(Foto di Angelo Turetta)

Gli Indifferenti, da Alberto Moravia a Leonardo Guerra Seràgnoli

(Foto di Angelo Turetta)

Da martedì 24 novembre sarà disponibile on demand sulle principali piattaforme digitali (Sky Prima Fila, Apple Tv, Google Play, Chili, Rakuten, TimVision, Infinity, MioCinema, IoRestoInSala, CG Digital, The Film Club), Gli Indifferenti, il film – liberamente ispirato dall’omonimo romanzo di Alberto Moravia – diretto da Leonardo Guerra Seràgnoli con Valeria Bruni Tedeschi, Edoardo Pesce, Vincenzo Crea, Beatrice Grannò e Giovanna Mezzogiorno.

Il film

Roma oggi. Qualche scossa d’assestamento per un terremoto in centro Italia rende il clima sospeso. Mariagrazia Ardengo (Valeria Bruni Tedeschi) e i suoi due figli, Michele (Vincenzo Crea) e Carla (Beatrice Grannò), non hanno più soldi. Negli ultimi tre anni, Leo Merumeci (Edoardo Pesce), un manager tuttofare, divenuto nel frattempo amante di Mariagrazia, le ha fatto dei prestiti permettendole di ripagare alcuni debiti e continuare a fare la vita agiata di sempre. Michele, appena tornato da un viaggio all’estero, intuisce, anche grazie alla sua relazione con Lisa (Giovanna Mezzogiorno), un’amica di famiglia, che dietro l’apparente generosità di Leo, si cela un piano meditato a lungo per ottenere l’unico bene che è rimasto alla famiglia Ardengo: l’attico in cui vivono. Mariagrazia è troppo innamorata di Leo per dare ascolto al figlio e allora sta a Carla – che appena diciottenne riceve delle attenzioni morbose dallo stesso Leo – tentare di scuotere la sua famiglia dall’indifferenza in cui si era rifugiata.

Leonardo Guerra Seràgnoli racconta…

Moravia è un autore che ho letto molto fin dal primo incontro con Agostino quando ero al liceo. L’idea di un adattamento de Gli Indifferenti è nata inizialmente dalla sensazione che i temi trattati nel romanzo fossero particolarmente attuali. Poi dall’urgenza di raccontare una storia che, con la concisione della tragedia aristotelica, potesse smascherare dall’interno una classe sociale capace di tollerare anche l’abuso pur di continuare a vivere alienata dalla realtà. Abbiamo scelto una trasposizione contemporanea perché ci interessava sottolineare come nonostante i tanti anni passati e una società che si è apparentemente evoluta, la famiglia Ardengo, Leo Merumeci e Lisa, siano ancora qui tra noi“.

(Foto di Angelo Turetta)

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Volevamo lavorare sulla frustrazione e l’inquietudine generate da una coazione a ripetere atavica che è radicata e dannosa per la nostra società; utilizzare la valenza politica attribuita al romanzo a posteriori come riflessione provocatoria sulla nostra condizione socio-politica attuale. Partendo da questi presupposti e cercando di seguire l’ossatura del romanzo, abbiamo aggiornato la storia per vedere se l’adattamento potesse, organicamente, avere un punto d’arrivo nuovo, un movimento in avanti e non sul posto. Lavorando sul testo, ci è parso che Moravia lasciasse nelle mani di Carla il destino della propria famiglia, ma che alla ragazza dinoccolata di fine anni venti mancassero i mezzi per opporsi alla tracotanza di Leo Merumeci e emanciparsi dall’indifferenza del proprio nucleo famigliare. In linea con questa interpretazione e studiando le figure femminili nella letteratura di Moravia ci è sembrato naturale che in un contesto di accresciuta consapevolezza e di strumenti concreti di difesa, fosse Carla a interrompere l’ipocrisia asfissiante degli Ardengo e il delirio d’onnipotenza di Merumeci“.

In sceneggiatura abbiamo cercato di trovare una forma che consentisse al romanzo di permeare le scene e i dialoghi senza creare sovrastrutture letterali. Ci siamo orientati verso una leggerezza narrativa che controbilanciasse la densità psicologica delle relazioni tra i personaggi per trovare un punto di equilibrio, un ponte tra passato e contemporaneità. Gli Indifferenti mi ha messo davanti a una sfida nuova e complessa fatta di personaggi che si muovono su un unico palcoscenico senza mai uscire di scena, indossando maschere drammatiche ingombranti, ma anche ironiche e parossistiche. Mi ha messo davanti a tanti riferimenti culturali impegnativi che ho cercato d’assorbire e integrare con un lungo lavoro di preparazione che mi aiutasse a definire una visione d’insieme armonica. Questo percorso di ricerca mi ha portato a due scelte principali. La prima, quella che mi sembrava aggiungesse una maggiore universalità e, possibilmente, una dimensione simbolico-allegorica alla storia, era di fare un film corale; costruire una narrazione fruibile attraverso l’intreccio crescente e vorticoso delle pulsioni emotive dei quattro protagonisti. La seconda era di sostituirmi con la regia al punto di vista di Michele nel romanzo, mettendomi al centro del palcoscenico“.

(Foto di Angelo Turetta)

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Da questa posizione privilegiata, cercando di muovermi solo quando necessario, utilizzando le scenografie e i costumi per dialogare con l’immaginario moraviano e i tagli a 90 o 180 gradi come metafora spigolosa dell’anima di questo ambiente sociale, volevo seguire i personaggi dall’interno della loro intimità e mostrarli senza filtri, per quello che sono realmente. Per riuscirci, avevo bisogno di di attori coraggiosi. Attori che avessero voglia di indossare le bruttezze e le morbosità di questi personaggi negativi, obbligati a fingere per sopravvivere“.

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