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Mustang, l’esordio indimenticabile di Deniz Gamze Ergüven

Presentato alla XII edizione di Alice nella Città alla Festa del Cinema di Roma, è da oggi al cinema Mustang il notevole lungometraggio d’esordio di Deniz Gamze Ergüven che, dopo essere passato con successo alla Quinzaine des Réalisateurs a Cannes, è il candidato della Francia proposto per le nomination dei prossimi premi Oscar.

Siamo all’inizio dell’estate. In un remoto villaggio turco Lale e le sue quattro sorelle scatenano uno scandalo dalle conseguenze inattese per essersi messe a giocare con dei ragazzini tornando da scuola. La casa in cui vivono con la famiglia si trasforma un po’ alla volta in una prigione, i corsi di economia domestica prendono il posto della scuola e per loro cominciano ad essere combinati i matrimoni. Le cinque sorelle, animate dallo stesso desiderio di libertà, si sottrarranno alle costrizioni loro imposte.

Lasciamo ora spazio ad un estratto dell’intervista rilasciata dalla regista turca Deniz Gamze Ergüven.

Lei è nata ad Ankara ma ha vissuto soprattutto in Francia. Perché ha deciso di girare in Turchia il suo primo film?

La maggior parte dei miei parenti vive ancora in Turchia e ho passato la mia vita a fare avanti e indietro tra i due paesi. Le storie che si svolgono in Turchia m’interessano particolarmente perché è una regione in piena effervescenza, in cui tutto è in movimento. Da un po’ di tempo il Paese ha compiuto una svolta più conservatrice ma si percepisce la presenza di una forza, di un’energia particolare. Si hala sensazione di essere al centro di qualcosa, che tutto può ingarbugliarsi in qualsiasi momento e prendere una direzione qualunque. E’ anche un incredibile serbatoio di storie.

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Proprio come il cortometraggio che ha girato per il diploma, Mustang racconta di un’emancipazione. Da dove nasce questa storia?

Volevo raccontare com’è essere una ragazza, una donna, nella Turchia di oggi. Un paese in cui la condizione femminile è sempre più al centro del dibattito pubblico. Certamente la possibilità di avere uno sguardo distaccato, grazie ai miei prevalenti soggiorni in Francia, ha avuto grande importanza. Ogni volta che torno là, avverto una specie di senso di costrizione che mi sorprende. Tutto ciò che riguarda la femminilità è costantemente ricondotto alla sessualità. E’ come se qualsiasi gesto compiuto da una donna, o anche da una ragazzina, contenesse una carica sessuale. Pensiamo per esempio a questa storia dei direttori di alcune scuole che hanno deciso di vietare alle ragazze e ai ragazzi di salire in classe usando le stesse scale. Arrivano al punto di far costruire delle scale separate. Questo finisce coll’attribuire una grande carica erotica ai gesti più semplici. Salire le scale diventa una cosa complicatissima… In questo c’è tutta l’assurdità di questa specie di conservatorismo: tutto assume un significato sessuale. Si finisce col parlare di sesso continuamente. E si assiste all’emergere di un’idea di società che identifica le donne con delle macchine per fare figli, domestiche relegate in casa. Siamo una delle prime nazioni al mondo ad aver ottenuto il diritto al voto per le donne negli anni ’30 e oggi ci ritroviamo a difendere diritti elementari come l’aborto. E’ una cosa triste.

Come mai questo titolo dal suono anglo-sassone, Mustang?

I mustang sono cavalli selvaggi che simboleggiano perfettamente le mie cinque eroine, il loro temperamento indomabile, focoso. E, perfino visivamente, le loro capigliature ricordano delle criniere, il loro scorrazzare nel villaggio ricorda quello di un branco di mustang… E la storia procede velocemente, qualche volta a tamburo battente. Per me il centro del film è proprio questa energia, che somiglia a quella dei mustang del titolo.

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Cosa c’è di personale nel film?

Il piccolo scandalo scatenato dalle ragazze salendo sulle spalle dei ragazzi, prima di farsi violentemente rimproverare all’inizio del film, mi è successo davvero quand’ero adolescente. Salvo che la mia reazione all’epoca non è stata quella di rispondere ai rimproveri. La prima cosa che ho fatto è stato abbassare lo sguardo della vergogna. Mi ci sono voluti anni per cominciare almeno ad indignarmi un po’. Volevo che i miei personaggi fossero delle eroine. E bisognava assolutamente che il loro coraggio venisse ricompensato, che alla fine vincessero, e nel modo più gioioso possibile. Per me queste cinque ragazze sono come un mostro a cinque teste che rischia di perdere una parte di sé ogni volta che una di loro viene estromessa dalla storia. Ma l’ultimo pezzo resiste e riesce a cavarsela. E’ proprio perché le sorelle maggiori sono cadute in trappola che Lale, la più piccola, rifiuta di fare la stessa fine. E’ un concentrato di tutto quello che sogno di essere.

Lei sembra voler affermare che la cosa più importante è l’istruzione..

La descolarizzazione delle ragazze e la reazione che questo suscita a casa loro ha, senza averne l’aria, un impatto determinante sulla storia. Ma a me non piace trattare certi argomenti come farebbe una militante. I film non sono discorsi politici. Romain Gary diceva di non voler partecipare alle manifestazioni perché aveva scaffali interi di libri che lo facevano al posto suo. Peraltro il film esprime le cose in un modo molto più intelligente ed efficace di quanto non potrei fare io. In effetti pensavo ad una storia con motivi mitologici, come quello del Minotauro, del labirinto, dell’Idra di Lerna –il corpo a cinque teste che sono le ragazze-e del ballo, sostituito da una partita di calcio alla quale le ragazze sognano di poter assistere.

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Una famiglia con cinque adolescenti che suscitano il desiderio dei ragazzi dei dintorni e che si cerca di tenere sotto una campana di vetro. Fa venire in mente le Vergini Suicide di Sofia Coppola. Quali sono stati i suoi punti di riferimento cinematografici?

Ho visto Il Giardino delle Vergini Suicide quando è uscito in sala, e ho letto il libro di Jeffrey Eugenides. Ma Mustang non si ispira a quello. Non più di quanto non abbia punti di contatto con Rocco e i Suoi Fratelli. Tra le cose che curiosamente mi hanno ispirato ci sono invece «alò o le 120 Giornate di Sodoma per quella sorta di distanza che assume Pasolini nell’evocare attraverso una storia sordida una società alle prese col fascismo. Questo sfasamento tra forma e contenuto era ciò che cercavo. Mi ricordo che mi è successo spesso di far andare il dvd mentre scrivevo la mia sceneggiatura. Ho anche visto molti film che parlano di evasioni, come Un Condannato a Morte è Fuggito, o Fuga da Alcatraz. Infatti, anche se la mia storia si svolge nell’ambiente domestico e familiare di una casa, il registro drammaturgico è quello di un prison movie. Ogni giorno prima delle riprese facevo vedere un dvd alle attrici: Monica e il Desiderio» di Bergman, Fish Tank, Germania Anno Zero, L’Enfant dei fratelli Dardenne, molte cose diverse, ogni volta per una ragione precisa… Avevo previsto anche delle visioni su misura per ciascun personaggio. Per esempio Ilayda Akdogan che interpreta Sonay, la maggiore, ha visto anche Cuore Selvaggio di Lynch e molti film con Marilyn Monroe, per la contraddizione tra innocenza e sensualità estrema che sprigiona dal personaggio.

La scelta del villaggio sperduto di Inébolu a 600km a nord di Istanbul, sulla costa del Mar Nero, non è casuale. Contribuisce a creare quell’atmosfera di oppressione avvertita dallo spettatore…

Sì, la sensazione di trovarsi in capo al mondo è resa più forte dal contesto. All’inizio si è trattato di una scelta estetica, con paesaggi che sembrano usciti dritti da una favola, la strada che si snoda lungo il mare e le sue foreste un po’ inquietanti. Quella regione è di difficile accesso. Qualche mese prima della prima volta che ci sono andata non c’era neanche l’aeroporto. E nessun film è mai stato girato da quelle parti. Avevo davvero la netta sensazione di trovarmi sotto una campana di vetro. Nei villaggi più remoti, non solo le notizie arrivano solo attraverso i canali ufficiali, ma in più, in ogni casa, ci sono dei sacchi di carbone, dono di quello che un tempo era il Primo Ministro e oggi è il Presidente. La gente ha un rapporto intimo, quasi familiare, con il potere che letteralmente gli suggerisce all’orecchio cosa fare, attraverso i media. E’ raro che da qualche parte manchi una televisione accesa che trasmette i discorsi dei potenti del paese. Dal momento in cui abbiamo cominciato le riprese, è stato aperto un aeroporto a90 km dal posto dove ci trovavamo noi, con un volo al giorno. Ho avuto la sensazione di aver aperto una breccia dalla quale è cominciata ad entrare un po’ di aria fresca.

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Grazie al fatto di essere stato selezionato alla Quinzaine des Réalisateurs, Mustang avrà una visibilità mondiale. Che reazioni spera di suscitare?

E’ stato un onore presentare il film a Cannes. Quando ho fatto leggere la sceneggiatura ad alcuni uomini in Turchia, ho assistito qualche volta a reazioni molto vivaci perché il mio sguardo femminile sulla loro società era per loro una novità. Immagino che sarà tanto esotico per loro quanto per le persone che vivono dall’altra parte del mondo. Sono molto curiosa di capire che reazioni ci saranno… Mi piacerebbe che il film fosse condiviso, che facesse riflettere, che aprisse degli spiragli in Turchia e altrove. L’importante per me è creare un sentimento di empatia verso queste ragazze. Che alla fine sia data a loro la parola, e che vengano ascoltate.

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