Im Labyrinth

Giulio Ricciarelli cerca giustizia ne Il Labirinto Del Silenzio

Diretto da Giulio Ricciarelli, arriva giovedì 14 gennaio al cinema Il Labirinto Del Silenzio, il film che rappresenterà la Germania ai prossimi Oscar che racconta la storia di un giovane pubblico ministero che decide di mettersi alla ricerca della verità alla fine degli anni ‘50. Combattendo contro ogni ostacolo immaginabile, supera i suoi limiti e quelli di un sistema, dove è più facile dimenticare che ricordare.


Germania 1958. Ricostruzione, miracolo economico. Johann Radmann (Alexander Fehling) è stato recentemente nominato Pubblico Ministero e, come tutti i novizi, si deve accontentare di occuparsi dei verbali automobilistici. Un giorno, il giornalista Thomas Gnielka (André Szymanski) causa un gran trambusto in tribunale, Radmann lo ascolta con interesse: un amico di Gnielka avrebbe riconosciuto un insegnante, che secondo lui sarebbe un’ex guardia di Auschwitz, ma nessuno è interessato a perseguirlo legalmente. Contro il volere del suo diretto superiore, Radmann inizia ad esaminare il caso, e così cade in una rete di repressione e negazione, ma anche di idealizzazione.

In quegli anni, “Auschwitz” era una parola che alcune persone non avevano mai sentito pronunciare, mentre altri volevano solo dimenticarla il più presto possibile. Solamente il Pubblico Ministero Generale, Fritz Bauer (Gert Voss), incoraggia la curiosità di Radmann; lui stesso, da tutta la vita, spera di riportare all’attenzione pubblica i crimini commessi ad Auschwitz, ma gli mancano i mezzi legali per un’azione penale. Quando Johann Radmann e Thomas Gnielka trovano dei documenti che riconducono ai colpevoli, Bauer si rende conto immediatamente di quanto siano esplosivi e affida ufficialmente il caso a Radmann.

Tim Williams e Alexander Fehling

Tim Williams e Alexander Fehling

Il giovane Pubblico Ministero si dedica anima e corpo al suo nuovo incarico ed è deciso a scoprire cosa sia davvero accaduto all’epoca. Interroga testimoni, passa al setaccio gli archivi, raccoglie le prove e si immerge talmente a fondo nel caso da dimenticarsi qualsiasi altra cosa, anche di Marlene Wondrak (Friederike Becht), della quale si è perdutamente innamorato. Radmann supera ogni confine, tralascia gli amici, i colleghi e i suoi alleati, e viene inghiottito in un labirinto di bugie e di sensi di colpa, alla disperata ricerca della verità. Quello che scoprirà alla fine, cambierà il paese per sempre.

Sullo sfondo di eventi realmente accaduti, Il Labirinto Del Silenzio getta uno sguardo molto personale e particolare sullo stile di vita degli anni del “miracolo economico“, l’era delle sottogonne e del rock’n’roll, in cui le persone volevano solo dimenticare il passato e guardare avanti. Il film racconta in maniera emozionante un capitolo poco noto di quegli anni, che fondamentalmente hanno cambiato il modo in cui la Germania guardava al suo passato. Un’emozionante storia di coraggio, responsabilità e di lotta per la giustizia.

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Vi riportiamo ora di seguito l’intervista rilasciata dal regista Giulio Ricciarelli.

Il Labirinto Del Silenzio, che storia è? Perché lo consideri attuale?

È una storia di coraggio personale, di lotta per ciò che si ritiene giusto, e una storia di redenzione. Germania, 1958. Un’atmosfera di ottimismo esasperato e negazione, un paese che si sta ricostruendo. Eppure le ombre dei suoi crimini di Guerra incombono, dietro a ogni angolo. Oggi viviamo nell’epoca del self-publishing, in cui tredicenni si fanno da soli da PR, mentre come individui sentiamo di non aver alcuna influenza su un mondo così globalizzato, interconnesso e complesso. In quest’epoca, questa storia ci ricorda che sono sempre gli individui che portano il cambiamento e che spingono avanti la civiltà. Questa lotta, il dolore e la bellezza di questa battaglia: è questo al centro del film.

Come hai reagito quando hai saputo qual era il tema del film?

Ho pensato che la storia fosse incredibile. Non riuscivo a credere che molti tedeschi alla fine degli anni ‘50 non avessero mai sentito parlare di Auschwitz. E’ stato solo nel corso delle mie ricerche che sono arrivato alla conclusione che era davvero così. Da ragazzo, ho sempre avuto l’impressione che il periodo nazista fosse stato ampliamente studiato e trattato in Germania, dopo il 1945, attraverso le lezioni di storia, e una gran varietà di pellicole e di visite ai campi di concentramento. Ma la verità è questa: dopo la fine della seconda Guerra Mondiale, per molti anni, si è tralasciato di parlarne in modo esauriente; piuttosto, c’è stato un tentativo di far calare il silenzio su un passato oscuro. Era un capitolo di cui semplicemente non si parlava. Né si parlava dei colpevoli, o delle vittime. Ovviamente c’erano delle persone che sapevano di Auschwitz, ma la maggior parte dei tedeschi ne ignorava l’esistenza. L’argomento avrebbe continuato a essere occultato se quattro coraggiose persone – un Pubblico Ministero Generale e tre giovani pubblici ministeri – non avessero superato molti ostacoli, dando il via libera al Processo di Francoforte. Quattro eroi che hanno cambiato la Germania per sempre.

Werner Wölbern, Johann von Bülow, Alexander Fehling e Hartmut Volle

Werner Wölbern, Johann von Bülow, Alexander Fehling e Hartmut Volle

Come definiresti il tuo protagonista, il giovane pubblico ministero Johann Radmann?

Johann è un procuratore molto ‘tedesco’, sicuro di sé, piuttosto tradizionalista, con un’educazione umanistica e dei valori morali precisi. Il suo tallone di Achille è una visione del mondo rigidamente bianca e nera. All’inizio crede di sapere cosa sia giusto e sbagliato. Solo durante il corso degli eventi si rende conto che non sta a lui giudicare le altre persone. Può solamente condurre questo processo con umiltà. Gli orrori del passato e l’ostilità che avverte nei confronti del suo lavoro lo portano vicino all’esaurimento. È quasi impossibile per lui trovare l’uscita da questo labirinto; tutti sembrano essere stati coinvolti, o colpevoli.

Nel tuo film esprimi anche l’opinione della corrente opposta.

Si, questo ha significato molto per noi. Certo, riteniamo che dovremmo assolutamente confrontarci col nostro passato. Ma la posizione opposta può anche argomentare. Il Cancelliere Federale Tedesco Konrad Adenauer aveva impostato una dottrina secondo la quale si doveva fare scendere il silenzio sul passato. Era questa la posizione ufficiale che Fritz Bauer ed i suoi colleghi dovevano abbattere. E la domanda rivolta dal Pubblico Ministero Capo Friedberg a Johann Radmann riduce tutta la questione a un solo punto: “Vuoi che ogni singolo giovane debba chiedersi se suo padre fosse un assassino oppure no?“.

Alexander Fehling (foto di Heike Ullrich)

Alexander Fehling (foto di Heike Ullrich)

Fino a che punto hai potuto prendere in prestito le citazioni originali, mentre scrivevi i dialoghi?

Molte dichiarazioni di Fritz Bauer erano state conservate, principalmente attraverso il lavoro dell’Istituto Fritz Bauer. Ovviamente, abbiamo anche potuto basarci sulle dichiarazioni dei testimoni durante i processi. E la perfida argomentazione dell’avvocato Lichter che dice che “la selezione” fu un atto di umanità inteso a salvare delle vite umane, ricalca la strategia difensiva di un avvocato nel corso dei Processi di Francoforte. Per quanto riguarda i fatti storici, siamo stati quanto più corretti e precisi possibile. Solamente in relazione alla vita interiore dei personaggi ci siamo permessi delle libertà narrative. Non vogliamo offrire una lezione di storia agli spettatori, ma un’esperienza cinematografica emozionante. E’ per questo che abbiamo cercato continuamente di allentare l’azione attraverso lo humour – non attraverso degli elementi slapstick artificiali, ma con uno humour gentile che sgorga dai personaggi. Credo sia sbagliato dire: “Oh mio dio, è un tema serio, quindi non si dovrebbe ridere!”.

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