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Il Colibrì, Pierfrancesco Favino tra coincidenze fatali, perdite e amori assoluti

Dopo aver aperto la 17esima Festa del Cinema di Roma venerdì 14 ottobre nei nostri cinema esce Il Colibrì, il film diretto da Francesca Archibugi che l’ha anche scritto insieme a Laura Paolucci e Francesco Piccolo, partendo dall’omonimo romanzo di Sandro Veronesi Premio Strega 2020. La pellicola è interpretata da Pierfrancesco Favino, Kasia Smutniak, Bérénice Bejo, Nanni Moretti, Laura Morante, Sergio Albelli, Benedetta Porcaroli, Massimo Ceccherini, Alessandro Tedeschi, Fotiní Peluso, Francesco Centorame, Pietro Ragusa, Valeria Cavalli. 

Il film

È il racconto della vita di Marco Carrera (Pierfrancesco Favino), “il Colibrì”, una vita di coincidenze fatali, perdite e amori assoluti. La storia procede secondo la forza dei ricordi che permettono di saltare da un periodo a un altro, da un’epoca a un’altra, in un tempo liquido che va dai primi anni ‘70 fino a un futuro prossimo. È al mare che Marco conosce Luisa Lattes (Bérenice Bèjo), una ragazzina bellissima e inconsueta. Un amore che mai verrà consumato e mai si spegnerà, per tutta la vita. La sua vita coniugale sarà un’altra, a Roma, insieme a Marina (Kasia Smutniak) e alla figlia Adele (Benedetta Porcaroli). Marco tornerà a Firenze sbalzato via da un destino implacabile, che lo sottopone a prove durissime. A proteggerlo dagli urti più violenti troverà Daniele Carradori (Nanni Moretti), lo psicoanalista di Marina, che insegnerà a Marco come accogliere i cambi di rotta più inaspettati. 

Il Colibrì è la storia della forza ancestrale della vita, della strenua lotta che facciamo tutti noi per resistere a ciò che talvolta sembra insostenibile. Anche con le potenti armi dell’illusione, della felicità e dell’allegria.

Il Colibrì 1

Francesca Archibugi racconta…

“Ho amato moltissimo il libro di Sandro Veronesi, volevo essergli fedele e al tempo stesso usarlo come materiale personale, perché così lo sentivo. Il libro è avventuroso sul piano stilistico, e con gli sceneggiatori Laura Paolucci e Francesco Piccolo abbiamo voluto non solo assecondare l’avventura, ma rilanciare. Un unico flusso di avvenimenti su piani sfalsati, come quando si racconta una vita, con episodi che vengono a galla apparentemente alla rinfusa, ma invece sono legati da fili interni, a volte inconsapevoli. Ho scommesso su togliere qualsiasi data e qualsiasi riferimento che dipanasse la domanda: in che epoca siamo? Il mondo intorno, le case, le strade, le immagini, la luce e le stagioni che si susseguivano, dovevano avvolgere i personaggi come un mantello per il viaggio. Volevo annullare la macchina da presa, riuscire a creare la percezione che la storia si stesse raccontando da sé. Non è un esercizio di regia facile. A volte la cosa più difficile da inquadrare è il viso di un uomo, di una donna, di ragazzi e bambini. Far capire i sottotesti. E filmare l’invisibile”.

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