L’omicidio in stanza chiusa è uno dei classici contesti del giallo. Chi è stato, perché l’ha fatto, come è entrato e come ne è uscito. Tutto sulle spalle dell’investigatore, che esamina ogni angolo alla ricerca dell’indizio risolutivo. Ma se una stanza sola offre tante prospettive, chissà un appartamento? Anzi, un intero palazzo? E se al posto di un veterano delle indagini, perché non un dilettante… meglio, facciamo tre. Ecco il mix alla base di Only Murders in the Building, la serie americana di Hulu disponibile su Disney+. Una prima stagione di dieci episodi che attira non solo per il divertente e piacevole giallo in sé, quanto per tutto ciò che lo avvolge.
Il cosa, il quando e il perché
All’interno di uno dei numerosissimi appartamenti dell’Arconia, enorme e lussuoso condominio dell’Upper West Side newyorkese, si consuma l’omicidio di Tim Kono. Di lui si sa poco, e ovviamente chi lo conosce lo detesta. La polizia archivia il delitto come suicidio. Tra gli ultimi ad incontrarlo, in ascensore, tre inquilini – due anziani professionisti dello spettacolo e una misteriosa ragazza – che si scoprono accomunati dalla stessa passione per i podcast di true-crime. I tre non solo non credono alla polizia, ma decidono di indagare in prima persona, aprendo un podcast per documentare le piste che seguiranno. Un percorso costellato di segreti del passato, come ogni giallo che si rispetti. Ogni personaggio ha qualcosa da nascondere, ma non temete: nel corso delle puntate tutti gli elementi si intrecceranno tra loro, rivelando allo spettatore ogni dettaglio. La pazienza verrà premiata dalla verità, dal movente, dal colpevole, tutto raccontato a regola d’arte, tutto esposto in modo chiaro. Ma nell’attesa della soluzione?
Tutto parte da “il chi”
Spesso il cuore dell’avventura sono proprio i compagni di viaggio, e questa regola vale anche per le serie televisive. Qui abbiamo due veterani della commedia come Steve Martin e Martin Short – che molti ricorderanno insieme per la pellicola anni ‘90 Il Padre Della Sposa e il suo sequel. Ma l’elemento che aggiunge un bilanciamento è Selena Gomez, fenomeno dell’allora Disney Channel che qui partecipa ad una produzione più adulta, per un pubblico più maturo – e probabilmente per intercettare invece il suo pubblico millennial. C’è poi spazio per comprimari come Nathan Lane, un piccolo ruolo per la regina della comedy Tina Fey, e un cameo di Sting, nel ruolo di sé stesso… più o meno!
Steve Martin interpreta Charles-Haden Savage, ex-attore celebre per il ruolo di protagonista di un ormai vecchio crime procedural, solo e depresso. Short è Oliver Putnam, eccentrico regista di Broadway pieno di debiti e alla ricerca di un’occasione di riscatto. Gomez è Mabel, introversa restauratrice di un enorme appartamento vuoto dell’Arconia. Lei è la più difficile da inquadrare, ma anche il motore della narrazione – almeno all’inizio. Sempre Gomez farà sentire in più occasioni anche un forte “ok boomer” – la distanza generazionale – all’interno del trio. Noi spettatori siamo subito chiamati in causa: i due attori li conosciamo, anche se forse non essendo più mainstream li abbiamo un po’ dimenticati. Gomez viene da un trascorso di “attrice bambina di programmi per bambini”, per cui non sappiamo bene chi sia o dove l’abbiamo vista. I personaggi come i loro interpreti. L’inizio di qualcosa molto metatestuale.
Il come: tutto molto “meta”
L’elemento “meta” si farà sentire ancora in altri frangenti. I tre protagonisti aprono un podcast per raccontare le indagini – che noi stessi ascoltiamo in ogni episodio – dato che sono appassionati di true crime – come noi spettatori, che seguiamo la serie gialla – e si ispirano al podcast di successo creato dal personaggio di Tina Fey – a sua volta ispirato a un vero podcast che ha spopolato negli USA, Serial di Sarah Koenig. Oltre al mondo del podcast, ormai un media affermato e contemporaneo, c’è anche un tentativo di reinventare il linguaggio TV. Uno degli episodi infatti, The Boy from 6B, viene raccontato dal punto di vista di un personaggio sordo, e nei circa 40 minuti nessuno proferirà parola. Girato in modo perfetto, non annoia e anzi, aggiunge personalità all’intera cornice del noir classico, come anche la sigla iniziale, un’animazione semplice ma cromaticamente perfetta. Certo, tanto spunti e qualcuno solo sfiorato. Ma può comunque bastare per essere giudicato un giallo moderno, sfaccettato e stilisticamente interessante. Il successo che sta riscuotendo, se lo merita tutto.
Un giallo che fa più di un giallo
“Con questo, l’indagine prende tutta un’altra direzione” è la frase ricorrente di Brazos, il detective di finzione per cui il personaggio di Charles è ricordato. In effetti è una dichiarazione d’intenti: cambi di percorso, sospettati che diventano alleati e viceversa, entusiasmo e dilettantismo. Only Murders in the Building non si prende mai sul serio, sembra una parodia di sé stesso, qualcosa di diverso e qualcosa di classico, tutto allo stesso tempo. Ma si rivela invece qualcosa che gioca con il suo ambiente, il suo linguaggio e il suo genere. Non solo personaggi appassionanti, determinati e tutto sommato fragili per le loro paure e i trascorsi – chi è single, chi non ha amici, chi ha perso la fiducia in sé stesso. Una serie che parte come puro mystery, ma diventa presto una narrazione a tutto tondo, in cui soprattutto dialogano le nostre generazioni. Vecchi e giovani, deboli e forte. Chi ha perso qualcosa o qualcuno, e vuole disperatamente un occasione per rimediare o recuperare. Che abbia vent’anni oppure settanta. Insomma, che siano boomer o millennial.
Enrico Banfo