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Non Conosci Papicha, l’emancipazione femminile di Mounia Meddour

Vero e proprio inno all’emancipazione femminile, giovedì 27 agosto arriva nelle sale Non Conosci Papicha, il film d’esordio di Mounia Meddour, già rivelazione dell’ultimo Festival di Cannes, è stato un successo a sorpresa in Francia, con oltre 2 milioni di euro di incasso e due premi César. La pellicola, invece, è ancora bandita in Algeria per motivi non chiariti dal governo.

Il film

Nell’Algeria degli anni Novanta, Nedjma (soprannominata “Papicha”, interpretata da Lyna Khoudri) studia francese all’università e sogna di diventare stilista, ma la sua vita è sconvolta da un’ondata di fondamentalismo religioso che precipita il paese nel caos. Determinata a non arrendersi al nuovo regime, Nedjma decide di organizzare con le compagne una sfilata dei suoi abiti, che diventerà il simbolo di un’indomita e drammatica battaglia per la libertà.

Mounia Meddour racconta…

Ho studiato in Algeria in un campus molto simile a quello del film e nella stessa epoca. A metà del cosiddetto “decennio nero” la mia famiglia ha deciso di lasciare il paese, anche perché mio padre, anche lui regista, aveva ricevuto diverse minacce come molti altri intellettuali. Il campus è un microcosmo che ruota attorno a Nedjma e alla sua storia di resistenza, ed è lei che ci accompagna in questo viaggio irto di insidie che svela le diverse facce della società algerina, ma che parla anche di sorellanza, di amicizia e di amore. La passione per la moda di Nedjma (“Papicha”, ossia una giovane ragazza attraente e indipendente) è il simbolo di questa battaglia contro il fondamentalismo islamico, del desiderio di valorizzare il corpo femminile piuttosto che nasconderlo“.

Non conosci Papicha 1

Mi affascinava l’idea che per la sfilata finale Nedjma decidesse di disegnare degli haïk, le vesti bianche tradizionali algerine, molto semplici e economiche, che rappresentano alla perfezione un’idea di purezza e eleganza. È stato importante per me poter girare in Algeria, anche per inserire nel film delle scene dal taglio quasi documentaristico e quella parlata tipica, molto creativa, che unisce arabo e francese e che chiamiamo françarabe. Inoltre, il ricordo del decennio nero è ancora vivo in Algeria e per molte persone le riprese sono state un’occasione per esorcizzare quella stagione, anche solo discutendone e parlandone“.

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