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My Italian Secret – Gli Eroi Dimenticati, il documentario di Oren Jacoby apre il Festival Internazionale del Film di Roma

Inizia oggi il 9° Festival Internazionale del Film di Roma e questa sera, come Evento Speciale, verrà proiettato il documentario My Italian Secret – Gli Eroi Dimenticati, diretto da Oren Jacoby e con le testimonianze di Andrea Bartali, Riccardo Pacifici, Pietro Borromeo, Gaia Servadio, Charlotte Hauptman, Piero Terracina, Ursula Korn Selig, Ugo Sciamanno, Mercedes Virgili, Grazia Viterbi, Giorgio Goldenberg, Wanda Lattes, Suor Benedetta. La voce narrante è di Isabella Rossellini.

"My Italian Secret"

“My Italian Secret”

Il docufilm, proiettato nella data di cui si commemora il 71° anniversario del rastrellamento del Ghetto di Roma, racconta la storia del ciclista Gino Bartali, del medico Giovanni Borromeo e di tanti altri italiani che lavorarono segretamente per salvare gli ebrei e fuggiaschi dai nazisti durante la Seconda Guerra Mondiale. Bartali, il vincitore del Tour de France del 1938, fece centinaia di viaggi trasportando documenti falsi nella sua bicicletta.

Il dottor Borromeo inventò una malattia inesistente per spaventare le SS e tenerle lontane dall’ospedale sull’Isola Tiberina in cui nascondeva gli ebrei. My Italian Secret segue il ritorno in Italia deli sopravvissuti che raccontano le loro storie e ringraziano le persone che offrirono la loro vita per salvare degli sconosciuti.

Gino Bartali

Gino Bartali

Un progetto nato a New York, nel locale in cui il barbiere Salvatore Macri taglia i capelli a Oren Jacoby da oltre vent’anni. Casualmente Jacoby un giorno incontrò Joseph Perella, un finanziatore a caccia di un regista. Perella sognava di fare un film basato su un articolo di Dorothy Rabinowitz pubblicato sul Wall Street nel 1993. L’articolo, intitolato An Army of Schindlers From Italy, rivelava il fatto poco noto secondo il quale mentre l’80% degli ebrei europei era stato ucciso nel genocidio nazista durante la Seconda Guerra Mondiale, l’80% degli ebrei italiani era sopravvissuto grazie agli eroici e ingegnosi sotterfugi di cittadini comuni.

All’epoca sapevo già qualcosa su come fare un film in Italia – racconta Jacoby – e conoscevo la terribile storia degli 8000 ebrei italiani che morirono nell’Olocausto”. Del resto la parte centrale di un altro film del regista, Constantine Sword, era stata girata a Roma e raccontava anche la storia di un uomo, Piero Terracina, che sopravvisse ad Auschwitz mentre tutta la sua famiglia era stata sterminata.

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In realtà il primo contatto con questa storia avvenne molti anni prima che Jacoby girasse il film: “avevo 19 anni e quell’anno passai l’estate a Roma per frequentare un corso di regia. Come giovani aspiranti registi, ci fu assegnato il compito di ‘osservare’ alcuni grandi registi italiani mentre erano a lavoro sul set. Tra questi vidi in azione Federico Fellini sul set di Casanova, Lina Wertmuller sul set di Pasqualino Settebellezze e Pier Paolo Pasolini durante il doppiaggio di Salò. Inoltre, molti padri fondatori del neorealismo, tra cui Alberto Lattuada e Giuseppe De Santis, vennero a mostrarci i loro film entrando così in contatto con noi giovani registi. Naturalmente quell’estate m’innamorai dell’Italia, del cinema italiano e soprattutto di Roma”.

Italian Partisans

Poi successe che un giorno, Marian Marzynski, un regista polacco che teneva il corso di cinema, portò Jacoby a pranzo in un bar del Ghetto di Roma, a pochi metri dal monumento che commemorava il rastrellamento degli ebrei romani nel 1943. “Marian mi raccontò di come lui sopravvisse nel ghetto di Varsavia da bambino, di come si nascose, protetto all’inizio dal silenzio della gente del popolo e poi dai preti che lo nascosero in un monastero. Tutti rischiarono la loro vita per aiutarlo a scappare”.

“Rischieresti la tua vita per salvare uno sconosciuto?”


Riportiamo di seguito un estratto di Maurizio Caprara, il Consigliere del Presidente della Repubblica per la stampa e la comunicazione:

Considero saggia l’idea di presentare il film-documentario nella giornata del 16 ottobre, data che ci ricorda la ferita ai valori umani e di civiltà inferta dalla deportazione di ebrei romani nel 1943. Non far dimenticare quella stagione di orrori è indispensabile. Far conoscere con racconti di protagonisti alcune delle coraggiose solidarietà verso le vittime delle persecuzioni naziste è un contributo utile alla consapevolezza della nostra società, e in particolare dei giovani, su quanto avvenne. Una consapevolezza di continuare a coltivare. 

Con pari attenzione il documentario ricostruisce sia i meriti di un italiano famoso, Gino Bartali, sia quelli di altre donne e uomini privi di notorietà, tra le quali suore e sacerdoti, che mettendo a rischio le incolumità proprie permisero di salvare vite di concittadini di religione ebraica e di ebrei in fuga da varie parti d’Europa. I riflettori, in questo caso, portano la luce su un aspetto positivo di una storia tenebrosa. Il cui valore, infatti, risalta ascoltando ciò che, dopo aver perduto ad Auschwitz i familiari con i quali era stato deportato, afferma Piero Terracina sulle leggi razziste volute dal regime fascista e sull’indifferenza di tanti: “Ci hanno portato sull’orlo dell’abisso dove poi le SS ci hanno fatto precipitare“.

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