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C’eravamo Tanto Amati, il capolavoro generazionale di Ettore Scola

Nel centenario di Nino Manfredi, e nel 90° anniversario della nascita di Ettore Scola, oggi ricordiamo C’eravamo Tanto Amati, film diretto dal maestro nel 1974. Tra commedia all’italiana e cinema d’impegno sociale, la pellicola, considerata il capolavoro di Scola, è interpretata anche da Vittorio Gassman, Stefania Sandrelli, Stefano Satta Flores, Giovanna Ralli e Aldo Fabrizi.

Il film

Durante la guerra, tre ragazzi partigiani, provenienti da diversi ceti sociali e culturali, ma uniti da un ideale comune, stringono una sincera amicizia. Al termine del conflitto ognuno riprende la propria strada con entusiasmo e tante aspettative. Antonio (Nino Manfredi) torna a Roma e al suo lavoro da portantino in un ospedale; Gianni (Vittorio Gassman) intende finire i suoi studi di giurisprudenza a Pavia; Nicola (Stefano Satta Flores), intellettuale con la passione per il cinema, continua a insegnare a Nocera Inferiore. Qualche tempo dopo, in una trattoria romana, si incontrano Gianni, che è diventato un avvocato, e Antonio che, fedele ai suoi ideali comunisti, è rimasto un portantino, ma ha trovato il vero amore, Luciana (Stefania Sandrelli).

Antonio presenta la fidanzata all’amico, che tradirà la sua fiducia portandogliela via. Ma l’ambizioso avvocato non esiterà ad abbandonarla per sposare Elide (Giovanna Ralli), entrando così nella famiglia di un nostalgico fascista, Romolo (Aldo Fabrizi), un disonesto costruttore, diventando il suo avvocato e proteggendo i suoi loschi interessi. Intanto Nicola, sposato e con figli, insegna in un liceo; viene sospeso dal preside con l’accusa di fomentare l’odio sociale nella scuola. Escluso dall’insegnamento, abbandona la famiglia e si trasferisce a Roma per cercare fortuna, riallacciando i contatti con Antonio. Le loro storie continueranno a incrociarsi con quella della bella Luciana, rievocando ideali traditi, delusioni e sconfitte

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Le parole del critico francese Jean A. Gili

C’Eravamo Tanto Amati è dedicato alla memoria di Vittorio De Sica. Egli, scomparso mentre il film era in fase di missaggio, aveva fatto comunque in tempo a vederne una copia lavoro. Nel film il cineasta appare in un documento realizzato da Ettore Scola in occasione di una manifestazione organizzata dal quotidiano “Paese Sera”; in queste immagini De Sica spiega a un gruppo di bambini come era riuscito a far piangere Enzo Stajola, il piccolo interprete di Ladri di Biciclette. […] Il film è dominato da una sorta di pessimismo ricollegabile alla sconfitta di una generazione ‘sfortunata’. L’Italia del dopoguerra è contrassegnata dal trionfo delle forze di destra e della Democrazia Cristiana, sostenute dal capitalismo americano: gli ideali della Resistenza si sono insabbiati nel conformismo politico e nell’egoismo individuale. La volontà di rinnovamento democratico dopo vent’anni di fascismo sfocia nella rinuncia. In un modo o nell’altro, i tre protagonisti del film rappresentano i diversi aspetti di una sconfitta masochista. Nicola è un intellettuale rinchiuso nel proprio egocentrismo, non diventerà mai un grande critico cinematografico  in grado di partecipare alla battaglia culturale“.

Gianni, vittima dell’ideologia dell’arrivismo economico, rinuncerà alle proprie scelte di gioventù per ‘imborghesirsi’ e sposerà la figlia di un imprenditore specializzato in speculazioni immobiliari. Antonio rimarrà invischiato nella mediocrità di un modesto impiego ospedaliero. Il proletario comunista e un poco velleitario è in realtà l’unico personaggio positivo del film. Quest’uomo vagamente chapliniano, sballottato dalla vita, tradito o abbandonato dagli amici e ingannato dalla donna che ama, rimane comunque in piedi con la dignità propria di chi non ha rinunciato a sperare e a lottare. Antonio incarna il vigore popolare di una società che vuole continuare a combattere nonostante la subdola disgregazione del paese dopo trent’anni di incuria politica e di corruzione generalizzata. Utilizzando il cinema come testimone e strumento rivelatore, Scola ci mostra una società che si mette a nudo davanti alle esigenze dello spettacolo. C’eravamo tanto amati costituisce quindi una delle analisi più raffinate che il cinema abbia prodotto sull’evoluzione della società italiana tra la fine della guerra e gli anni Settanta.

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Ettore Scola raccontò…

Si pensava alla storia di un professore di provincia che, dopo aver partecipato alla Resistenza, rimaneva colpito da Ladri di Biciclette che vedeva nel cineclub della sua città. C’era quindi un personaggio che si entusiasmava al punto da ritenere il neorealismo uno strumento di crescita sociale per l’Italia (e in realtà, almeno in parte, è stato così). Il professore abbandonava lavoro e famiglia e andava a Roma per cercare di conoscere De Sica. Il film doveva essere soltanto la storia di un lungo pedinamento che si protraeva per trent’anni: il protagonista seguiva De Sica, diventando per lui una vera ossessione. De Sica si sarebbe ritrovato sempre di fronte questo grillo parlante, questa specie di voce della coscienza che lo seguiva, lo rimproverava, lo perseguitava. Il film doveva terminare con una frase che poi è rimasta la stessa nella versione definitiva: “Noi crediamo di cambiare il mondo, invece è il mondo che cambia noi” In seguito l’idea di incentrare il film su un solo personaggio, con De Sica nella parte di se stesso, ci sembrò un poco limitata; in questo modo il film si sarebbe occupato soltanto di cinema. Pensammo quindi di allargare la visione delle cose introducendo almeno altri due personaggi emblematici, un borghese e un proletario. Ed è così che è nata l’idea definitiva di C’Eravamo Tanto Amati“.

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