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20 anni senza Stanley Kubrick – Intervista al critico Giorgio Cremonini

Solo qualche mese fa, era il 26 luglio 2018, celebravo il 90° anniversario della nascita di un monumento del cinema: Stanley Kubrick. Un regista che ha cambiato la settima arte (c’è nettamente un Prima e un Dopo), un artista dell’immagine che tramite i suoi film (quasi tutti Capolavori) ha indagato, attraverso storie e generi, l’anima profonda dell’essere umano. Spesso anticipando i tempi. Sempre aprendo dibattiti e riflessioni eterne. Lo stesso nome di questo sito, Cameralook, è in parte un tributo, carico di affetto e riconocenza, che ho voluto fargli. Attraverso lo sguardo in macchina mi ha sconvolto più volte (utilizzato in momenti epici e indimenticabili, da 2001 ad Arancia Meccanica, da Shining a Full Metal Jacket,…), ma non solo. Il Look ricorda la rivista che lo vide esordire come fotografo e anche la seconda parte della parola composta Overlook, l’hotel del mio film preferito diretto da lui, Shining.

Stanley Kubrick di fianco a Jack Nicholson sul set di "Shining"

Stanley Kubrick di fianco a Jack Nicholson sul set di “Shining”

Oggi, 7 marzo 2019, sono invece passati vent’anni dalla sua morte, improvvisa, a poche settimane dall’uscita del suo ultimo film, Eyes Wide Shut. Per ricordarlo ho deciso di contattare uno dei massimi critici cinematografici italiani: Giorgio Cremonini. E’ stato anche grazie ai suoi scritti e i suoi saggi – vi consiglio di visitare il suo sito – che ai tempi del liceo prima e dell’Università dopo mi sono avvicinato ulteriormente Kubrick. I suoi omonimi libri su Shining e Arancia Meccanica (su questo film scrissi la prima tesi di laurea) li custodisco gelosamente nella libreria. Sono orgoglioso di presentarvi qui sotto la nostra chiacchierata sull’immenso Maestro.

Vent’anni senza Stanley Kubrick. Su questo grande cineasta, mente gigante del Novecento, si è scritto tanto, tantissimo. Eppure ogni sua opera continua a far parlare, continua a far riflettere. I suoi film – pochi, ma quasi tutti capolavori – sono ancora oggi stimolanti, resistono al tempo e continuano a parlarci e, possibilmente, a dirci cose nuove che prima non avevamo né colto, né pensato. È forse questa la più grande forza della cinematografia di Kubrick? 

Certamente. Comunque è vero che si è scritto molto, ma la sua opera è talmente ricca che qualcosa potrebbe sempre essere sfuggito (ma questo accade per tutti i grandi). E comunque insegna ad amare il cinema e allora le scoperte non mancano. In ogni caso ogni grande regista rimanda a una fetta di passato e di storia. Aiuta a riflettere sul cinema e sulla storia, cosa che spesso dimentichiamo di fare. Per esempio, Kubrick affronta il film noir, il comico, lo storico, il war film, il fantastico, ecc: i suoi film ci aiutano a capire queste fette trasversali del nostro passato. Da queste in fondo nasce anche il nostro presente. 

Stanley Kubrick ha messo al centro della sua opera l’Uomo, spesso inquadrato con occhio spietato e osservato con un crescente pessimismo. L’Uomo che nasce dalla violenza (l’osso/arma di 2001: Odissea Nello Spazio per sopravvivere e lanciarsi nel “progresso”), che usa i proiettili per uccidere (nei film antimilitaristi Orizzonti di Gloria e Full Metal Jacket), che cerca di fare a pezzi i propri cari (il Jack Torrance di Shining), che usa il proprio potere governativo in modo distruttivo (penso alla bomba nel Dottor Stranamore e alle “correzioni” in Arancia Meccanica). Senza dimenticare Barry Lyndon e Eyes Wide Shut. Secondo lei possiamo affermare che Kubrick ha saputo descrivere prima e meglio degli altri un’umanità spregevole e bestiale?

Kubrick non pensa alla violenza come ad un errore dell’evoluzione o ad una scelta possibile, ma piuttosto un imprinting naturale e quindi necessaria, la forza con cui la specie umana ha conquistato un primato che prima o poi perderà, perché d ogni azione corrisponde sempre una ritorsione. L’uomo kubrickiano è “disumano” come si potrebbe dire da una prospettiva buonista: i suoi personaggi non commettono errori, semplicemente non sanno impedirsi di commetterne. Apparentemente hanno sempre una scelta, ma in realtà è un limite di un cervello che è regredito solo fino a questo livello. Non basta la cultura a salvarlo (vedi Lolita), né il potere (vedi Stranamore), né la ricchezza (vedi Barry Lyndon), né la famiglia (vedi Shining), ecc. Ognuno di questi aspetti viene mostrato nel suo essere in contraddizione con se stesso. L’homo sapiens è troppo intelligente per arrendersi, ma lo è anche troppo poco per non uscire sconfitto dalle sue proprie armi. Tuttavia l’umanità dei personaggi kubrickiani non è necessariamente spregevole e bestiale: è la sua tremenda normalità che affascina attraverso la propria caricatura (Full Metal Jacket, Shining, Arancia Meccanica e indietro fino a Stranamore).

Kubrick e Malcolm McDowell sul set di "Arancia Meccanica"

Kubrick e Malcolm McDowell sul set di “Arancia Meccanica”

A tal proposito: se fosse ancora vivo, cosa penserebbe oggi Kubrick dell’uomo moderno?    

Credo che non avrebbe cambiato idea. E’ davvero un peccato che non abbia realizzato il progetto di un film sui lager: l’idea stessa del lager racchiude tutta l’idea di una modernità che ripete se stessa nell’unica forma della sopraffazione e della violenza (che non è solo utile, ma anche appagante a suo modo, e cioè parzialmente). L’uomo kubrickiano vince a volte la sua battaglia, ma mai una guerra (come rivela 2001 con il feto futuro in attesa sardonica fra le stelle).

Lionel White Clean, Humphrey Cobb, Vladimir Vladimirovič Nabokov, Peter George, Arthur Clarke, Anthony Burgess, William Makepeace Thackeray, Stephen King, Gustav Hasford, Arthur Schnitzler. Ovvero tutti gli autori dei romanzi e dei soggetti dei film di Kubrick. Lei come definirebbe, complessivamente, la kubrickiana traduzione in immagini in movimento di tutti questi scritti? Una domanda che mi sono sempre fatto è la seguente: “è più geniale e potente il libro, e quindi l’idea, o il film, e quindi l’espressione artistica?”. Lei cosa ne pensa?

Kubrick stesso raccomandava di  non fermarsi all’idea di partenza, quella che si può raccontare a parole. Un romanzo è un romanzo e comunica con noi attraverso il linguaggio più diffuso, quello verbale. Ma un film è un film, il cinema è il cinema, e le parole non possono bastare. Non bastano. Kubrick non “riproduce” parole, anzi le limita al massimo: traduce il loro senso in immagini e suoni, cioè in un linguaggio totalmente “altro”, irriproducibile. In questo mi sembra di trovare un curioso parallelismo con Godard e con altri grandi del passato. Ma questa è la radice vera del cinema: un film si può raccontare solo attraverso le sue immagini, cioè se stesso. Anche per questo, direi, i film di Kubrick sono tutto sommato poco parlati. Solo nel secondo episodio di 2001 le parole hanno un certo peso – oppure in Stranamore. Ma nemmeno queste parole riuscirebbero a darci l’idea del film. Possiamo cercare di evocarla, ma dovremo essere sempre coscienti dell’insufficienza dei nostri sforzi. Per fortuna.

Kubrick sul set di 2001 (Mandatory Credit: Photo by MGM/Stanley Kubrick Productions/Kobal/REX/Shutterstock)

Kubrick sul set di 2001 (Mandatory Credit: Photo by MGM/Stanley Kubrick Productions/Kobal/REX/Shutterstock)

Storie e generi diversi: ogni suo film merita una tesi. Kubrick ha saputo parlarci e scuoterci (anche direttamente, guardandoci in faccia nei frequenti e incisivi camerlook) con uno stile unico, riconoscibile, che ha cambiato il cinema e che, seppur imitato (penso al recente Lanthimos di The Lobster, Il Sacrificio Del Cervo Sacro e La Favorita), resta inimitabile al tempo stesso. Dal punto di vista registico, lei nel panorama attuale trova degli “eredi” o la sua morte ha creato un vuoto incolmabile? [Personalmente, io risponderei con un nome: Michael Haneke].

Non vedo eredità, se non molto parziali. Certo, Haneke (ma senza la violenta e continua sottrazione di Kubrick), oppure Wes Anderson (un’eredità molto superficiale). Ogni vuoto, del resto, è incolmabile. Nessuno potrà mai rifare Buñuel, per esempio, né Ejzenstejn, né Resnais, né Godard. Le imitazioni sono di per sé insufficientii. Tra l’altro ci sono strane affinità fra Buñuel e Kubrick: i finali sospesi, per esempio, quelli che ribaltano radicalmente ogni spiegazione razionale (Belle de Jour, Le Charme…, Diario di una Cameriera, L’Angelo Sterminatore, Viridiana). Eppure hanno due storie lontanissime fra loro, come le opere. D’altra parte Kubrick ha sempre saputo far tesoro del cinema delle avanguardie: le luci e le ombre di Rapina a mano armata, puro espressionismo; oppure in questi casi l’eredità del surrealismo, almeno come citazione. La suggestione ambigua e provocatoria dell’immagine come segno complesso.

Difficile sceglierne uno solo. Mi potrebbe fare il suo personalissimo podio dei film di Kubrick?

Forse potrei, ma non mi convince questa mania tutta contemporanea delle classifiche e/o graduatorie. Posso solo dire che nutro un amore spiccato per Stranamore, ma non arrivo a dire che sia il film più bello di Kubrick. Potrebbe anche esserlo, ma non lo è, perché la sua bellezza non è paragonabile a nessuno degli altri suoi film, che del resto sono solo troppo diversi. Né più belli, né meno. 

"Il Dottor Stranamore"

“Il Dottor Stranamore”

Chiudo con questa domanda: cosa ha rappresentato e cosa rappresenta ancora oggi per lei questo grande regista?

Un regista che non mi stancherei mai di riguardare. Come molto Buñuel, del resto, molto Polanski, o Chaplin, o Keaton, o Wilder, o Ophuls, o Antonioni,  o qualche Godard. E forse altri ancora, che adesso non mi vengono alla memoria, così, sui due piedi. Di Kubrick ammiro la lucidità, l’economia dei segni, l’essenzialità, il senso di un’appartenenza alla storia coniugata all’isolamento, il funambolismo del linguaggio, l’essenzialità delle citazioni che sono memoria storica e mai, appunto, citazioni. E poi chissà: tutto ciò che non si può spiegare a parole.

Intervista di Giacomo Aricò

CAMERALOOK 

Anche in questo caso non faccio graduatorie. Mi ricordo bene tuttavia l’inizio di Arancia Meccanica, la chiacchierata al bar di Shining – due modi di chiamarci direttamente in causa, di farci diventare parte essenziale della storia/film. In questo senso funziona anche il sergente di Full Metal Jacket. Il camera look è la rottura del rapporto spettatore-personaggio; è il nostro ingresso nel film, che non è mai né casuale, né drammatico. E’ lo spiraglio attraverso il quale entriamo in un mondo che crediamo non essere il nostro. E al contrario ci dice che potrebbe esserlo, anche se non ce ne rendiamo conto.

Quattro indimenticabili cameralook kubrickiani

Quattro indimenticabili cameralook kubrickiani

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