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César Augusto Acevedo mostra le radici della vita in Un Mondo Fragile

Dopo aver incantato all’ultimo Festival di Cannes dove si è aggiudicato il Camera d’Or e vincitore di diversi riconoscimenti (Premio Rivelazione Visionary Award, Premio del Pubblico Grand Rail d’Or e Premio Nuovi Autori SACD Award), arriva giovedì 24 settembre al cinema Un Mondo Fragile (La Tierra y la Sombra), il film diretto dal colombiano César Augusto Acevedo.


Alfonso è un vecchio contadino che, dopo diciassette anni, torna dalla sua famiglia per accudire il figlio Gerardo, ora gravemente malato. Al suo ritorno, ritrova la donna che era un tempo la sua sposa, la giovane nuora e il nipote che non ha mai conosciuto, ma il paesaggio che lo aspetta sembra uno scenario apocalittico: vaste piantagioni di canna da zucchero circondano la casa e un’incessante pioggia di cenere, provocata dai continui incendi per lo sfruttamento delle piantagioni, si abbatte su di loro.

L’unica speranza per tutti è andare via, ma il forte attaccamento a quella terra rende le cose più difficili. Dopo aver abbandonato la sua famiglia per tanti anni, Alfonso ora cercherà di salvarla.

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Non esiste maggiore ferita per le nostre suole che il non essere in grado di far poggiare i piedi sulla terra che amiamo; quello che siamo è legato al posto da dove veniamo. Noi germogliamo in quella terra, siamo come un frutto a cui lei dona vita e mettiamo radici sulla sua superficie, costruendo un paesaggio emozionale che ci accompagnerà fino alla fine dei nostri giorni.

Siamo fatti del profumo della sua pioggia, del colore del suo cielo, della risata dei suoi uccelli. E’ per questo che il film non offre solo un’opportunità per riflettere su tutto lo sconvolgimento causato dalla sopraffazione delle forze del progresso, ma porta alla luce anche i sentimenti eroici della popolazione rurale, che, con coraggio e resistenza, lotta continuamente per la libertà e la dignità della sua terra.

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Ci sono luoghi che ci rendono vulnerabili al ricordo e a cui ci aggrappiamo nel tentativo di affrontare ciò che abbiamo perduto. Scenari dove dividiamo le nostre vite con chi abbiamo amato di più e dove tendiamo a tornare alla ricerca di mani calde che non sono più qui o di voci che non ci sono più, delle quali non è rimasto nemmeno un respiro.

Per i personaggi di Un Mondo Fragile, questo luogo è un albero che ha assistito alla storia della famiglia e che ora è l’unica traccia tangibile di tutto ciò che è andato perduto. Col tempo anche l’albero scomparirà, ma l’ombra che proietta resterà, come un luogo profondamente radicato nelle loro anime, che proteggerà per sempre il ricordo di tutti i momenti per i quali è valsa la pena vivere. Questa ombra resta dentro ognuno di noi ed è l’unica cosa che ci fa sentire che non siamo completamente soli.

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Di fronte alla rottura familiare e motivato dal dolore personale, il regista compie una riflessione sulla necessità di combattere per mantenere saldi i fili che ci legano alle persone che amiamo di più, nonostante le emozioni violente, agitate dalle passioni interne che dominano il nostro cuore.

Per questo egli ci pone in un microcosmo devastato fisicamente ed emotivamente, dove il vuoto e la solitudine sono più palpabili attraverso i vasti, labirintici campi di canna da zucchero. Tutto ci trasporta in una geografia emotiva circondata da uno schiacciante senso di perdita, dove l’unica possibile vittoria dignitosa è la salvaguardia del legame con le nostre origini.

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Come tentativo onesto di migliorare le nostre vite, Un Mondo Fragile ci dona l’opportunità di tirare fuori cose bellissime che ci teniamo dentro, usando, come catalizzatore, episodi dolorosi che ci hanno segnato.

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