Un Altro Mondo 0

Un Altro Mondo, Vincent Lindon naufraga tra vita e lavoro nel film di Stéphane Brizé

Vincent Lindon, affiancato da Sandrine Kimberlain, è il grande protagonista di Un Altro Mondo, il film diretto da Stéphane Brizé che dopo essere stato presentato in Concorso alla 78. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, uscirà nelle sale italiane il 1 aprile. Il film è già stato ribattezzato dalla critica mondiale il terzo capitolo della “la trilogia sul lavoro di Brizé” dopo La Legge Del Mercato (2015) e In Guerra (2018), che entrambi avevano sempre come protagonista Lindon.

Il film

Un dirigente d’azienda, sua moglie, la sua famiglia, nel momento in cui le scelte professionali dell’uomo sono sul punto di stravolgere la vita di tutti. Philippe Lemesle (Vincent Lindon) e la moglie (Sandrine Kiberlain) si stanno per separare, il loro amore irrimediabilmente logorato dalle pressioni del lavoro. Dirigente di un grande gruppo industriale, l’uomo non sa più come soddisfare le richieste incoerenti dei suoi superiori: ieri volevano che fosse un manager, oggi vogliono un esecutore. Per Philippe è dunque arrivato il momento in cui deve decidere cosa fare della sua vita.

Stéphane Brizé

Per addentrarci nelle tematiche del film, vi proponiamo qui sotto un estratto dell’intervista rilasciata dal regista Stéphane Brizé.

Cosa ti ha spinto a raccontare la storia di questo dirigente?

Il film descrive la perdita di significato della vita di un dirigente di azienda che, nello stesso periodo in cui il suo matrimonio sta affondando, fatica sempre più a trovare coerenza in un sistema che serve da anni. Un sistema nel quale è divenuto estremamente complicato per lui eseguire gli ordini che riceve dall’alto. Molti dirigenti hanno raccontato a me e a Olivier Gorce, il mio co-sceneggiatore, della loro vita personale e professionale a cui sono sempre meno in grado di dare un senso perché non viene più chiesto loro di pensare ma semplicemente di eseguire. Abbiamo voluto dare conto delle conseguenze dell’operato di coloro che sono considerati il braccio armato delle società in cui operano mentre, in realtà, non sono che individui presi tra l’incudine e il martello.

© Jean-Claude Lother - Nord-Ouest Films

© Jean-Claude Lother – Nord-Ouest Films

Il film è stato ovviamente concepito prima della crisi del Coronavirus. Ma è in perfetta risonanza anche con il momento attuale, nel mostrare un sistema essenzialmente incoerente che si esaurisce.

Nessuno avrebbe potuto immaginare l’inusitata crisi sanitaria che stiamo attraversando oggi. Ma se può essere vista come una fonte di caos quasi senza precedenti, può anche essere letta come un’opportunità per metterci in discussione. Trasformare il limite in vantaggio per non restare solamente i perdenti della Storia. È come quando i nostri corpi o la nostra psiche collassano per costringere la macchina a fermarsi, indicando che abbiamo dimenticato di mettere in discussione qualcosa di essenziale ma intangibile, un punto cieco nella nostra vita. È una metafora su scala individuale del nostro caos mondiale; i profondi sconvolgimenti vissuti dal protagonista lo costringeranno a mettere in discussione le sue azioni, le sue responsabilità e il suo posto all’interno dell’azienda e della sua famiglia.

Come hai costruito la storia?

Ovviamente, non considero l’azienda, così come la famiglia, un luogo di sole nevrosi, tensioni e violenza. Ma ci sono storie di treni che arrivano in ritardo e un film, un libro o un’opera teatrale possono aprire una finestra sulle zone disfunzionali. E sono le ragioni del fallimento quelle che devono essere osservate. Tutti i manager che abbiamo incontrato con Olivier Gorce sono stati allontanati dalle loro funzioni, in un modo o nell’altro, anche se per molti anni hanno seguito le direttive del sistema senza fare domande. Hanno lavorato nell’ingegneria industriale o negli stabilimenti metalmeccanici, nelle banche, nel settore della salute, della pubblicità, delle assicurazioni o dei cosmetici. Tutti dotati di enormi competenze intellettuali o gestionali. Tutti al servizio di multinazionali e società quotate in borsa. Ci hanno parlato del loro disagio, della sensazione dolorosa e insopportabile di essere semplicemente diventati la cinghia di trasmissione di un sistema aggressivo e pieno di disposizioni contraddittorie. Ci hanno parlato della loro ansia da prestazione, del timore di non essere all’altezza delle aspettative altrui. Non sono nati carnefici ma hanno avuto la sensazione che la perdita della loro vita personale e professionale li stesse gradualmente trasformando in carnefici. Alcuni hanno vissuto un completo esaurimento, altri erano a disagio nel rapporto con i loro superiori e sono stati messi da parte, e alcuni se ne sono andati prima di crollare. Tutti ci hanno parlato dell’inevitabile impatto avuto sulle loro famiglie. Philippe Lemesle è uno di loro, un individuo pieno di buona volontà; ormai con l’acqua alla gola arriva finalmente a chiedersi cosa sia lecito sacrificare della vita personale per il lavoro.

© Jean-Claude Lother - Nord-Ouest Films

© Jean-Claude Lother – Nord-Ouest Films

E, con questa storia, siamo dentro la vita tragicamente ordinaria di uno di questi dirigenti?

Philippe Lemesle, il protagonista, occupa una posizione vincente nella nostra moderna civiltà, la posizione della meritocrazia, la posizione che di prassi chiamiamo “grande successo”. Come puoi dire di provare sofferenza quando ti trovi lì? Come puoi dire di soffrire quando fai parte dell’élite sociale? Lamentarsi sarebbe riprovevole agli occhi di chi sta più in basso, e sembrerebbe anche un segno di debolezza inaccettabile agli occhi dei propri pari, e ai propri stessi occhi. Quando, nel mondo, occupi una tale posizione, non puoi e non devi essere fragile. È vietato, pena la retrocessione e la sostituzione con qualcuno più giovane e dinamico, o qualcuno che non ha intenzione di discutere ciò che gli viene detto di fare. Un luogo di enorme solitudine dove forse non hai più scelta. Viene anche affrontata la questione della libertà personale.

In che modo Philippe Lemesle, il personaggio interpretato da Vincent Lindon, riesce a sottomettersi a un sistema di cui comprende appieno l’incoerenza?

Non capisce subito l’incoerenza del sistema. In ogni caso non è in grado di fornire a se stesso una spiegazione coerente. Vive quindi una situazione in un luogo della sua vita – il lavoro – che ha conseguenze su un altro luogo – la famiglia. All’inizio del film, è assolutamente impossibile per lui sentirsi dire e ammettere a se stesso che l’obbligo di ridimensionamento del Gruppo Elstonn impostogli sarà molto difficile, se non impossibile, da attuare. All’inizio, è solo in grado di fare ciò che gli viene chiesto di fare. Non per ideologia, non per attitudine alla brutalità, ma perché ha integrato il grande concetto del mondo aziendale secondo cui il problema non è il sistema di per sé, ma la
difficoltà per i suoi membri di adattarsi ad esso. Ma il suo stabilimento, così come la maggior parte di quelli in Francia e in tutta Europa, è ora a un punto di rottura. Fare di più con meno sta diventando impossibile. I dipendenti – dirigenti e operai – hanno raggiunto i loro limiti. Philippe deve accettare di non essere lui il problema prima di poter affrontare la gerarchia. Deve intraprendere una Rivoluzione Copernicana se non vuole perdere tutto: la sua famiglia, la sua salute mentale e fisica.

© 2020 - Nord-Ouest Films – France 3 Cinéma

© 2020 – Nord-Ouest Films – France 3 Cinéma

Questo “altro mondo”, che suggerisce il titolo, è il mondo che il protagonista sta perdendo o il mondo in cui sta per precipitare?

Entrambi. Il personaggio si sta allontanando inesorabilmente da un mondo in cui il suo posto e le sue azioni avevano un senso, e si sta muovendo verso un mondo in cui l’etica che lo struttura a un livello profondo sta scomparendo. Sia personalmente che professionalmente. Questo “altro mondo” rappresenta la scelta che il personaggio di Vincent Lindon e, contemporaneamente, quello di Sandrine Kiberlain si trovano a dover affrontare: la questione di cosa siamo disposti a fare personalmente e professionalmente per essere nel posto che sentiamo più intimamente giusto per noi. Dopo oltre un anno di pandemia globale, il titolo è ancor più in risonanza, quasi ironicamente, con il “mondo
nuovo” di cui tanto si parlava, invocandolo senza dubbi, fino a qualche mese fa… Quel “mondo nuovo” che dovrà essere costruito sulle domande evocate da questa crisi imprevista. 

Per Philippe Lemesle, una delle conseguenze è il divorzio. Ma anche se sua moglie Anne lo abbandona, continua comunque ad amarlo.

Sì, perché quando lascia l’uomo con cui conviveva da più di 25 anni, non è perché tra loro non ci sia più amore, ma perché deve salvare la propria pelle. Si rende conto che la sua vita quotidiana ha perso ogni coerenza, quindi corre il rischio e se ne va. L’idea del coraggio in ambito professionale torna più volte nel film. Ma il vero coraggio è mostrato da Anne. Perché se ne va, anche se ha paura per il suo futuro. Se ne va perché la coppia è diventata luogo di rinuncia e di dolore. Lei, che ha sacrificato parte della sua ambizione professionale affinché il marito avesse successo nella sua carriera, si sente ingannata. Il tacito accordo che aveva con Philippe, il compromesso, non ha più senso, e lei ha il
coraggio di rinunciare a uno stile di vita agiato che molte persone non vorrebbero mai mettere in discussione. Il modo sorprendentemente sottile con cui Sandrine Kiberlain rivela le contraddizioni interiori di Anne è semplicemente mozzafiato, devastante.

© 2020 - Nord-Ouest Films – France 3 Cinéma

© 2020 – Nord-Ouest Films – France 3 Cinéma

La vita personale del personaggio occupa qui un posto più ampio, molto più che nei tuoi film precedenti.

Non sono un accademico. Quello che mi interessa sono le donne e gli uomini e le conseguenze sulla loro vita personale delle loro scelte professionali. In questo film, gli individui – i dirigenti – devono prendere decisioni che inevitabilmente portano le altre persone a soffrire. Pezzo dopo pezzo, viene loro chiesto di rinunciare a parte della propria umanità. E non puoi tirare impunemente quel filo senza il rischio che si spezzi. Non avviene tutto senza ansia, angoscia, tumulto interiore. È quello che portano a casa questi dirigenti e, a poco a poco, ciò che per anni è stato equilibrato diventa sbilanciato e improvvisamente, tutto l’edificio crolla.

Il personaggio di Vincent Lindon si confronta più volte con la questione del coraggio. È un concetto importante nel mondo aziendale?

È un concetto fondamentale. Con Oliver Gorce abbiamo incontrato Christophe Dejours, psicoanalista esperto di salute e lavoro, dopo aver letto alcune delle sue pubblicazioni, in particolare Souff rance en France. È un libro in cui riprende il concetto di banalità del male sviluppato da Hannah Arendt, il modo in cui i cosiddetti individui normali possono gradualmente diventare carnefi ci. Come possono certi soggetti che potrebbero essere descritti come “persone perbene” accettare, senza protestare, vincoli sempre più severi che rischiano di mettere in pericolo la propria integrità mentale, fi sica e morale, nonché quella degli altri? Il coraggio viene poi off erto come fattore di integrazione e rispettabilità all’interno del gruppo. Il coraggio di fare ciò che in fondo ci ripugna per non essere individuati, o peggio, respinti dal sistema.

 ©2020 Nord Ouest Films France 3 Cinéma Michael Crotto

©2020 Nord Ouest Films France 3 Cinéma Michael Crotto

Allora, per te, dove risiede il coraggio?

Non sta a me dare una risposta certa. La situazione nel fi lm mette in discussione un uomo in un momento della sua vita in cui verità che sembravano immutabili crollano una dopo l’altra. Lo costringe a mettere in discussione le proprie paure, che deve accettare di aff rontare per rompere con ciò che lo ferisce. Abbandonare ogni idea della propria umanità o fuggire dal luogo della costrizione e della sofferenza, rinunciando contemporaneamente allo status sociale e all’idea della propria forza? Sono queste le domande intorno alle quali è stata costruita la storia e alle quali questo personaggio fornirà le sue risposte.

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