo libro "Le Regole del Cavaliere"

Ethan Hawke presenta il suo libro “Le Regole del Cavaliere”

Perché?

Perché contiene alcuni insegnamenti perenni, che non passano mai di moda, che restano validi per tutte le stagioni, e che sono in buona parte trasversali rispetto alle diverse culture. In piccolo, lo ha rivelato il fatto stesso che l’edizione in lingua originale dell’opera è uscita negli Stati Uniti nel 2015 e, dopo essere stata tradotta in almeno dieci lingue del mondo (incluse edizioni in turco, persiano e giapponese), ha trovato nuova vita in Italia nel 2020. Mi è apparsa sin da principio come un’opera di valore, e mi sono impegnato in prima persona a portarla in Italia e ad esserne il traduttore. Non senza difficoltà, perché è un testo inconsueto, incompatibile con il catalogo di molti editori. Sono stato fortunato nell’aver individuato in Sonda un editore coraggioso e un interlocutore sensibile, disposto a scommettere sul valore di questo libro. In più, in questi mesi l’edizione italiana ha assunto una nuova ragion d’essere, perché è una lettura molto adatta ad accompagnare un periodo difficile come quello che stiamo attraversando: un periodo che, anche per il venir meno di una serie di distrazioni spesso superflue, si presta a stimolare riflessioni filosofiche; e nel quale, in qualche modo, si sta anche riscoprendo il valore delle “regole”. 

A chi consiglieresti il libro?

Non soltanto a chi conosce e già apprezza la filmografia di Ethan Hawke, e non soltanto a genitori e figli che cercano una buona lettura da condividere, ma anche a studenti o ex studenti di discipline filosofiche – come lo sono stato io stesso – che possono trovare nel testo motivi di interesse a vari livelli di lettura. L’opera è infatti debitrice di tanti maestri del pensiero occidentale e orientale, ricordati alla fine del libro, nella pagina dedicata agli “omaggi speciali ad altri cavalieri”. La cosa interessante è che, pur non avendo Ethan Hawke una preparazione filosofica nel senso accademico del termine – o forse proprio per questo – è stato in grado di dar vita a una vera e propria opera filosofica, con un linguaggio che stimola sia l’intelletto che il senso estetico, lontano da certa sterile saggistica. Come la filosofia più autentica, questo è un libro “per tutti e per nessuno”.

Terza regola: "Gratitudine"

Terza regola: “Gratitudine”

Cosa rappresentano per te queste venti regole? Ethan le ha pensate per i propri figli, ma io le ho trovate illuminanti, come un insegnamento, anche per noi adulti. Che ne pensi?

Secondo il mio approccio, le venti regole non sono “comandamenti” morali, dogmi di una religione istituzionale, espressione di una moralità farisaica ed esteriore; non sono dettami funzionali a guadagnarsi una buona posizione in società né tantomeno un lasciapassare per qualche aldilà. Piuttosto, sono forme di self-training, motti filosofici, finalizzati a vivere una vita più saggia, più nobile ed elevata, e a sviluppare virtù autentiche, scevre da ipocrisie morali. Sono insegnamenti rivolti a tutti, per cambiare sé stessi e la propria visione del mondo. Ciò può avvenire soltanto raggiungendo la saggezza, ed è questa la missione originaria della filosofia: raggiungere l’equilibrio con sé stessi e con la realtà tramite la conoscenza profonda. A questa però non si può giungere adottando uno sguardo esteriore sul mondo, ma soltanto rivolgendosi all’interno, al profondo della nostra psiche, come rivela la prima regola, dedicata al valore del silenzio e della solitudine, che troppo spesso è andato perduto nella nostra epoca. Contrariamente alle moderne lusinghe del mondo esteriore, il libro ci ricorda che il vero viaggio di scoperta è quello interiore, oggi come millenni fa. Il primo insegnamento del Nonno, mentore del cavaliere, è che “non è necessario andare da nessuna parte”, perché la risposta a ogni domanda si trova già in noi. Questo ricorda un antico detto del taoismo: “più lontano si va, meno si conosce”, è detto nel Tao Te Ching. Il viaggio iniziatico parte dalla mente, e il principale obiettivo del cavaliere “è avere una mente chiara”, come afferma il libro. Da ciò se ne ricava che le “regole del cavaliere” sono destinate, più che alla formazione di un guerriero, all’iniziazione di un saggio. Si tratta inoltre di lezioni valide per ogni fase della vita, adatte ai giovani, agli adulti e alle persone avanti negli anni, perché non si finisce mai di imparare e di migliorarsi. Nell’opera, nemmeno il mentore del cavaliere è un uomo perfetto, e al termine della propria esistenza si rende conto di non essere ancora abbastanza saggio, pur avendo sempre vissuto in accordo alle regole. Ed è nell’ultimo giorno di vita che impara e che tramanda la lezione più importante di tutte, la regola delle regole: quella di spingersi oltre le stesse regole, e di ascoltare soltanto la voce del proprio cuore.

Chi è il cavaliere?

Per molti versi, può ricordare il monaco taoista, in cui la pratica delle arti marziali sarebbe inconcepibile senza un’enfasi sulla dimensione spirituale. D’altro canto, il cavaliere non è un asceta, è anche partecipe della realtà, delle passioni umane, degli eventi storici, dei mutamenti sociali. Ma è consapevole che il conflitto esteriore è una proiezione metaforica del dissidio in noi stessi, quello per il rafforzamento di sé. È conscio che il suo nemico originale non è mai all’esterno, ma si annida nelle sue stesse debolezze, nell’ignoranza, nell’ignavia, nelle attitudini negative. Pertanto, il cavaliere non è colui che combatte per affermare la supremazia del “bene” sul “male” nel mondo esteriore, in base a una morale sciovinista, settaria e unilaterale, come il crociato medievale; bensì è colui che, come il filosofo greco o il monaco orientale, comprende innanzitutto come ogni “male” derivi dalla propria visione poco nitida, dalla propria debolezza di spirito, da una conoscenza imperfetta delle leggi della natura e della vita. Comprende in definitiva che, per dirla alla maniera di Socrate, “esiste un solo bene, la conoscenza, e un solo male, l’ignoranza”.

"Regola XIX - Love, Amore"

“Regola XIX – Love, Amore”

La sfida del cavaliere appare rivoluzionaria. Può cambiare il mondo?

La vera sfida del cavaliere è di giungere a una visione completa e unitaria dell’esistenza, in grado di abbracciare ogni apparente conflitto, di riconoscere la divinità immanente del tutto, di cogliere l’eternità hic et nunc in ogni cosa; in quanto l’eternità non è qualcosa aldilà della vita o in antitesi all’esistenza terrena, ma è “qualcosa che accade ora”. Quella del libro è tutti gli effetti una visione spirituale, eppure estranea ad ogni religione istituzionale. Bensì rivela aspetti in comune con alcune concezioni filosofiche della mistica e della gnosi, nonché con antiche dottrine come il taoismo e lo stoicismo. Il cavaliere è una metafora del filosofo, e le sue “regole” costituiscono una dottrina volta a rivoluzionare sé stessi, a chiarificare la propria mente e il proprio sguardo, a cambiare la propria visione del mondo, prima che il mondo stesso. La concezione di fondo, in comune con la filosofia greca e con le filosofie orientali, è che il mondo può cambiare soltanto nella misura in cui l’individuo cambia sé stesso: il mondo può diventare “migliore” soltanto se ciascuno di noi diventa una persona migliore, e non può esserci pace che non parta dall’individuo, da una pacificazione con gli aspetti conflittuali dell’esistenza. Questa rivoluzione interna, al contrario di quella del mondo esteriore, non parte dalla volontà di giudicare e di “correggere” l’esterno, bensì dalla spinta a migliorare sé e ad accettare l’altro-da-sé: passa dunque attraverso la liberazione dall’invidia, dalla rabbia, dal risentimento, e comporta il superamento delle attitudini nichiliste e degli istinti di vendetta. L’etica del cavaliere si fonda su una visione affermativa dell’esistenza, e una delle regole recita: “per tutto ciò che è stato un cavaliere dice ‘grazie’, per tutto ciò che verrà un cavaliere dice ‘sì’!”. Questa è una visione molto forte, per certi versi alternativa a quella oggi prevalente in Occidente, tutta incentrata sui mutamenti sociali, sui cambiamenti politico-economici, e su un approccio troppo spesso negativo, di giudizio e rifiuto di alcuni aspetti della vita, trascurando la dimensione affermativa.

All’interno di questa visione, è anche importante superare un certo manicheismo morale per abbracciare la “coniunctio oppositorum”. Nel libro ci viene ricordato come la natura generi il suo equilibrio dagli opposti, come yin e yang nel taoismo, e tra un capitolo e l’altro di congiunzioni di opposti ce ne sono parecchie: tra le regole troviamo “solitudine” e “amicizia”, “umiltà” e “orgoglio”, “amore” e “morte”, senza che un principio possa escludere l’altro, in quanto si tratta di aspetti multiformi della stessa esistenza, funzioni complementari della nostra psiche. E in fondo è proprio nella contraddizione – nella paradossale identità tra gli opposti – che sorge la conoscenza più alta, la saggezza in grado di abbracciare l’immensità della vita. “Sono vasto, contengo moltitudini”, scriveva Walt Whitman, rivendicando il valore positivo del trovarsi in contraddizione con sé stesso…

Ethan Hawke Le Regole Del Cavaliere 9

A proposito di Whitman, c’era un giovane Ethan Hawke ne L’Attimo Fuggente, un film che ha segnato la tua generazione. In che modo la lezione di quel film la si ritrova anche nel libro?

Quel film, oltre ad avere rivoluzionato la vita di tante persone, ha segnato la stessa vita e carriera professionale di Ethan Hawke, a quei tempi appena diciottenne e agli esordi del suo percorso. Per lui è stata molto più di un’opera di finzione: è stata un’esperienza formativa, direi iniziatica, che non lo ha più abbandonato, come ha dichiarato in varie occasioni. In quel film, anche e soprattutto grazie al genio di Peter Weir, realtà e fiction si sono intrecciate in forma singolare, fino alla tragica morte di Robin Williams, che in molti ancora oggi continuano ad associare a quel ruolo memorabile. Il personaggio di John Keating presentava un prototipo di educazione giovanile fuori dal comune, che riportava in vita l’immaginazione poetica e la saggezza filosofica di grandi maestri del passato, come Whitman, Thoreau, Frost. Anche “Le regole del cavaliere” è un’opera che rende omaggio a tanti grandi maestri – compreso lo stesso Whitman – e per molti versi sembra uscita proprio dalla “setta dei poeti estinti”: un’opera fuori dal tempo, che se per un verso appare inattuale ed estranea alla nostra epoca, d’altro canto trova la sua ragion d’essere nell’andare controcorrente, rivolgendosi alla nostra epoca, proprio come quel film. Sia il film che il libro sono ambientati in altri tempi (il primo alla fine degli anni ‘50, il secondo molto più indietro, nel 1400), ma entrambi lanciano un messaggio molto forte al mondo contemporaneo.

Perché secondo te quel film è ancora così attuale?

Rispetto a trent’anni fa, oggi i pericoli di perdita dell’identità individuale sono molto superiori, ed è per questo che la lezione de “L’attimo fuggente” è più importante e più attuale che mai. Ragionare con la propria testa diventa sempre più difficile in un’epoca di seducente conformismo e di omologazione mediatica, in cui i dogmi della società di massa non ammettono contraddittorio e cercano di mettere a tacere tutte le voci fuori dal coro, scongiurando ogni forma di libertà di spirito. Nell’era dei social media, ogni barlume di pensiero sembra essersi ridotto a faziosità ideologica e banalità politica. Al contrario, né “L’attimo fuggente” né “Le regole del cavaliere” sono opere politiche nel senso comune del termine, perché la politica diventa solo un altro modo di rilanciare gli stereotipi, di ripetere i soliti dogmi, mentre la missione più importante è, per dirla con le parole del Professor Keating, quella di “combattere per trovare la propria voce”. Nel film così come nel libro, l’obiettivo è di dar voce a uno spirito libero, un individuo consapevole, un uomo “nobile” dal punto di vista spirituale. In entrambi i casi, è centrale la figura di un mentore, una guida che predispone a diventare sé stessi: nel film era un professore di scuola, nel libro è il Nonno di Sir Thomas – e a sua volta lo stesso Sir Thomas –, ma ci sono molti aspetti in comune. Così come il maestro del cavaliere, Keating insegnava ai suoi studenti ad avere coraggio nel seguire la propria stella, insegnava l’onestà e l’amicizia (quelle che nel libro sono tre regole, e che nel film portano Todd Anderson, il personaggio interpretato da Ethan Hawke, a superare la propria timidezza iniziale, e a trovare la propria identità), ma d’altro canto le sue lezioni non comportavano il rifiuto di altre regole-virtù del libro, come la dedizione o la disciplina. Keating era un “Capitano”, non un ribelle senza causa. La sua era una rivoluzione poetica, mediata dall’istinto e dal sentimento, non un rigetto dell’istruzione; era un ritorno alla natura, non un rigetto della cultura. Anzi, il film non manca di ricordarci che egli era stato tra i migliori allievi della Welton Academy, dove si era diplomato a pieni voti. Era diventato un insegnante proprio grazie al fatto di essere “sopravvissuto” a quella scuola, ed era un mentore perché era stato a sua volta “iniziato”, come il cavaliere del libro. È interessante allora notare che, nella prima scena del film, quella in cui si vedono i giovani portare gli stendardi della Welton Academy, ci sono quattro parole-chiave: “tradizione”, “onore”, “disciplina”, “eccellenza”. Due delle quattro le ritroveremo trent’anni dopo tra le regole del libro. Chissà se Ethan Hawke ci abbia fatto caso, se la cosa sia voluta o subconscia. Spero di chiederglielo presto!

Un giovane Ethan Hawke ne "L'Attimo Fuggente"

Un giovane Ethan Hawke ne “L’Attimo Fuggente”

Uno spazio a parte merita “La ballata del Cervo Rosso a quarantaquattro punte”. Ce ne puoi parlare?

Il fatto che il libro si concluda con un poema è molto significativo. Anche in questo caso, non può che tornare alla mente “L’attimo fuggente”, in cui la poesia gioca un ruolo chiave. In qualche modo, seguendo una delle più memorabili lezioni del Professor Keating, Ethan Hawke è consapevole che soltanto il simbolismo musicale della parola poetica – quello che trascende la logica – può giungere dove le altre discipline non giungono, per esprimere nel modo più profondo “le cose che davvero ci tengono in vita”, per dirla nei termini del film. Mentre la prosa parla al nostro intelletto, la musicalità della poesia giunge al cuore, comunica con il nostro inconscio, ed è in grado di spingersi oltre i limiti dell’umana ragione.

Oggi purtroppo la voce della poesia è stata silenziata, e la scrittura poetica è stata depauperata del suo simbolismo più autentico, confinata in un settore di nicchia dell’editoria, distante dai lettori, ostaggio di sterili cenacoli d’avanguardia e di auto-compiacimenti intellettuali. La poesia non ci parla più, non si legge più, non ha più mercato, e gli editori non ci investono più, generando così un circolo vizioso. Di certo Ethan Hawke deve la pubblicazione del libro – ballata compresa – alla sua fama nel mondo del cinema, ma ciò non toglie che egli dimostri talento nel comporre versi. Così come il resto dell’opera, “La Ballata” non è il testo di una star del cinema che nel tempo libero scrive opere letterarie per darsi un tono, magari avvalendosi di qualche ghostwriter; bensì è il testo di uno scrittore a tutti gli effetti, per di più dalla spiccata vena poetica. E buon sangue non mente, dato Ethan Hawke è imparentato con Tennessee Williams, celebre drammaturgo e poeta americano della metà del Novecento, che ritroviamo tra gli autori omaggiati alla fine del testo. Inoltre, “La Ballata” è un poema dalla qualità musicale, concepito come una vera e propria canzone: un canto ancestrale della Madre Terra, debitore non soltanto di tanta letteratura, ma che risente anche della passione di Hawke per la musica folk e rock.

Nella traduzione del poema, ho dovuto adottare un approccio in parte differente rispetto al resto dell’opera, in quanto per “tradurre” la poesia non ci si può limitare alla semantica, ma si deve tener conto anche e soprattutto della sua forma simbolica, della sua musicalità, del rapporto tra parola e suono, ritmo e significato. Ho dovuto quindi ricreare la forma poetica in italiano, con alcune licenze di traduzione, proprio per rimanere più fedele allo spirito del testo. Questo mi è stato possibile perché io stesso, oltre ad avere una formazione musicale, sono autore di opere in versi. E se consideri che il mio interesse per la poesia proviene, all’origine, proprio dalla visione de “L’attimo fuggente” tanti anni fa… il cerchio si chiude!

Ethan Hawke in "Before Sunset" (nella stessa libreria dove ha presentato "Le Regole Del Cavaliere")

Ethan Hawke in “Before Sunset” (nella stessa libreria dove poi presenterà “Le Regole Del Cavaliere”)

Ethan Hawke è un attore impegnato, che non ha paura di esprimere le proprie idee, che si batte per quello in cui crede, che mette tutta la sua passione nell’arte, ed è un attore che ama interpretare ruoli totalmente diversi in film di generi totalmente diversi. Chi è per te Ethan? 

È innanzitutto una persona entusiasta, che rivela una forte vocazione per tutto ciò che fa, e sente di avere qualcosa di importante da comunicare agli altri. In fondo, è l’unico dei giovani de “L’attimo fuggente” – oltre a Robert Sean Leonard – ad essere rimasto in scena da allora, perché aveva qualcosa da dire. E di cose interessanti ne ha dette tante, nel corso degli anni. La trilogia “Before”, oltre ad essere una vetta del cinema degli ultimi trent’anni, è colma di suggestioni filosofiche decisamente non banali, molte delle quali sono contribuiti dello stesso Hawke alla sceneggiatura, che gli è valsa una candidatura all’Oscar. Fuori dal set, oggi Hawke ha assunto quasi la statura di un filosofo, o quantomeno un libero pensatore, che esprime idee originali e spesso poco ortodosse (come la sua critica alla monogamia), tentando di vivere in accordo con esse. Hawke è inoltre una personalità di artista a tutto tondo: è attore teatrale e cinematografico, regista, sceneggiatore, romanziere, poeta, musicista, e chissà che altro. È diventato un punto di riferimento non solo per chi si occupa di cinema, ed è uno dei pochi attori americani ad avere un’autorevolezza che non è stata intaccata dallo star system hollywoodiano. In Italia, molti lo ricordano come l’idolo delle adolescenti negli anni ‘90, per i suoi ruoli in “Prima dell’alba”, “Giovani, carini e disoccupati” e “Paradiso Perduto”. In una stagione della sua vita, è stato anche questo, ma in altre stagioni è stato altro, e sono convinto che in futuro ne sentiremo ancora parlare, forse più che in passato, come ci hanno dimostrato gli ultimi mesi, prima con il biopic “Tesla” e poi con l’acclamata serie “The Good Lord Bird”.

Ethan Hawke sembra far emergere la sua anima in ogni personaggio. Alla fine, non vediamo in scena solo il suo personaggio, ma lui stesso. Da cosa dipende secondo te?

È davvero un caso singolare in cui vita e arte si perdono l’una nell’altra, in una terra di mezzo dai confini incerti. Questo si può notare sin dal capolavoro di Peter Weir, in cui è difficile distinguere il giovane attore dal personaggio che interpreta. La sovrapposizione tra realtà e fiction emerge ancora di più nella trilogia di Richard Linklater, in cui la distanza temporale tra un episodio e l’altro – ben nove anni – non è frutto di artificiosi trucchi scenici, bensì è determinata dal reale tempo trascorso: l’età anagrafica dei due attori è la stessa dei loro personaggi, visti in diverse stagioni della loro vita. Nel rilevare questa sua costante flagranza scenica sullo schermo, non va dimenticato che Ethan Hawke è un attore di formazione teatrale, debitore del genio shakespeariano e della sua natura meta-teatrale (non a caso, al cinema è stato anche Amleto). Per Hawke, il cinema diventa metafora della sua vita, e i suoi ruoli maschere di sé stesso, tratti amplificati della sua personalità, con una sorta di “sincronicità” tra vita e arte tale per cui la proiezione sul grande schermo è quasi la proiezione inconscia del suo stesso destino, e la fiction si rivela ancora più “vera” della realtà. Sul set di “Gattaca”, Ethan Hawke conobbe Uma Thurman, che nel film si innamora del suo personaggio, e che fuori dal set sarebbe poi diventata la sua prima moglie. In “Before Sunset” interpretava uno scrittore, e anche fuori dal set era già diventato uno scrittore (per di più, dodici anni dopo sarebbe tornato nella stessa libreria del film, la Shakespeare and Company di Parigi, a presentare davvero un suo libro, proprio “Le regole del cavaliere”!). Nel più recente “First Reformed” Hawke indossa i panni di un sacerdote, ma forse non tutti sanno che, da bambino, la sua famiglia lo aveva destinato proprio a quella carriera. In “Juliet, Naked” è un musicista rock, e non a caso ha sempre avuto una grande passione per la musica, oltre ad essere musicista egli stesso.

Ethan Hawke Le Regole Del Cavaliere 7

Anche nei suoi libri sembra emergere la stessa cosa…

Sì, anche nelle sue opere letterarie viene meno il confine tra vita e arte, e l’Hawke-scrittore non può che essere lo stesso Hawke che nella vita è anche attore, con tutte le conseguenze del caso. Come in un film di cui è al tempo stesso regista e interprete, in “Le regole del cavaliere” egli indossa una maschera, interpreta un ruolo interno alla fiction letteraria, quello del “curatore” del libro: infatti, si immagina che l’opera sia stata assemblata da un’antica lettera ritrovata in una cantina di un casolare della famiglia Hawke; l’autore della lettera, protagonista del libro, è Sir Thomas Lemuel Hawke, un antenato dell’autore, ovvero del presunto “curatore”. Dietro questi mascheramenti e stranianti giochi di specchi e contro-specchi, Hawke utilizza l’espediente letterario della lettera per parlare in prima persona con la voce di suo alter-ego, per esprimersi con una saggezza d’altri tempi e, paradossalmente, per rievocare alcune esperienze personali senza fare alcun riferimento personale. In alcune interviste, Hawke ha rivelato che alcuni passaggi del libro sono ispirati alla propria esperienza di vita, in particolare il suo rapporto con River Phoenix nel capitolo V. Eppure, i riferimenti biografici sono velati e insospettabili, trasfigurati dalla fantasia letteraria, e il fatto di conoscerli non aggiunge nulla al piacere della lettura, ma vale soltanto a titolo di curiosità. Più che elementi biografici, in alcune pagine troviamo reminiscenze di film…

Quali?

Tra un capitolo e l’altro si possono quasi intravedere in controluce fotogrammi de “L’attimo fuggente”, della trilogia “Before”, di “Paradiso Perduto” o di “Training Day”. E in definitiva, la tentazione di ricondurre ogni cosa alla biografia dell’artista – come vorrebbero certi facili riduzionismi di scuola freudiana – crolla totalmente di fronte al fatto che la vita di Hawke è inseparabile dai suoi abiti di scena, e sembra essa stessa la trama di un film. Sia nelle sue vesti di attore che nelle sue opere letterarie, egli è riuscito a tradurre la sua esperienza biografica in forme simboliche, persino archetipiche: ciò è vero soprattutto per un libro come “Le regole del cavaliere”, in cui, in aggiunta al suo bagaglio personale, l’autore attinge alla fonte collettiva del pensiero universale, quella dei tanti maestri ricordati a fine libro; e ne distilla perle di saggezza, traghettando la loro lezione nel nostro tempo. In fondo, è proprio questa la grande missione del poeta e dell’artista di ogni tempo: tradurre in forme collettive le proprie esperienze individuali, esprimere in modalità rinnovate le costanti dell’animo umano, e tentare di fornire nuove risposte alle stesse identiche antiche domande.

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Nel 2021 arriverà un suo nuovo libro…

A febbraio uscirà “A Bright Ray of Darkness”, che già preannuncia diversi motivi di interesse, oltre a confermare la sua vena poliedrica e la credibilità del suo percorso letterario. In quest’opera, Hawke tornerà a trattare del suo primo amore: il teatro. Una passione che risale ai tempi de “L’attimo fuggente” e che condivideva con quel Robert Sean Leonard che nel film era Neil, e che poi è rimasto suo amico anche nella vita. Anche in quell’amicizia, e in quella comune passione giovanile, ritroviamo una precoce identificazione tra vita e arte. In conclusione, se volessimo chiederci quale sia l’origine profonda della vocazione di Ethan Hawke, la risposta la troveremmo proprio nell’indissolubile legame tra vita e arte, oltre che tra cinema e letteratura, immortalato in un’indimenticabile sequenza de “L’attimo fuggente”: quella in cui Robin Williams, nei panni del Professor Keating, declamava ai suoi studenti un estratto di “Foglie d’erba” di Walt Whitman. E mentre poneva una domanda finale, lanciando una sfida esistenziale, veniva inquadrato il giovane Ethan Hawke nei panni di Todd Anderson: come se in quel momento quelle parole fossero state rivolte proprio a lui, sia nella finzione che nella realtà, con tutta la dirompente forza del destino. Ethan Hawke ha risposto a quella chiamata sin da quei giorni lontani, ed è la stessa che, ancora oggi, continua ad essere rivolta a tutti noi:

O me, o vita, domande come queste mi perseguitano. Infiniti cortei di infedeli. Città gremite di stolti. Che v’è di buono in tutto questo, o me, o vita? Risposta: che tu sei qui, che la vita esiste, e l’identità; che il potente spettacolo continua, e che tu puoi contribuire con un verso… Quale sarà il tuo verso?

Intervista di Giacomo Aricò

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