Teoria Svedese 0

Solitari e infelici: Erik Gandini espone La Teoria Svedese dell’Amore

Arriva domani al cinema La Teoria Svedese dell’Amore, il nuovo documentario firmato da Erik Gandini (l’autore di Videocracy). Arricchito dal contributo del sociologo Zygmunt Bauman, il film è un viaggio nei buchi neri della società che ha creato gli individui più indipendenti al mondo e una riflessione sullo svuotamento delle relazioni con l’affermazione della “società degli individui” nel mondo occidentale.


La Svezia, società organizzata per antonomasia, garantisce ai suoi cittadini la realizzazione totale della propria indipendenza, grazie ad un sistema pianificato a tavolino dalla politica negli anni Settanta. È così che si riducono al minimo contatti e interazioni: metà della popolazione vive sola, sempre più donne diventano madri single con l’inseminazione artificiale, il numero delle persone che muoiono in solitudine è in continuo aumento. Solitari donatori della banca del seme, aree residenziali deserte e morti dimenticati aprono interrogativi inquietanti sulla società più indipendente del mondo, in cui una delle poche attività condivise sembra essere quella della ricerca delle persone scomparse.

Perché una vita sicura e protetta può rivelarsi tanto insoddisfacente? Alcuni svedesi cercano di resistere: gruppi di giovani si ritirano a vivere nella foresta per vivere emozioni e contatto fisico; un medico di successo si trasferisce in Etiopia dove ritrova il senso della comunità nonostante le condizioni sanitarie disastrate. Il sociologo anticonformista Zygmunt Bauman racconta perché una vita priva di problemi non è necessariamente una vita felice.

Zygmunt Bauman

Zygmunt Bauman

Quella che vi proponiamo di seguito è l’intervista sul film rilasciata da Erik Gandini.

Dopo Videocracy, con La Teoria Svedese dell’Amore torni all’indagine della realtà, in particolare della società svedese di oggi. Come è nata l’idea di questo film?

Sentendomi sia svedese che italiano mi ha sempre interessato vedere le cose da una prospettiva “esterna”, quasi a livello sociologico. Ogni società si auto-crea delle regole che viste da fuori possono essere molto interessanti. L’importanza fondamentale che ha l’autonomia e il valore che le viene dato dagli svedesi, per esempio, mi ha sempre affascinato. La Svezia è unica: sin dagli anni ’70 del secolo scorso ha cercato di creare un paese dove l’individuo è libero. L’anziano non deve dipendere dai figli, il giovane si libera presto dalla dipendenza dai genitori, la donna non deve mai dipendere dall’uomo e viceversa. Il progetto politico per cui si è affermata questa visione della vita all’epoca della sua nascita aveva senso: c’erano i mezzi economici per realizzarlo e l’idea di base era corretta. Il welfare state nato in Gran Bretagna probabilmente ha trovato in Svezia la sua applicazione migliore. L’affermazione dell’individuo rappresenta un’idea moderna, però crea anche qualche problema. Il lato negativo del “sistema svedese” è che produce una perdita di appartenenza e della vita di gruppo, della comunità. E genera anche un forte senso di solitudine. Lo stesso sistema si sta diffondendo anche in Italia, dove però la debolezza dello Stato rende ancora la famiglia il primo garante economico.

La “teoria dell’indipendenza” svedese nasce da un preciso progetto politico negli anni Settanta. Oggi la politica si interroga e agisce in qualche modo sul tema della solitudine “sociale”?

La teoria dell’indipendenza e il mito dell’autosufficienza sono molto radicati nella cultura svedese. Sono espressi nella loro essenza nella “Teoria Svedese dell’amore”, coniata dagli storici Lars Trägårdh e Henrik Berggren per definire ciò che più caratterizza la cultura scandinava quando si tratta di relazioni umane. Sostanzialmente sostiene che l’amore autentico può esistere solo tra due persone che siano indipendenti l’una dall’altra, che non stiano insieme per fini materiali o per dipendenza economica, come invece succede spesso in società meno eque. L’idea da un punto di vista economico non fa una piega, anzi,  ma nella sua estensione esistenziale può trasformarsi in un’ossessione all’autosufficienza. In una diffusa e radicata convinzione che le relazioni umane debbano in primo luogo basarsi sull’essere liberi gli uni dagli altri. Il rischio è evidente in Svezia come in molti paesi occidentali: la dilagante solitudine che, ad esempio, ha portato l’intellettuale inglese George Monbiot a definire la nostra epoca “L’era della solitudine”. La società perfetta non esiste. La mia unica idea di società perfetta è la società che non crede mai di esserlo, quella che si mette costantemente in discussione, anche nelle idee più fondamentali su cui si basa.

Teoria Svedese 2

Che senso che può avere una riflessione come quella che tu proponi per il pubblico di altri paesi, primo fra tutti quello italiano, visto che il modello di “società degli individui” poco alla volta sembra faccia presa anche nelle società ancora familistiche come la nostra?

Il progetto di welfare state degli anni Settanta ha preso piede in molti paesi europei, anche se in Svezia è stato realizzato in modo più efficiente. Il manifesto socialdemocratico “La famiglia del futuro”, che fa parte della premessa del film, non aveva come obbiettivo la distruzione della famiglia ma al contrario quello di creare presupposti per una maggiore qualità dei rapporti familiari. Liberare le donne dai limiti di una vita da casalinga o di tutrice non retribuita di bambini e anziani. Liberare gli anziani, attraverso la riforma delle pensioni, dal dover convivere in situazioni di sovraffollamento domestico e di dipendenza dalla propria prole. Dare le possibilità ai giovani, attraverso un sistema di sussidi per lo studio, di emanciparsi, studiare, lavorare e crearsi una propria vita. Chi aderì a questa idea non aveva cattive intenzioni e non poteva prevedere l’avvento di ciò che arrivò circa un decennio dopo: il neoliberismo degli anni ’80 e ’90 e la cultura individualista del 2000 fomentata dai mass media diffusa soprattutto tra i giovani, che oggi sono bombardati dal culto della celebrità e sono educati all’idea che la realizzazione personale sia l’aspirazione massima. Una patologia narcisista sta dilagando tra intere generazioni, sicuramente anche in Italia. Si può dire che il culto dell’autonomia personale si è sposato molto bene con queste tendenze creando un pericoloso cocktail. Non è da escludere che la Svezia sarà la prima a rendersene conto  e a formulare un nuovo manifesto per il futuro.

Il film ha ricevuto critiche anche negative, in qualche modo ha sollevato una questione e alimentato il dibattito.

Sono andato a toccare un “nervo” molto sensibile nella società svedese e perciò il film è stato molto chiacchierato e commentato, sia sulla stampa che sui social network. Ma questo è un bene, sarei rimasto male se fosse successo il contrario. Alla fine dei conti mi ritengo soddisfatto: ho fatto partire un dibattito che può portare soltanto a qualcosa di buono. Tante persone hanno preso coscienza del fatto che in Svezia esiste un problema sociale di solitudine e molti hanno cominciato a mettersi in discussione.

Teoria Svedese 3

Come si inserisce questo film all’interno della tua produzione, anche dal punto di vista di stilistico?

Spero sempre che i miei film facciano discutere o perlomeno pensare, così come le tematiche che affronto fanno riflettere me. La Teoria Svedese dell’Amore è stato visto come un esempio sia di giornalismo che di documentario creativo, due generi ormai lontani l’uno dall’altro. Se al giornalismo viene richiesto un approccio razionale e analitico, il documentario creativo gode dello sguardo soggettivo, personale ed emotivo dell’autore. Essendo il documentario l’espressione cinematografica più a basso costo, quindi più accessibile, è una grande garanzia di libertà di espressione e quindi di democrazia. Lo sguardo del film maker fa bene. Uno sguardo curioso, critico, provocatorio e nel mio caso sempre comunque affettuoso, di chi guarda sia da dentro che da fuori.

Leave a Comment