Il 19 luglio 1992, all’altezza del numero civico 21 di via Mariano D’Amelio a Palermo, il magistrato Paolo Borsellino e cinque agenti della scorta — Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina — persero la vita in un attentato terroristico organizzato da Cosa Nostra. A trent’anni dal tragico evento, il canale culturale Arte in Italiano (arte.tv/it) trasmette per la prima volta Mafioso, tra le tenebre di Cosa Nostra, il documentario diretto da Mosco Levi Boucault in cui tre pentiti — arrestati all’inizio degli anni Novanta — prendono la parola raccontando come sono diventati mafiosi e, allo stesso modo, come e quando hanno deciso di tagliare i ponti con l’organizzazione criminale.
Il documentario
“Eravamo davvero dei macellai. Mi viene la pelle d’oca quando ci penso“, confessa un uomo in controluce, il viso nascosto per proteggere la sua nuova identità. Si tratta di Paolo Francesco Anzelmo che, dopo aver partecipato al commando che uccise il generale Dalla Chiesa, allora prefetto antimafia di Palermo, e dopo essere stato condannato all’ergastolo, ha scelto di collaborare con la giustizia per ottenere una riduzione della pena. Una scelta, questa, che condivide con Giovanni Brusca, implicato nell’attentato al giudice Falcone e nell’assassinio del piccolo Giuseppe Di Matteo, e Giuseppe Marchese, il nipote modello di Filippo Marchese, il capofamiglia che aveva creato a Palermo una “camera della morte” dove torturava, strangolava e scioglieva nell’acido i mafiosi “decaduti”.
Presentato a Cosa Nostra dagli zii, nonostante gli sforzi della madre per sottrarlo alla loro presa, Anzelmo ha seguito una traiettoria simile a quella dei suoi ex complici: un primo omicidio seguito da una cerimonia di iniziazione, poi una vita divisa tra un lavoro legale di facciata e la spietata quotidianità dell’organizzazione, che “ha la precedenza sulla famiglia di sangue”, tanto da portarlo a uccidere due dei suoi zii, mafiosi caduti in disgrazia. Tutto per ordine di Totò Riina.
Uomini carnefici e vittime
Tra vedute notturne di Palermo e immagini d’archivio, le loro storie, raccontate attraverso un flusso di pensieri, domande e risposte che cerca di cogliere la realtà ordinaria e demistificata di una vita mafiosa, sprigionano un’umanità inquietante: questi uomini appaiono infatti tanto carnefici assetati di sangue quanto vittime reclutate in una terribile organizzazione criminale.