Sophia Loren

Sophia Loren e le altre: la vestaglietta nel cinema neorealista

Sophia Loren indossa una vestaglia per ritirare 60 anni fa l’Oscar come Migliore Attrice Protagonista. È il 9 aprile 1962 e la 26enne attrice italiana ha “paura di svenire sul palco” per l’improbabile vittoria, eppure Cary Grant la chiama alle prime ore del mattino per dirle “You won”. Con La Ciociara di Vittorio De Sica (1960, dal romanzo di Alberto Moravia) Sophia sarà consacrata nell’Olimpo del cinema internazionale e l’Italia godrà del plauso della critica, cambiando radicalmente l’immagine femminile del grande schermo. La giovane attrice non riceve l’Oscar con un abito d’Alta Moda confezionato su misura ma, come abbiamo detto, con una vestaglia: subito diventa un’immagine verace, genuina e vera, ben lontana dal glamour hollywoodiano oltreoceano. Nessun artefatto o idea asettica, ma una donna italiana in abiti semplici (una vestaglia) legata a doppio filo a Cesira de La Ciociara in un capo popolare (la vestaglietta).

Sophia Loren ne "La Ciociara"

Sophia Loren ne “La Ciociara”

La simbologia della vestaglietta nel cinema italiano

Se guardiamo al cinema italiano post bellico, l’immagine femminile è profondamente legata a questo indumento umile e popolare: inevitabilmente i costumi dei set neorealisti hanno contribuito a creare personaggi indelebili che, nel caso della donna, coincidono con la vestaglietta. Nelle aree periferiche o rurali di un’Italia post bellica, il grembiule diventa abito in ogni regione, adottato come abbigliamento tradizionale da lavoro, in casa o nei campi. La scelta estetica è forte, coincide con una classe lasciata ai margini della società. Non solo: nell’evoluzione di stile e della cinematografia, la stessa vestaglietta viene investita da una poetica erotica, dove il semplice abito ha un richiamo tanto seduttivo quanto malizioso. Vestagliette che si annodano e si slacciano, vestagliette che lasciano intravedere il seno o le gambe, vestagliette che mostrano la sottoveste o il reggicalze. Ed è qui che è fondamentale il linguaggio del corpo così come il contesto: da una parte troviamo la veridicità storica di un capo popolare utilizzato in modo capillare, dall’altra la volontà di registri, produttori e scenografi di rendere sensuale l’immagine della donna italiana popolana.

Clara Calamai in "Ossessione"

Clara Calamai in “Ossessione”

Le attrici italiane e la vestaglietta

Luchino Visconti nel 1942 vuole raccontare il sottoproletariato della valle padana con Ossessione: la protagonista, Clara Calamai, rimarrà impressa per un gesto tanto intimo quanto sensuale, quello di slacciare una semplice vestaglietta e di lasciarsela scivolare lungo il corpo. Non si vede molto ma la sequenza è carica di erotismo nella sua naturale gestualità.

Silvana Mangano in "Riso Amaro"

Silvana Mangano in “Riso Amaro”

Silvana Mangano in Riso Amaro (1949) di Giuseppe de Santis – film manifesto del neoralismo italiano – indossa gli abiti da mondina (una maglietta a maniche lunghe, dei pantaloncini cortissimi e un paio di gambaletti alti fino alle ginocchia) ma anche una vestaglietta: in entrambi i casi il richiamo erotico è visibile e sensibile. In Pane, Amore e Fantasia (1953) Gina Lollobrigida, nel ruolo della bersagliera, indossa un abito che è chiaramente ispirato alla vestaglietta popolare italiana: si costruisce così un’iconografia italiana della femme fatale meno sofisticata e più dirompente.

Gina Lollobrigida in "Pane, Amore e Fantasia"

Gina Lollobrigida in “Pane, Amore e Fantasia”

Infine Sophia Loren in La Ciociara: il suo personaggio, Cesira, incarna la donna che ha subito – anche sul corpo – la tragedia della guerra e nel film indossa una leggera vestaglietta a fantasia, chiusa con dei bottoni, nonché sgualcita dal tempo. Questa è l’immagine popolare e potente che saprà conquistare il cuore del cinema internazionale, diventando il simbolo del glamour italiano.

Selene Oliva

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